In fuga dalla disperazione
Vancouver, B.C.
Uomini trattati come merce. Non accadeva solamente ai tempi oscuri del commercio degli schiavi, dolorante umanità strappata a tradimento dalla propria terra e destinata a sopravvivere, sfruttata, in ambienti sconosciuti e alienanti. Ci sono voluti secoli prima che i neri potessero alzare la testa e affermare la loro piena dignità di uomini liberi. Prima di un Martin Luther King, di un Nelson Mandela, di un monsignor Tutu, prima dello stesso ex pugile Rubin «Hurricane» Carter (paladino degli innocenti ingiustamente condannati e detenuti, impersonato da uno straordinario Denzel Washington nel film The Hurricane del regista canadese Norman Jewison).
Oggi, nel 2000, il commercio degli schiavi esiste ancora. Può essere meno appariscente e numericamente ridotto, ma non è meno grave e preoccupante. Anche perché questi poveretti affidano la speranza di una vita economicamente migliore nelle mani di contrabbandieri senza scrupoli che esigono dalle loro vittime somme assurde di denaro, e pongono condizioni capestro in cambio di un passaggio clandestino. Il futuro di molti giovani, soprattutto di tante ragazze spesso destinate alla prostituzione e che non trovano la forza di ribellarsi denunciando la realtà , rimane affidato a mafie locali collegate a mafie internazionali. Accade ovunque nel mondo, Europa e Italia comprese; ma ve ne sono esempi quotidiani soprattutto in Centroamerica, dove il miraggio dei cosiddetti «paradisi del nord» - Stati Uniti e Canada attraverso il Messico - alimenta quotidianamente la fame dei coyotes, sfruttatori di migranti senza documenti in un mondo diviso da frontiere.
«Non chiamatemi illegale, perché non sono un delinquente» ha affermato un giovane salvadoregno. Il ragionamento funziona ed è illuminante: illegale è infatti chi ha commesso un delitto, violando la legge penale di una nazione. Nel commercio dei migranti, fuori dalla legalità - e quindi da perseguire - sono i contrabbandieri di uomini e non le loro vittime senza voce e senza diritti. Come i 600 abbandonati nei mesi scorsi lungo le coste della British Columbia dopo l'attraversamento del Pacifico a bordo di anonime arrugginite navi-carcassa provenienti dai territori più poveri della Cina. A decine sono stati scaricati sulle coste impervie e solitarie delle isole Queen Charlotte. Altri ancora sono rimasti recentemente intrappolati per settimane all'interno di containers trasportati su navi mercantili partite da Hong Kong con destinazione Seattle e Vancouver. Alcuni sono arrivati cadaveri.
Accoglienza o rifiuto
Come altrove, anche in Canada si discute molto di immigrazione, soprattutto per quanto riguarda i rifugiati. Chiunque tocchi il suolo canadese e vi chieda ospitalità , ha diritto all'accoglienza e all'ascolto. Il processo per la definizione dello status di refugee, durante il quale i richiedenti sono detenuti o sotto controllo, è relativamente costoso e complicato. La prima fase è mediamente di undici mesi, ma secondo una recente anche se controversa proposta allo studio del ministro competente, Elinor Caplan, i tempi potrebbero essere dimezzati. Verrebbero ridotti ad un unico livello di giudizio i tre attuali, accelerando in tal modo l'esame dei 18.000 casi giacenti e facilitando il raggiungimento del target di 25 mila rilasci di Refugee status programmati per l'anno in corso. Affidare la decisione - accettare o respingere - ad un unico funzionario dell'Immigration Refugee Board (anziché all'attuale giuria di due, con possibilità di appello alla Corte Federale), è considerata, però, una limitazione al diritto di quanti, secondo la Convenzione di Ginevra, hanno «fondata paura di persecuzione» a causa di razza, religione, nazionalità , opinione politica o appartenenza ad un particolare gruppo sociale. Il rischio di essere rinviati ai Paesi di partenza potrebbe significare per loro la vita.
C'è chi vuole leggi più severe e restrittive per frenare il fenomeno dell'entrata in aereo dei clandestini alla ricerca, come i boat people e i containers people, di asilo e opportunità di vita. E c'è chi difende l'indiscussa disponibilità . all'accoglienza e alla tolleranza di un Paese fatto prevalentemente di immigrati. I critici sostengono che il corrente sistema Immigration and Refugee (in vigore da una decina d'anni) è troppo generoso e funziona da calamita per gli illegali: si teme soprattutto l'aumento della delinquenza in tutte le sue ramificazioni. C'è poi chi - sordo alle necessità del prossimo - si preoccupa unicamente di dover condividere cibo e lavoro. Non certo spazio. Il Canada, 30 milioni di abitanti, è vasto quanto l'Europa, il suo territorio è 32 volte quello dell'Italia: per il sesto anno consecutivo nello Human Development Report dell'Onu è stato classificato primo tra i Paesi a migliore qualità di vita. Al secondo posto c'è la Norvegia. L'Italia occupa il diciannovesimo, e l'Irlanda il ventesimo.
Quanto valgono i migranti?
«Siamo un Paese sottopopolato, l'immigrazione è un motore per la crescita economica» ha dichiarato uno dei critici di opposizione, il neo-democratico Pat Martin. «Le nostre leggi sono focalizzate più a tenere fuori la gente che ad attrarla... Sono necessari immigranti per soddisfare la richiesta di manodopera, per controbilanciare l'invecchiamento della popolazione e il basso tasso di natalità ». Il parlamentare si riferiva naturalmente all'immigrazione in generale, compresa quella che regola l'ammissione di operai e tecnici specializzati, di parenti e familiari, di investitori e imprenditori. A sua volta, il critico riformista-conservatore Leon Benoit ha chiesto di «rinforzare i controlli per essere certi che quanti giungono come rifugiati siano 'autentici' rifugiati», e ha detto che «Ottawa dovrebbe fare di più per attrarre immigranti indipendenti» (che garantiscano cioè un investimento di almeno 400 mila dollari e abbiano un capitale minimo di 800 mila, di provenienza documentata e pulita secondo quanto richiesto dall'Integrity Program).
Nel loro Red Book del 1993 i liberali - tuttora al governo - avevano promesso di attrarre ogni anno nel paese l'equivalente dell'1% della popolazione. Negli ultimi due anni il target di ammissioni non è stato raggiunto: 400 mila domande sono tuttora in attesa di esame. Per il 2000 la quota riservata è di 225 mila anziché di 300 mila: in realtà , si aspettano circa 180 mila nuovi immigranti, rifugiati compresi. Continuano a prevalere gli arrivi dai Paesi asiatici, ma anche dall'est europeo. È ripresa, sia pure in sordina, l'emigrazione dall'Italia: riguarda in prevalenza giovani laureati o specializzati in cerca di impiego, di serenità politica, di un ambiente autentico e sano dove inserire le future famiglie.
Se l'ammissione dei rifugiati (assistiti dal governo o sponsorizzati da privati) trova la sua ragione in motivi umanitari, la selezione dei nuovi landed-immigrant si basa sul criterio del punteggio. Educazione, specializzazione, conoscenza della o delle lingue, età , offerta di lavoro - oltre a doti personali di flessibilità , adattabilità , esperienza e conoscenza del Canada - meritano al candidato un quantitativo di punti la cui somma totale gli farà aprire o meno le porte della federazione. È un sistema equanime, basato sul merito, non sulle raccomandazioni. Vengono anche favorite le riunificazioni familiari (spose, fidanzate e bambini) e la sponsorizzazione di genitori e nonni. Inoltre, l'esempio del recente programma Kosovo ha dimostrato che ci sono molti canadesi entusiasti di sponsorizzare i rifugiati. Una volta inseriti, i nuovi immigrati diventeranno parte integrante del Canada, arricchendone il divenire culturale e sociale. E sarà anche un piccolo ma reale contributo offerto al mondo.