Eutanasia la vita tradita

La «dolce morte» viene sempre più spesso presentata come un atto pietoso, un gesto d’amore. Ma chi davvero ama la vita fa di tutto per alleviare il dolore di chi soffre, rendendo dignitose tutte le ore che gli restano da vivere.
21 Dicembre 2006 | di

In Italia l’eutanasia è finita sulle prime pagine dei giornali lo scorso 23 settembre. Il giorno prima Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare, 51 anni, co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni (di area radicale), aveva inviato un messaggio al presidente Napolitano. «Io amo la vita – scriveva Welby con il suo computer –. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Quando un malato terminale decide di rinunciare a tutto questo, credo che la sua volontà debba essere rispettata e accolta con pietas». Giorgio Napolitano gli aveva risposto: «Raccolgo il suo messaggio di tragica sofferenza con sincera comprensione e solidarietà. La sua lettera può rappresentare un’occasione di non frettolosa riflessione su situazioni e temi complessi sul piano etico». Si parlava di eutanasia. Ma l’obiettivo politico era l’approvazione del testamento biologico. Welby chiedeva che fosse discusso in Parlamento, Napolitano si augurava che la discussione potesse cominciare.
Mentre scriviamo, i giudici romani stanno per decidere se accogliere o respingere la richiesta di Welby di «staccargli la spina». Quando leggerete queste righe, quindi, la tragica vicenda potrebbe essersi conclusa. Ma l’eutanasia no, quella sarà ancora all’ordine del giorno. Dopo la fecondazione assistita, con relativo referendum. Assieme ai Pacs, i Patti civili di solidarietà, le unioni omosessuali… L’etica sta entrando con prepotenza nella nostra vita chiedendoci di schierarci, perché questi temi non riguardano soltanto singoli casi di singole persone, ma la collettività. Entrano in Parlamento. Costringono le forze politiche a esprimersi e noi a tenere conto delle loro posizioni al momento del voto.
Non sono argomenti facili. Richiedono competenza, sensibilità e riflessione. Guai se l’emozione prende il sopravvento. Ma sono pure argomenti con cui molti di noi, prima o poi, devono fare i conti, attraverso la malattia incurabile di un parente o un amico che soffre. E la sua sofferenza è un enorme punto di domanda.
L’eutanasia è irta di punti di domanda. Proviamo a metterne in fila alcuni, senza un ordine particolare. È giusto che una persona possa chiedere quando e come gli sia data la morte? È giusto – sostengono alcuni – quando la vita non è più degna di essere vissuta: ma chi decide se una vita è degna, il malato a suo insindacabile giudizio? Per i credenti la vita è sacra, è un dono di cui l’uomo non può disporre a suo piacimento: lo stesso vale anche per i non credenti? Perché – obiettano i fautori dell’eutanasia – i credenti impongono la loro visione della vita anche a chi non crede, negandogli il diritto di porre fine alla vita a propria discrezione?
Temi alti, altissimi, con i quali l’umanità si confronta fin dagli albori della sua storia. Dovremmo dunque aspettarci una discussione altrettanto alta… E invece no. Finora tutto ruota attorno ad alcuni specifici casi umani; e l’appello è ai sentimenti.


Una tragedia ingigantita
I mass media si sono concentrati sulla tragica vicenda umana di Welby, ignorando altre vicende umane di malati come lui che chiedono di essere aiutati non a morire, ma a vivere con dignità.
È il caso, ad esempio, dei malati di Sla (sclerosi laterale amiotrofica) di tutta Italia, che lo scorso 18 settembre si sono trovati a Roma, in piazza Bocca della Verità, per un sit-in di sensibilizzazione delle istituzioni. «Chi vuole morire fa notizia – spiegava Mario Melazzini, 48 anni, sposato e padre di tre figli, primario del day hospital oncologico della Fondazione Maugeri di Pavia e da sette mesi costretto egli stesso sulla sedia a rotelle – invece non fa assolutamente notizia chi si trova nelle stesse condizioni di Welby, o perfino peggiori, e chiede di vivere dignitosamente».
I malati di Sla chiedono il finanziamento della ricerca con nuovi protocolli di sperimentazione aperti a tutti gli ammalati; il riconoscimento dell’invalidità al 100 per cento fin dalla diagnosi della malattia, con completa mutabilità delle cure specialistiche e programma di assistenza domiciliare. «L’amore per il dono della vita, anche se vissuta nella sofferenza – insiste Melazzini – non può essere misconosciuto. Dobbiamo lottare affinché una persona che riesce appena a muovere gli occhi possa avere un computer come quello di Welby, per parlare non di morte ma di vita».
Melazzini è presidente dell’Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) e ammette: «Quando mi hanno detto che cosa avevo, il mio primo pensiero è stato di cercare la morte. Per un anno ho avuto un pensiero fisso: il suicidio assistito». E poi? «Ho passato tre mesi in totale solitudine, in compagnia del Libro di Giobbe, consigliatomi da un amico gesuita. E alla fine ho capito. La cosa più bella e difficile è stata capire quanto sia importante chiedere un aiuto e riceverlo. Ho capito la bellezza di poter ancora usare la mia testa ed essere utile agli altri. Massimo rispetto per Piergiorgio Welby e la sua decisione. Ma noi, pur prigionieri del nostro corpo, abbiamo la grande fortuna di avere una testa che funziona. Da esperienze come la nostra si possono trarre ricchezze addirittura impossibili da descrivere a parole. Penso alla riscoperta delle piccole cose, o alla vicinanza di chi ti vuole bene, che ti dà una forza incredibile».
Melazzini non è un caso isolato. Potremmo raccontare la storia di Luca, 35 anni, di Capranica. La Sla gli fu diagnosticata quasi cinque anni fa. Ha la fortuna di riuscire ancora a lavorare. Non può più giocare a calcio, la sua passione. Né è diventato archeologo, il suo sogno. Ma vive. E racconta la sua storia nel suo sito www.leportedellasperanza.it. O ancora la storia di Elena, medico anestesista, un marito e tre figli, che comunica tramite computer: «La vita è un dono che va vissuto fino in fondo, in ogni condizione. Anche questa malattia è un dono. Ti cambia la vita, certo. E se non credi? Puoi accettarla comunque come un’opportunità, e la tua vita cambierà sicuramente in modo positivo». Tutti però sono d’accordo su un fatto: è importantissimo non essere soli, avere una famiglia, degli «angeli custodi», degli affetti.


Rendere dignitosa la vita del malato
Certo è più semplice «risolvere il problema» della sofferenza con un kit per il suicidio assistito o dando indicazioni ai medici di «staccare la spina». Meno costoso, pure. Più difficile è dedicare energie sul versante delle cure palliative, per alleviare il dolore e rendere dignitosa la vita del malato terminale. Ma che cosa significa «dignitosa»? Ed è lecito lasciare che sia il malato l’unico a decidere in merito?
In Gran Bretagna un’associazione si è rivolta alla Corte Suprema per chiedere che siano ammessi al suicidio assistito i depressi… L’eutanasia è, in realtà, analoga al mitico vaso di Pandora. Stiamo attenti ad aprirlo. Stiamo davvero attenti.
Torniamo al punto di partenza. Tutto è collegato: aborto, fecondazione assistita, adesso il testamento biologico e l’eutanasia… Sono tanti, diversi scenari dello stesso vastissimo fronte della vita. Scrive la giornalista Eugenia Roccella: «Forse siamo un po’ stanchi, un po’ frastornati. Ci sembra di non poter più dare nulla per scontato, di non poterci distrarre un attimo. Ci sembra di avere a che fare con uno strano nemico, un’idra dalle mille teste: se ne tagli una ne ricrescono due. L’attacco che subiamo è più culturale che politico. La risorsa più importante di cui disponiamo è nel patrimonio di sentimenti condivisi, nella resistenza spontanea ad aderire a pensieri e giudizi che ci appaiono violare qualcosa di naturale e fondamentale. Fidiamoci delle nostre ragioni».     


Giornata per la pace
«Il dovere del rispetto per la dignità di ogni essere umano, nella cui natura si rispecchia l’immagine del Creatore, comporta come conseguenza che della persona non si possa disporre a piacimento. (…) Il rispetto del diritto alla vita in ogni sua fase stabilisce un punto fermo di decisiva importanza: la vita è un dono di cui il soggetto non ha la completa disponibilità. (…) La pace ha bisogno che si stabilisca un chiaro confine tra ciò che è disponibile e ciò che non lo è. (…)
Per quanto concerne il diritto alla vita, è doveroso denunciare lo scempio che di essa si fa nella nostra società: accanto alle vittime dei conflitti armati, del terrorismo e di svariate forme di violenza, ci sono le morti silenziose provocate dalla fame, dall’aborto, dalla sperimentazione sugli embrioni e dall’eutanasia. Come non vedere in tutto questo un attentato alla pace?».

(Benedetto XVI, Messaggio per la 40ª Giornata mondiale della pace, 1° gennaio 2007).



Parole per capire.


Eutanasia.

Uccisione diretta e volontaria di un paziente terminale, che si trova in condizioni di grave sofferenza, e su sua richiesta. Si può attuare con azioni o omissioni (di cure), quindi la distinzione tra eutanasia attiva e passiva ha poco senso. Questa finora descritta è l’eutanasia diretta. Quella indiretta è l’effetto secondario di un trattamento medico.


Suicidio assistito
È la richiesta che una persona gravemente malata, ma non malata terminale né prossima alla morte, rivolge in piena coscienza e lucidità a un medico, parente o amico per avere un farmaco che le dia la morte. In questo caso è l’ammalato che si procura la morte, sia pure grazie a un farmaco fornitogli da altri.


Accanimento terapeutico
È un trattamento medico inefficace, che procura al paziente ulteriore sofferenza senza poterlo guarire. Non è l’atteggiamento del medico che «fa di tutto» per salvare il paziente o prolungarne, sia pure di poco, la vita. È invece l’atteggiamento del medico che, pur sapendo di aver fatto tutto il possibile, si ostina a sottoporre l’ammalato a trattamenti inutili e gravosi, con l’unico effetto di prolungarne l’agonia.


Cure palliative
Il loro obiettivo è non di prolungare la vita delle persone affette da un male inguaribile, ma di migliorarne la qualità alleviando le sofferenze. Uno degli elementi centrali delle cure palliative è la somministrazione di farmaci antidolorifici: il solo uso di quelli semplici ha permesso di alleviare l’80 per cento delle situazioni di dolore. Purtroppo, per resistenze culturali o per mancanza di disponibilità dei farmaci, come la morfina, in alcuni casi essi non vengono ancora adoperati.


Testamento biologico
È sottoscritto dal paziente e contiene alcune semplici indicazioni sulle forme di assistenza che egli desidera o meno ricevere nel caso in cui fosse incapace di decidere. Sono escluse alcune richieste, ad esempio la sospensione di idratazione e alimentazione artificiale e, in generale, l’eutanasia. Alla Commissione igiene e sanità del Senato sono in discussione otto disegni di legge, per alcuni aspetti diversi tra loro, aventi per tema la «dichiarazione anticipata di volontà sui trattamenti sanitari».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017