Fede, cemento di una comunità

Nostra Signora del Monte Carmelo fu il primo fulcro religioso dei nostri connazionali. La diffusione di fede e tradizioni si estese con l'ampliarsi della nostra presenza.
17 Settembre 2008 | di

Toronto
Agli inizi del secolo scorso, la città di Toronto contava poco più di 200 mila abitanti, in grande maggioranza di lingua inglese e di religione protestante. Gli italiani formavano una piccola comunità di circa 3 mila anime, numero che aumentava sensibilmente, fino a raddoppiare nei mesi invernali quando gli italiani che si trovavano a tagliare la legna nelle foreste del Nord o a costruire le ferrovie nel west della nazione canadese, tornavano a Toronto per passarvi l’inverno.
Gli italiani erano divisi in due categorie: «i residenti», quelli cioè che avevano messo solide radici e vivevano in famiglia; e «gli stagionali», quasi totalmente uomini, alcuni scapoli, altri con moglie e figli in Italia, i quali passavano alcuni mesi o anni in Canada, con l’intenzione di mettere da parte un bel gruzzoletto per poi tornare al proprio paese natio. Intanto, mano a mano che l’industria tessile si sviluppava, e la richiesta di lavoratori nel campo delle costruzioni creava nuove opportunità di lavoro, il numero dei nuovi immigrati aumentava parallelamente. Questo fattore cominciava a preoccupare il governo canadese che ben presto arrivò a emanare dei decreti discriminatori verso certi gruppi etnici, in particolare gli italiani. Di fronte a questa aperta ostilità, nel 1908 si levò in loro difesa la Società Umberto Primo: un organismo sociale simile al Congresso Nazionale degli Italo-Canadesi, che tramite una lettera aperta del presidente Donato Glionna, pubblicata su The Globe, lamentava il trattamento ingiusto che ricevevano gli italiani. Su suggerimento di monsignor Dennis O’Connor, all’epoca arcivescovo di Toronto, l’editore del Catholic Register prese le difese degli italiani, scrivendo fra l’altro che «…sarebbe difficile trovare fra i nostri cittadini persone più industriose e che abbiano maggiormente a cuore la loro casa e le loro famiglie, e che pesino di meno sulla carità pubblica. L’italiano lo trovi molto raramente tra la schiuma dei fannulloni che circola per le nostre strade. Dovunque c’è lavoro duro da fare, l’italiano è sempre in evidenza, e raramente arriva tardi sul lavoro il lunedì con la testa pesante per i fumi dell’alcol. Ancora più raramente lo trovi coinvolto nei gravi atti criminosi che funestano la vita cittadina…».
Fu proprio in seguito a questo appoggio pubblico dei cattolici irlandesi di Toronto che gli italiani, i quali fino ad allora si erano radunati in una cappella della cattedrale di St. Michael per la loro messa domenicale, chiesero di avere un sacerdote italiano, che oltre a parlare la loro lingua, venisse dalla loro terra d’origine, avesse la loro stessa mentalità, e fosse capace di capire i loro problemi e le loro aspirazioni. Ed ecco che per diretto intervento dell’arcivescovo e della comunità irlandese, essi ottennero non solo un sacerdote che rispecchiasse le loro aspettative, ma anche una chiesa tutta per loro, nel centro della città, poco lontano dalla cattedrale.

(*) L. Pautasso, Pagine di storia religiosa degli italiani di Toronto.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017