Fra Marco, sei anni al futuro

Confermato lo scorso 29 gennaio alla guida dell’Ordine per altri sei anni, fra Marco Tasca traccia i cammini futuri degli oltre 4 mila conventuali presenti nei cinque continenti.
26 Febbraio 2013 | di

L’appuntamento ad Assisi è al Sacro Convento, il luogo, parte del complesso basilicale, che ospita i frati conventuali cui è affidata la custodia della tomba del Poverello. Proprio qui si è svolto, dal 19 gennaio al 17 febbraio scorsi, il Capitolo generale dei francescani conventuali: la riunione periodica dei rappresentanti dei conventuali di tutto il mondo che elegge il Ministro generale, vale a dire il frate chiamato a servire l’intero Ordine per i prossimi sei anni. Ed è proprio lui, il 119° Ministro generale dell’Ordine dei frati minori conventuali, che ci apprestiamo a incontrare: fra Marco Tasca, riconfermato alla guida lo scorso 29 gennaio.

Msa. Fra Marco, sei anni alle spalle e sei anni davanti, come si sente in questo frangente?
Tasca. Difficile spiegarlo. Sei anni fa, quando venni eletto per la prima volta, ero felice, emozionato, ma anche poco consapevole di quanto mi stava accadendo. Venivo dall’esperienza di Ministro della Provincia padovana, e avevo uno sguardo parziale sull’Ordine. Oggi conosco molto meglio la realtà e so bene che cosa mi attende; avverto un profondo senso di responsabilità. Al contempo, percepisco una grande apertura di speranza: ora intuisco bene le possibilità, i sogni, le attese dei miei frati e questo mi apre a una dimensione piena di futuro. Infine, e forse è proprio l’aspetto preponderante, sto facendo una grande esperienza di fiducia: sentire che tanti frati credono in me, mi colma il cuore di gioia.

Che cosa significa essere successore di san Francesco?
Quando lo sento dire dai frati avverto un brivido lungo la schiena. Sono ben conscio di quello che sono e di ciò che so e non so fare. Il confronto con san Francesco è difficile da reggere! Ma se penso a come lui ha fatto il generale del suo Ordine, allora ritrovo una grande serenità: Francesco, infatti, rimandava al Vangelo, non a se stesso. Cercava di condividere uno stile di vita più che di imporre il proprio esempio. Inoltre, ritengo che oggi la situazione dell’Ordine sia molto diversa rispetto a otto secoli fa, è difficile fare un confronto: san Francesco aveva frati in Italia o al più in Europa, mentre ora i frati sono sparsi nei cinque continenti. È una situazione, sotto questo aspetto, più complessa.

Ci presenta la sua famiglia?
È una grande e bella famiglia, con una lunga storia: ottocento anni di vita. Abbiamo appena vissuto il duecentesimo Capitolo generale. Siamo più di 4 mila frati sparsi in tutto il mondo, impegnati nelle più svariate attività e ministeri: andiamo dalla presenza nelle facoltà teologiche al servizio ai più fragili e deboli, dall’impegno nei mass media all’essere i confessori ufficiali nella Basilica di San Pietro. Siamo presenti nei cinque continenti, anche se con sostanziali differenze: al Nord stiamo registrando un progressivo invecchiamento, al Sud c’è invece un fiorire di vocazioni. Ma la bellezza di essere un’unica Famiglia è anche questa: se da un lato ci sono delle difficoltà, dall’altro ci sono nuove risorse. Siamo tanti, diversi, eppure questa varietà non incide sulla nostra capacità di sentirci fratelli, parte di un’unica famiglia. Una famiglia che, non dobbiamo dimenticarlo, è custode del corpo di san Francesco: un’eredità grande, che ci unisce ancora di più.

Qual è, nel panorama francescano, la specificità dei conventuali?
Eventi storici hanno portato i «figli» di san Francesco a dividersi in più Ordini nel corso dei secoli: i frati minori, i frati minori cappuccini, i frati minori del terz’ordine regolare e noi frati minori conventuali. Oggi, pur essendo ancora presente questa suddivisione, c’è una comunione profonda nella famiglia francescana, su molti aspetti. Io m’incontro periodicamente con i Ministri generali degli altri Ordini per uno scambio di idee ed esperienze. Ci confrontiamo sulle sfide che dobbiamo oggi accogliere come francescani per essere testimoni credibili del Vangelo e del carisma di Francesco.

La conventualità è una dimensione di tutto il francescanesimo: risale alle origini, al Medioevo, quando i frati (contrariamente agli Ordini monastici che vivevano nei monasteri) erano chiamati ad abitare la città, condividendo la vita povera e difficile della gente. I conventuali forse hanno mantenuto più di altri questa sottolineatura di «inserimento nella città», tentando di coglierne gli elementi che possono contribuire a meglio testimoniare il carisma francescano. Lo dimostrano i tanti frati che lavorano nei mass media, cercando di vivere l’impegno comunicativo in maniera cristiana e francescana. È una sfida enorme, ma credo che sia tipica dei conventuali. Un altro ambito importante è quello culturale: nella storia del nostro Ordine ci sono filosofi, teologi, astronomi, giuristi, architetti, frati che hanno saputo testimoniare la vita francescana in molteplici forme di ministero.

Quali sono stati i doni che ha ricevuto in questi anni e per i quali è più grato al Signore?
Rispondo con le parole di san Francesco: «Il Signore mi donò dei fratelli». È questo il regalo più grande che il Signore mi ha fatto. Da quando sono Ministro generale viaggio molto: sono stato ospite nei conventi di tutto il mondo e ogni volta sono stato accolto con amore, ho trovato frati che mi hanno regalato il loro tempo, le loro attenzioni. Sono grato al Signore perché in questi viaggi ho potuto vedere quanti frati in tutto il mondo, in condizioni diversissime, stanno dando la vita per il Vangelo. Sono grato per i frati che vivono in situazioni di frontiera, in totale donazione al Signore al servizio dei più poveri.

Penso in questo momento, per esempio, ai miei frati in Amazzonia: sono andato a trovarli nel convento che dista tre giorni di barca da Manaus. Durante la mia permanenza ho potuto visitare la tomba di un frate, Agostino Januszewicz, che dalla Polonia è partito missionario per il Brasile, dove è diventato vescovo. Appena terminato il suo ministero episcopale, ha chiesto di recarsi in missione in Amazzonia, dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita. Ho visitato la sua tomba per dirgli: «Grazie fra Agostino, per la tua testimonianza di donazione totale».

In quali ambiti si è concentrato maggiormente il suo impegno?
Non vorrei ripetermi troppo, ma in questi sei anni ho cercato soprattutto di conoscere i miei frati, perché sono convinto che il primo modo di voler bene alle persone è stare con loro, semplicemente, condividendone la vita. Al contempo, mi sono impegnato a fondo nel costruire un clima fraterno e di comunione all’interno del Definitorio, il gruppo di frati che mi supporta nel governo dell’Ordine. Con loro ho trascorso tanto tempo nell’ascolto reciproco, nello scambio di idee, progetti, timori. Sono certo che solo facendo un gioco di squadra potremo essere significativi nella realtà odierna.

Quali sono, a suo parere, i punti di forza e i punti di debolezza dei francescani di oggi?
Il punto di forza sta proprio nel fatto che siamo inseriti nella vita della gente. I nostri conventi si trovano nella città: andiamo dal convento in Cina, al ventunesimo piano di un palazzo qualsiasi, al convento in India, in cui i frati condividono la vita della povera gente. Il punto di debolezza più forte è, invece, il rischio dell’attivismo. Ho visto frati che hanno tantissime cose da fare, troppe. Penso, per esempio, a una parrocchia in Centro America con 120 mila persone, ventisei chiese e solo tre frati. Certo, il loro è un attivismo evangelico, si tratta di frati che stanno dando la vita per questo. Però dobbiamo cercare di avere sempre un occhio di riguardo per la nostra dimensione fraterna, per i nostri ritmi di vita.

Come riuscite a mettere insieme sensibilità differenti, legate alla diversa provenienza geografica dei frati, all’interno dell’Ordine?
Questa è la vera grande sfida del futuro. Per affrontarla stiamo lavorando al rinnovo delle Costituzioni (l’attualizzazione della Regola di san Francesco). Quelle in vigore sono state fatte quando i frati provenivano in prevalenza dal Nord del mondo, quindi risentono della cultura, della sensibilità e della visione del futuro di questa parte del pianeta. Ora non sono più adeguate: è necessario che i frati del Sud del mondo le arricchiscano del loro contributo e della loro sensibilità. I frati africani, latinoamericani, asiatici, devono aiutarci a inculturare sempre meglio il nostro carisma nei loro Paesi di provenienza. Se non saremo in grado di accogliere e valorizzare l’apporto di sensibilità diverse e nuove, il nostro Ordine sarà più povero.

Quali altre sfide urgenti attendono i frati?
La prima sfida, riallacciandomi a quanto ho appena detto, proviene dalle differenti realtà culturali dell’Ordine e dei contesti sociali nei quali siamo inseriti. Viviamo in un mondo in cui sembra impossibile mettere insieme le differenze. Noi frati, invece, siamo chiamati a dire con la nostra vita che questo è possibile, che possiamo vivere bene insieme pur nella diversità di lingue, culture, storia, ma anche di aspetti all’apparenza banali, come quelli che riguardano il cibo. Ricordo un episodio, accaduto in Messico: i frati, per festeggiare la mia presenza, avevano preparato una ricca colazione mattutina a base di cotiche di maiale e fagioli piccanti. Quando hanno visto la mia faccia perplessa, hanno capito: «Padre, vuole un caffè?». «Sì dai, datemi un caffè…» ho risposto con semplicità. In quell’occasione ho imparato che si può partecipare a una festa anche senza mangiare.

Una seconda sfida è l’incontro con l’islam. Abbiamo parecchie comunità in Paesi a prevalenza islamica. Mi viene in mente, per esempio, la realtà di Istanbul: nella nostra chiesa di Sant’Antonio al martedì, giorno dedicato al Santo, moltissimi musulmani vanno ad accendere una candela. Che altro è questo se non un gesto di incontro? Un incontro non teologico, certo, ma di persone che cercano una speranza, che cercano insieme di affidarsi a qualcuno. E di incontri di questo tipo l’Ordine è pieno: in Uzbekistan, in Kazakistan, nel Libano, viviamo quotidianamente l’incontro con il non cristiano alla maniera di san Francesco, il quale ai suoi frati raccomandava di andare tra le persone che non credono in modo semplice, testimoniando il Vangelo con la propria presenza pacifica e fraterna e annunciandolo se e quando il Signore l’avesse voluto.

Che cosa può dire al mondo di oggi il carisma francescano?
San Francesco, nella sua Regola, dice semplicemente: i frati vivano il Vangelo. Niente di più. Allora noi, oggi, come suoi eredi, possiamo dire alle persone: è bello e vale la pena vivere il Vangelo. Dirlo con la nostra vita. Far vedere che se tu perdoni sei felice, se doni hai il centuplo, se sei misericordioso trovi pace. Vivere il Vangelo fidandosi del Signore e dei fratelli, come ha fatto san Francesco. Testimoniare la fiducia in un mondo nel quale nessuno si fida più degli altri non è semplice, ma noi frati siamo chiamati a farlo, dicendo con la nostra vita non solo che è possibile, ma che è bello fidarsi l’uno dell’altro, partendo dall’esperienza originaria del fidarsi di Dio. Vivere la nostra minorità è un ulteriore segno che possiamo donare al mondo.

Oggi tutti cercano di essere i primi, di sopraffare l’altro. A noi Francesco dice: siate minori, cioè siate deboli, siate secondi. E, infine, possiamo dire che per vivere bene non servono tante cose, che si può essere felici esercitando la sobrietà, oltre che nello stile di vita, nel parlare e nelle relazioni con gli altri, vale a dire vivendo i rapporti interpersonali  senza cercare il proprio tornaconto, ma in modo semplice ed essenziale.

Lei proviene dalla Provincia padovana dei conventuali, cui è affidata la custodia dei resti mortali e del carisma di sant’Antonio. In che modo il messaggio antoniano caratterizza il suo ministero?
Ho cercato di mettere in pratica il motto che nella Provincia padovana abbiamo coniato per sintetizzare il carisma antoniano: «Vangelo e Carità». Un motto molto francescano, perché san Francesco ha cominciato a vivere il Vangelo proprio incontrando il lebbroso, sperimentando, cioè, la carità, l’amore di Dio per ogni creatura. Questo binomio per me è un programma di vita per tutti i frati: da un lato continuare ad annunciare il Vangelo anche con la riflessione teologica e filosofica che appartiene alla nostra tradizione; dall’altro esercitare la Carità al servizio degli ultimi. Con le strutture, certo, ma soprattutto con l’esperienza personale, vivendo un servizio concreto là dove il Signore ci chiama.
 
 

Biografia
Fra Marco Tasca

 
Nasce il 9 giugno 1957 a Sant’Angelo di Piove (PD). Entra nell’Ordine a Camposampiero (PD) il 29 settembre 1968. Emette la professione temporanea il 17 settembre 1977 e quella solenne il 28 novembre 1981. È ordinato sacerdote il 19 marzo 1983 a Sant’Angelo di Piove (PD), per le mani di monsignor Filippo Franceschi, Vescovo di Padova. Compie gli studi filosofico-teologici all’Istituto teologico Sant’Antonio Dottore a Padova. Nel 1982,dopo aver conseguito il grado accademico di Baccellierato, viene trasferito a Roma, presso il Collegio internazionale Seraphicum, dove frequenta i corsi di licenza all’Università Pontificia Salesiana (UPS) conseguendo prima la licenza in Psicologia (1986), e poi quella in Teologia Pastorale (1988).

Rientrato in Provincia, dal 1988 al 1994 è Rettore del seminario minore di Brescia e, dal 1994 al 2001, del post noviziato a Padova. È inoltre docente di Psicologia e Catechetica presso l’Istituto teologico Sant’Antonio Dottore. Nel Capitolo provinciale del 2001 viene eletto Custode capitolare e Guardiano del convento di Camposampiero, incarichi che svolge fino al 2005, anno in cui è eletto Ministro provinciale. Durante il suo provincialato è anche vicepresidente nazionale della CISM (Conferenza italiana Superiori maggiori) e presidente del Mo.Fra.Ne. (Movimento Francescano del Nordest).Il 26 maggio 2007, presso il Sacro Convento di Assisi, il Capitolo generale ordinario lo elegge 119°successore di san Francesco, carica riconfermata lo scorso 29 gennaio.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017