Fiore nella terra del Vangelo
Un fiore di grazia piantato nella Terra Santa, cresciuto nell’humus delle Sacre Scritture e nella fede delle comunità cristiane del Medio Oriente, che ha portato il frutto dell’amore maturo. Proprio laddove le promesse fatte alla casa di Davide e ai profeti si sono compiute: Bethlehem è il luogo in cui si può collocare la nascita terrena e poi quella al cielo di suor Maria di Gesù Crocifisso, al secolo Mariam Baouardy. La santa canonizzata di recente da papa Francesco, infatti, vi è morta a 33 anni il 26 agosto (giorno in cui ricorre la sua festa liturgica, ndr) del 1878, nel monastero da lei fondato.
La vita di questa cristiana di Galilea, nata a Ibillin (vicino a Nazareth) nell’Epifania del 1846, è dono della Vergine Maria, invocata dai suoi genitori nella città della Natività: qui l’umile coppia si era recata in pellegrinaggio per chiedere il dono di un figlio, dopo averne persi dodici. La sua vita si è consumata tra gli umili: ai poveri, innanzitutto, andò la sua preferenza quando, lavorando a servizio dalle famiglie, sceglieva appunto le più bisognose, arrivando a chiedere l’elemosina per loro. Di famiglia maronita, battezzata secondo il rito melchita, carmelitana e dunque latina per vocazione, Mariam indica il cammino dell’unità non solo nella Chiesa, lei che ha sperimentato in un certo modo l’«ecumenismo del sangue». «La docilità allo Spirito Santo l’ha resa anche strumento di incontro e di comunione con il mondo musulmano», ha sottolineato il Papa nell’omelia della canonizzazione, il 17 maggio scorso. Aveva 13 anni quando fu aggredita da un servo turco che tentava di convertirla all’islam, ed essendosi proclamata figlia della Chiesa cattolica, fu sgozzata con una scimitarra: era l’8 settembre 1858 (lo stesso anno delle diciotto apparizioni di Lourdes). Fu salvata da una «infermiera vestita d’azzurro» che la curò e le preannunciò alcune tappe della sua vita: in lei riconoscerà la Vergine Maria. Come segno di questa guarigione miracolosa, le rimase una cicatrice sulla gola di dieci centimetri e la voce rauca; un medico accertò che le mancavano persino alcuni anelli della trachea. Riconosciuta e chiamata al qiddisa (la santa) già da viva, nel suo Paese è venerata come tale anche dagli altri figli di Abramo. Il Carmelo di Betlemme (convento che Mariam fondò nel 1876, ndr), a poca distanza dalla tomba di Rachele, fu costruito da operai di fede islamica. La giovane araba, però, non mancò di esprimere la sua amarezza per la conquista dei luoghi santi da parte dei turchi. Di passaggio a Latrun, villaggio sulla strada per Gerusalemme, le venne rivelato che lì alcuni cristiani avevano apostatato convertendosi all’islam, mentre altri, per aver mantenuto salda la professione della loro fede, erano morti come martiri. Ali per volare lontano È stata descritta come la prima beata palestinese dell’epoca moderna, ma la definizione è limitata: Mariam travalica i confini geografici e politici. Innestata sul tronco di Jesse – il convento da lei fondato a Betlemme, e primo Carmelo in Palestina, fu costruito proprio sulla culla del re Davide –, riassume in sé i tratti forti delle figure bibliche femminili e apre orizzonti di speranza per tante donne povere, sole, oppresse. Mariam è una stella per i fedeli di Terra Santa, ma «ha le ali per volare lontano», racconta suor Maria Giuseppina, maestra delle novizie nel Carmelo di Haifa. Nata in Galilea – oggi stato di Israele, all’epoca Siria dominata dall’impero ottomano –, ha vissuto in Egitto e in Francia (a Marsiglia entrò nelle suore di san Giuseppe dell’Apparizione e, due anni dopo, nel Carmelo di Pau, a pochi chilometri da Lourdes). È arrivata fino a Mangalore, in India, dove fu la prima carmelitana a fare la professione. La santa araba può sembrare lontana dal nostro quotidiano. Ha avuto molti doni di grazia, ha vissuto tanti anni da suora. Proclamata beata nel 1983 da papa Giovanni Paolo II, e santa insieme alla sua conterranea suor Marie Alphonsine Danil Ghattas, è una figura eccezionale, anche nel panorama agiografico. E se da un lato si resta increduli, persino scossi, per le manifestazioni di questa mistica, conoscendola più da vicino si scoprono l’attualità del suo messaggio, l’essenzialità del suo carisma: l’umiltà che conduce al cuore del Vangelo. Pur se analfabeta – non frequentò mai una scuola –, durante le estasi Mariam improvvisò cantici e inni pieni di sapienza. Poesie che riecheggiano salmi e parabole bibliche, che esprimono la bellezza della natura in cui la santa contemplava la bontà del Creatore. «Umile e illetterata – ha detto papa Francesco nell’omelia in occasione della canonizzazione della religiosa – seppe dare consigli e spiegazioni teologiche con estrema chiarezza, frutto del dialogo continuo con lo Spirito Santo». «Se vi dimenticate di praticare tutti i giorni l’umiltà – disse una volta Mariam – l’albero dell’anima vostra si seccherà». L’umiltà è il filo rosso che caratterizza tutta la sua vita. Esortava le sorelle a essere piccole, per essere custodite come i pulcini dalla chioccia. O a imitare le api, che estraggono il miele ovunque. «Cogliete dovunque il succo dell’umiltà. Il miele è dolce; l’umiltà ha il gusto di Dio; fa gustare Dio». E ancora: «Che ognuno serbi il fiele per sé e dia il miele agli altri».
Le consorelle la trovavano appollaiata su un ramo di tiglio: cantando le lodi, si sollevava da terra, tanto era piena di Dio. Andò in estasi anche lavando i piatti. Viveva fenomeni eccezionali come stimmate e bilocazioni, ma non ne fu mai consapevole: chiamava le estasi «la mia malattia», e raccomandava di non cercare qua e là lo straordinario, altrimenti, «la vostra fede s’indebolirà». La via maestra, insegnava, è nell’essere «fedele alla fede, alla Chiesa, al Vangelo». Patrona degli intellettuali «Ci sia permesso di augurarci che questa piccola illetterata possa diventare la patrona degli intellettuali – disse di lei René Schwob, scrittore francese di origine ebraica convertitosi al cattolicesimo –. Essa è l’ideale che li può liberare dall’orgoglio». Mariam è stata perfetta coetanea di Bernadette Soubirous. Come la santa francese – a cui la Vergine parlava in dialetto –, suor Maria ha manifestato la potenza di Dio nella sua semplicità, ha toccato il cuore degli intellettuali della sua epoca, dominata dal razionalismo e dall’ateismo. Ai cristiani di oggi, immersi in una cultura neo-pagana e narcisista che attinge persino alla magia, indica l’essenziale: la coscienza della propria «creaturalità», alla luce dell’amore del Creatore. Agli uomini del nostro tempo mostra che la pienezza della vita passa per l’accettazione delle piccole cose, con fede assoluta. Lei, che mai si lamentò, neppure nel dolore della passione che riviveva in modo ricorrente. La sua vita, un calpestare passo dopo passo le orme della volontà di Dio, si distinse per l’obbedienza, «fino al miracolo». Insegnava alle sorelle a non contraddire la Regola. «Agnelli – diceva loro –, voi tutti non fate che un cuore e un’anima». Mariam porta in dote alla Chiesa universale la ricchezza delle Chiese d’Oriente e la loro devozione allo Spirito Santo, che invocò incessantemente e da cui si lasciò guidare attraverso eventi e prove umanamente incomprensibili. Questa sua docilità, che l’ha resa una pioniera, oltre che una teologa del «grande sconosciuto», è il suo messaggio attualissimo per i cristiani di oggi. Le sorelle la chiamavano la «piccola araba», lei si definiva «piccolo nulla», «piccola polvere»; eppure, affidandosi a Dio nella preghiera, chiedendo aiuto alla Vergine e ai santi, aprì cammini inimmaginabili. Lei che, rimasta orfana già a 3 anni e cresciuta senza guida, prima di entrare al Carmelo passò per ogni genere di vicissitudini. Suora dal velo bianco (conversa), a stento si esprimeva in francese, ma seppe dirigere i lavori per la costruzione del Carmelo di Betlemme. Doveva essere come una torre – le aveva rivelato il Signore – edificata sulla culla del re Davide. I dettagli, da lei spiegati a voce, furono tradotti in un modellino di carta. Mariam aveva preannunciato che non sarebbe vissuta tre anni dal suo arrivo a Betlemme, e così fu. L’edificio non era terminato quando ella morì per una cancrena, seguita a una frattura all’omero: cadde portando l’acqua per dissetare gli operai. Il convento che sorge su una collina a ovest della città custodisce i suoi resti; emblema del totale abbandono d’amore a quel Dio che rivela i suoi segreti ai piccoli e che afferma la sua potenza con la bocca dei bambini.
SANTITÀSuor Maria Alphonsine
«Voglio che il Rosario sia recitato giorno e notte, in continuità». Fu la richiesta della Vergine a Maria Ghattas, l’altra religiosa di Terra Santa, canonizzata da papa Francesco il 17 maggio scorso con suor Maria di Gesù Crocifisso. Nata a Gerusalemme nel 1843, come Mariam entrò inizialmente nelle Suore di san Giuseppe dell’Apparizione e prese il nome di suor Maria Alphonsine. A Betlemme, nel 1874, le apparve la Madonna, che poi la invitò a fondare una nuova famiglia religiosa, destinata solo alle vocazioni indigene. Si sarebbe chiamata Congregazione del Santo Rosario, e oggi è diffusa in Terra Santa, Libano, Egitto, Siria, Kuwait e in talune zone degli Emirati. Nel luglio 1880 alcune giovani – raccoltesi grazie a Marie Alphonsine – iniziarono la vita comune e presero il nome di Suore del Rosario. Nel 1887 venne approvata la loro Regola. Marie Alphonsine morì quarant’anni dopo; solo allora, leggendo i suoi scritti, si scoprì che la Vergine Maria le era apparsa, e che la suora era la cofondatrice della congregazione.