Famiglia, scuola di libertà

«I fortunati genitori di Antonio… erano nel primo fiore della giovinezza allorché misero al mondo questo felice figlio; e al sacro fonte battesimale gli posero nome Fernando...» (Assidua, 2)
29 Dicembre 2008 | di

È uno stralcio tratto dalla prima biografia di sant’Antonio scritta da un confratello a un anno dalla sua morte. Poco prima, a soli undici mesi dal suo transito, Antonio è stato proclamato santo da papa Gregorio IX. Il ricordo di quest’uomo straordinario è freschissimo nei vecchi compagni agostiniani come negli attuali fratelli francescani. Ci sono poi le folle, testimoni di miracoli che fiorivano da lui ancora vivente e ora dalla sua Tomba. E, perché no?, forse nella Lisbona del 1232 vivono ancora gli anziani genitori di Antonio, Martino e Maria, la sorella Maria, e magari altri fratelli... Dopo tutto è morto a soli trentasei anni! L’autore parla di «fortunati genitori» e di «felice figlio». Mi sorprendono queste positive puntualizzazioni, che non toccarono invece allo stesso Francesco d’Assisi e alla sua famiglia, descritti dal primo biografo, Tommaso da Celano, con toni severi obbedendo a uno stile agiografico medievale che preferiva far emergere, forte e solitaria, la figura del predestinato alla santità.
Il narratore sembra voler dire che Antonio, o Fernando come egli si chiamò fino ai quindici anni, non solo era di buona famiglia, ma che questo fatto è stato preludio della sua santità. In effetti, la scelta religiosa intrapresa dal giovane Fernando non è una fuga da un mondo familiare ostile o tiepido, ma l’adesione appassionata e «curiosa» a un Bene che ha conosciuto e goduto «in» e «mediante» quella famiglia, nel fiore degli anni, alle prese con l’educazione di un ragazzino che sembra non dar pensiero alcuno ai genitori. Si intuisce, insomma, una sorta di ecologia familiare esente da conflitti di relazione.

Questa libertà permetterà ad Antonio di allontanarsi da casa a distanze crescenti, sempre più in mare aperto, sempre più sulle orme del solo Signore: dalla rumorosa abbazia di Lisbona a quella più raccolta di Coimbra, dagli amati studi al Marocco da «conquistare» a Cristo. E poi: l’Italia, la Francia, la scelta di Padova. E più si allontana da casa, più diventa se stesso: in quindici anni con papà Martino e con mamma Maria ha ricevuto un nutrimento che sostiene il suo cammino verso Dio e gli uomini.

Quando, diventato frate Antonio, egli si unirà a una missione francescana nel Marocco musulmano, sicuramente Maria e Martino avranno tremato: il loro figlio stava rischiando la vita. Verrebbe da pensare che una madre avrebbe dovuto correre a dissuadere questo «fuori di testa». Non lo fece, preferì seguirlo senza inseguirlo, come aveva fatto Pica con Francesco, ad Assisi, poco prima.
Sant’Antonio avrà sempre un debole per le famiglie e per i rapporti familiari, così importanti, così costitutivi e così fragili. Tra i miracoli attribuitigli, ricordiamo l’interven­to chiarificatore a favore della donna ingiustamente accusata dal marito di infedeltà, i casi dei bambini salvati e restituiti vivi alle loro madri, la salutare lezione nei confronti di un giovane che aveva dato un calcio alla propria madre... Tutti per la famiglia, realtà amata.
Al di là di ogni moralismo viene da concludere che davvero è prezioso il clima familiare «buono», in ogni circostanza, lieta o meno che sia, e che la felicità di un figlio è nell’incontro con il segreto del Bene che è nello scrigno profondo di ogni famiglia, di un uomo e di una donna che si aprono alla vita.
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017