Fatti, non notizie
Avete mai notato che, dell’evento fondamentale della nostra fede in Gesù Cristo, e cioè la sua risurrezione, non sappiamo praticamente nulla? Che cosa sia davvero successo quella notte, i tempi e i modi della risurrezione di Gesù, ci sono del tutto ignoti. Tant’è che significativamente nell’Annuncio Pasquale alla Grande Veglia del Sabato Santo, cantiamo: «O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi». Nessuna istantanea e tanto meno nessuna diretta televisiva. Nessun reporter tempestivamente sul luogo, e la street photography (la fotografia di strada, ndr) doveva aspettare ancora qualche secolo prima di essere inventata. La nostra curiosità, in questo caso almeno anche giustificata, deve incassare un colpo basso: non sappiamo come Gesù sia risorto.
Solo gli artisti hanno provato l’impossibile: in Occidente, immaginandosi Gesù che, tra soldati romani tramortiti o in fuga terrorizzati, spunta trionfalmente dal sepolcro, talvolta incongruamente reso come un sepolcro romano, impugnando il vessillo crociato; in Oriente, rappresentandolo piuttosto mentre scende, altrettanto trionfalmente, negli inferi, dopo averne divelto le porte, e, presi per mano gli antenati, cominciando da Adamo ed Eva, li trasferisce in paradiso. Ma niente di tutto ciò è scritto nei Vangeli. I quali cominciano le loro narrazioni pasquali solo un istante dopo. Al mattino presto, quando le donne si recano meste al sepolcro con gli unguenti utili a terminare la preparazione del cadavere di Gesù (Lc 24,1). Che oltretutto è partire dai testimoni più inaffidabili che potessero essere lì in quel momento, perché emotivi e troppo coinvolti nei fatti.
Da un punto di vista mediatico, un autentico flop! È mancato lo scoop giornalistico, alla sera niente talk-show con gli opinionisti di mestiere né copertina sulle riviste di gossip. Si è «bucata la notizia», cioè non è stata data, così come mancano i lanci delle agenzie. E perciò, non c’è stato nemmeno il fatto. Almeno per noi, quotidianamente chiamati a essere testimoni sì di fatti, ma solo di quelli che, trasformati in notizia, qualcun altro decide debbano esserlo, selezionandoli tra molti altri. Per noi, per i quali esiste solo ciò che la tv ci mostra o di cui i giornali ci parlano. Più guardoni, in realtà, che testimoni. Incapaci di prestare davvero attenzione a quello che scorre davanti ai nostri occhi, e che solo tangenzialmente sembra sfiorare la nostra vita. Stanchi spettatori di uno spettacolo che non ci piace, rassegnati, almeno fin tanto che queste cose succedono altrove.
Per i cristiani invece niente mausolei né altri monumenti né coperture mediatiche. La nostra fede nasce nel «niente»: il silenzio di una notte profonda, il vuoto di una tomba, giusto un lenzuolo funebre buttato da una parte. E scaturisce dal racconto che uomini e donne ci hanno trasmesso del loro incontro con il Risorto, di come la loro vita è improvvisamente cambiata a partire da questo incontro. Non sappiamo che cosa capitò a Gesù quella notte, ma sappiamo – e molto bene! – cosa successe a partire da quella notte a Maria di Magdala, a Pietro, Giovanni, Paolo, Francesco d’Assisi, Antonio di Padova, Teresa di Calcutta, Oscar Romero, e a tanti cristiani sconosciuti in giro per il mondo! Il «fatto» della risurrezione è questo: neppure sapere per filo e per segno come possa essere fisicamente che un uomo sia potuto risorgere – questa è solo la «notizia» – quanto piuttosto sperimentare in ogni tempo il Cristo risorto nella vita dei fratelli e delle sorelle. E nella mia.
Un poeta lo scrive di un personaggio famoso il cui monumento funebre è nella basilica di Santa Croce a Firenze: «Ma i turisti devono sapere / che i resti di quest’uomo / sono ovunque, tranne / in quell’urna a Santa Croce» (Pedro Shimose). Ma lo stesso desideriamo annunciare di Cristo risorto!