Generazione Coronavirus
Ottobre 1822, Manzoni descriveva il popolo italiano come: «Un volgo disperso, che nome non ha». 17 giugno 2020, credo di poter affermare che non è assolutamente cambiato niente. Si spera sempre che la generazione successiva sia migliore di quella precedente, dimenticandoci di vivere il presente.
Piacere di conoscervi, sono un ragazzo come tanti altri, che – come aveva programmato da tempo –, mentre il cielo diventa sempre più buio, riguarda per la terza volta di fila l’eterno film di Brizzi: Notte prima degli esami. Ma c’è una cosa che nessuno di noi avrebbe mai potuto programmare, ovvero concludere gli ultimi giorni di scuola, davanti ad uno scuro e gelido schermo… Ed è così che, tra una scena e l’altra del film, tra un po’ di commozione e una risata ogni tanto, mi sono appena reso conto che questo virus, ci ha tolto qualcosa che non riavremo mai più indietro.
Già, quell’esame tanto terrorizzante all’inizio, quanto liberatorio alla fine… in fondo è una di quelle esperienze che si vive solo una volta sola nella vita: quegli ultimi giorni e quelle ore di scuola, l’ultima foto di classe, le ultime grida liberatorie di ragazzi, consci che stanno per diventare adulti, l’ultimo suono della campanella, le vacanze di maturità… insomma tutto quello che probabilmente racchiude il senso di ben tredici anni della nostra vita, passati dietro ad un banco.
Non sono certo molti i riconoscimenti che solitamente vengono rivolti alla mia generazione, ma pare che questa volta il mondo là fuori non abbia potuto proprio fare a meno di apprezzare la grandissima maturità con la quale abbiamo affrontato questa assurda situazione. In realtà, il Coronavirus non è altro che una delle tante prove che la mia generazione ha dovuto superare, e se nessuno prima d’ora se n’era mai accorto, è solo perché tutte le volte che siamo caduti, ci siamo sempre rialzati in silenzio, e per una volta, se sarò fortunato e me ne verrà concessa l’occasione, vorrei raccontarvi una breve storia.
Questa storia parla di alcuni ragazzi, che in questi ultimi stranissimi mesi, mentre il numero dei contagi e dei morti aumentava, si sono alzati ogni singola mattina, vestendosi e pettinandosi come fosse una giornata come tante altre, e si sono seduti davanti ad un computer o un cellulare, per seguire le lezioni di scuola. I professori, quelle persone che ai loro occhi non erano altro che distanti ed autoritarie, si dimostravano più che mai per quello che veramente sono, ovvero delle persone, con le loro stesse paure, pregando i ragazzi di accendere le webcam per vedere qualche viso nello schermo, perché al mondo non c’è cosa che spaventi di più del senso di vuoto scavato dalle incertezze.
È la storia di una generazione che quel senso di vuoto lo ha affrontato con tanto coraggio, perché lo conosce bene. Una generazione cresciuta tra mille bivi e un futuro incerto, conosciuta da tutti come «la generazione dei social», gli stessi però ogni giorno mostrano loro decine di storie di miliardari che si riprendono nelle loro vite apparentemente perfette… ma è anche la storia di giovani adolescenti, cresciuti in un clima di enorme stress, con l’obbligo di dover diventare subito grandi, poiché in un mondo sempre più veloce e tecnologico, nessuno può permettersi di rimanere fermo, nemmeno per crescere. In televisione ormai si vedono ragazzi di 17 anni giocarsi in una partita la loro carriera e un futuro a livello professionistico, quando solitamente a quell’età lo si dovrebbe progettare in tranquillità, nella propria camera. Una generazione che dovrebbe rappresentare il futuro della società, ma lasciata sempre all’ultimo posto nelle scelte politiche… perfino dopo il campionato di calcio. Dei ragazzi cresciuti in un paese in profonda crisi, avente come massima aspirazione quella di poter, una volta finiti gli studi e racimolato qualche risparmio, andare a cercare fortuna altrove, lontani dal proprio paese e da tutto, abbandonando la famiglia e gli amici di sempre.
Molti di loro scambiano il giorno con la notte, forse perché solo di notte prevale quel silenzio e quella tranquillità che tanto vorrebbero, come se per qualche momento vivessero in un mondo magico, tutto loro, lontano da tutto il resto. É la storia di molti ragazzi a cui ogni giorno viene detto di essere liberi, eppure nessuno di loro lo è veramente, perché se qualcuno decidesse di non essere tecnologico o di prendere le distanze dalle attuali mode, finirebbe tagliato fuori ed estraniato da tutto, tanto che ormai perfino il genitore meno social del mondo ha una pagina Facebook.
Vengono accusati di essere «sdraiati», di passare intere giornate davanti a serie tv o videogiochi, invece di leggere. Ci mettono molto tempo a memorizzare e capire le pagine di un libro, eppure se i loro genitori avessero davanti delle immagini, o dei documentari filmati, non riuscirebbero a memorizzare tutte le informazioni che loro naturalmente incamerano. Questo semplicemente perché loro sono la generazione dell’immagine, non più della carta, e capisco che non sia facile comprendere quanto il mondo là fuori sia cambiato, perché significherebbe automaticamente ammettere la propria vecchiaia, ma il mondo è davvero cambiato completamente da un giorno all’altro, e non è la trama di un film, è la storia della mia generazione.
Sono un ragazzo, ma non uno qualsiasi: un ragazzo della nuova generazione, proprio quella… la generazione Coronavirus, e orgoglioso di farne parte. Siamo coscienti che, per il resto dei nostri giorni, verremo ricordati come la generazione che ha passato gli esami grazie al virus, ci diranno che siamo stati fortunati, ma nessuno pensa a quello che ci è stato tolto e non riavremo mai più. Non so e non posso dirvi cosa ne sarà del nostro futuro, ma una cosa la so: la mia generazione farà la storia, e il capitolo Coronavirus, non è altro che la prima pagina. Il mio orologio fa le 5 in punto, tra un’ora sarò in piedi per il mio esame, quindi penso che andrò a riposare. Buona maturità a tutti quanti voi, seppur coscienti che l’esame più difficile, lo abbiamo già passato tutti con pieni voti.
J. Glinrow (Riccardo Bartolotta)