Generazione Glocal
PADOVA
«Le nuove generazioni in un mondo globalizzato di fronte alle sfide dell’integrazione. È questo il tema di un importante convegno di studio svoltosi a Padova, organizzato dal Messaggero di sant’Antonio-edizione italiana per l’estero, dal Sodalizio Abruzzese Molisano di Padova, in collaborazione con il Club Ignoranti, l’Associazione Bellunesi nel Mondo di Padova, e con il patrocinio della Regione del Veneto – rappresentata dal dirigente del Dipartimento dei Flussi migratori, Egidio Pistore –, della Regione Abruzzo, del Comune di Padova e delle Province di Padova e Belluno. Numerose le associazioni d’emigrazione e culturali coinvolte nell’iniziativa anche in virtù della stringente attualità del tema trattato.
Da un recente sondaggio su un campione di 1300 giovani tra i 16 e i 30 anni, è emerso che il 35,5% definisce la globalizzazione come il «governo dei Paesi ricchi sul resto del mondo»; il 24% come «il primato dell’economia sulla politica»; il 18% come «una maggiore possibilità di comunicare con tutti». L’11% del campione ritiene che la globalizzazione offra maggiori possibilità di trovare lavoro; il 16,7% che dia «maggiore ricchezza e benessere»; mentre il 17% che «produca insicurezza e inquietudine».
Il problema di fondo è come ognuno di noi si sa adattare a questo nuovo fenomeno. L’informatica, e non solo, ha intaccato le categorie del tempo e dello spazio, ha detto Piero Bassetti, presidente dell’Associazione Globus et Locus. Genitori, istituzioni scolastiche, ecc. hanno spesso una sensibilità verso il glocale, inferiore a quella che hanno i giovani «i quali, invece, viaggiano, fanno stage all’estero, comunicano con sms ed e-mail – ha ribadito Bassetti –. I giovani del terzo millennio rifiutano le tradizioni, sono più condizionati dalle tematiche globali che da quelle locali; hanno una dimensione dell’istante, del presente; hanno bisogno di coltivare nuovi immaginari che accomunino il mondo globalizzato con quello locale».
Questi scenari fanno paura ai giovani oppure evocano in loro speranze? Dove ci sono carenze educative, la globalizzazione spaventa, sostengono gli studiosi. Tra le classi agiate, invece, la globalizzazione è vista dai giovani come un’opportunità di crescita e di sviluppo. Ma bisogna convincerli che «la globalizzazione è un’occasione per tutti – ha concluso Bassetti –, e occorre educarli ai valori condivisi soprattutto perché la globalizzazione rompe il concetto di Stato-Nazione». Questo vale, in particolare, per i 250 milioni di italici che vivono in tutto il mondo e che condividono valori, interessi, costumi, identità culturale. Essi stessi possono fare da catalizzatore.
Il professor Vincenzo Corsi, sociologo dell’Università di Chieti, intervenendo sull’argomento del conflitto generazionale, ha rilevato che questo, sul terreno giovanile, nasce dalla divergenza di scopi e obiettivi tra adulti e giovani, spesso in condizioni di scarsità di ideali e di strumenti culturali. Tali conflitti possono anche essere latenti. «La diversità intergenerazionale – ha sottolineato Corsi – produce una successione di generazioni che induce, a sua volta, un cambiamento di valori e di culture, e quindi un mutamento della società». Quello della crescita è un processo che porta all’acquisizione, da parte di ogni nuova generazione, di valori e competenze tipici dell’età adulta: lavoro, impegno sociale e politico, vita familiare. E in ogni generazione ci sono differenze nel modo in cui vengono interiorizzati e fatti propri i valori sociali. Ma le generazioni non sono al loro interno omogenee. «A partire dagli anni Ottanta – ha rammentato Corsi – la Sociologia, confrontandosi con la realtà giovanile, ha scoperto che ci sono valori, comportamenti, scelte e percorsi di formazione diversi all’interno di una medesima generazione. Perciò, a volte, i giovani hanno difficoltà a dialogare anche tra loro; vivono spesso l’appartenenza a gruppi diversi, a mode e fenomeni sociali». Nella società contemporanea la gioventù non è più un percorso sociale ma una condizione sganciata dall’età. Più che portatori di certezze, i giovani esprimono oggi un disagio che si traduce in un «non sapere dove andare» e nell’«aver bisogno di essere orientati» per realizzare con successo il processo di transizione dall’età giovanile a quella adulta. E, paradossalmente, nei giovani «diminuisce la capacità di scelta a fronte di una molteplicità di opzioni possibili».
Il professor Gioachino Bratti, presidente dell’Associazione Bellunesi nel Mondo, ha affermato che l’esperienza dei giovani oriundi ha insegnato all’associazionismo tradizionale quanto i giovani abbiano necessità di conseguire, in tempi brevi, risultati e obiettivi. Ma questo, a volte, collide con i tempi lunghi con cui le associazioni elaborano e realizzano strategie e progetti. Oggi i giovani si sentono cittadini del mondo e si mobilitano con entusiasmo quando sentono parlare di giustizia, pace, ambiente, ecc., ma tendono a percepire le associazioni come un limite. Perciò le associazioni devono saper recepire questi cambiamenti generazionali, e utilizzarli come motori propulsivi per un nuovo capitolo della loro storia e attività.
Anche la politica può avere un ruolo, come ha ricordato Ivano Foch, presidente del Club Ignoranti di Padova. I giovani si fanno difficilmente attrarre dalla politica, ma chi si fa carico dei problemi della società, resta poi affascinato e lo fa con entusiasmo e passione.
Appassionante la testimonianza di Nadia Malavasi, fondatrice dell’Associazione Thalidomidici italiani, sulle conseguenze che questo farmaco ha avuto in passato sulla popolazione mondiale, e sul fatto che oggi sia ancora utilizzato in ambito terapeutico pur senza un’adeguata informazione, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Ed è sulle giovani generazioni che occorre puntare affinché l’attenzione verso la salute e il rispetto dei diritti fondamentali di ogni individuo non venga sacrificata a interessi di parte.
La giovane avvocata Cinzia Fuggetti ha lanciato una provocazione: «Oggi la vera sfida è lavorare insieme. I giovani vogliono regole e strumenti operativi così come gli adulti li hanno avuti in passato quando erano a loro volta giovani. Le nuove generazioni stanno cercando di orientarsi in un mondo che cambia velocemente. Magari comunicano in un nanosecondo via internet ma hanno perso pezzi della loro storia, del loro patrimonio culturale». Fuggetti ha rilevato che ai giovani non piace essere «gestiti in una società in cui il concetto di democrazia, e quindi di partecipazione, è spesso solo un’etichetta di facciata». Serve il coraggio di guardare alla società e alla vita con occhi disincantati, compiendo percorsi anche lontani dalle rotte tradizionali: il mondo non è solo quello delle copertine patinate dei giornali, ma anche quello dei vicoli di Baghdad e del Cairo, o quello degli accampamenti dei beduini laddove deve avvenire davvero il confronto di culture diverse senza l’arrogante presunzione, da parte di nessuno, di possedere il primato della civiltà.
Antonella Spada del Servizio Volontario Internazionale ha posto l’accento sull’importanza dell’impegno sociale dei giovani. Forte della sua esperienza in Ecuador con un’Organizzazione non governativa, Spada ha ribadito che è importante guardare oltre ogni estremismo: la globalizzazione ci mette di fronte a sfide urgenti anche a livello interculturale. E questa capacità di dialogo può trovare alimento nella vitalità, nell’effervescenza e nell’energia che i giovani esprimono.
Dal canto suo, don Gigetto De Bortoli, presidente del Ceis-Integra di Belluno, riferendosi alla propria esperienza, ha aggiunto che nell’ambito dell’impegno sociale, una delle sfide decisive è quella dell’integrazione. Le migrazioni ci impongono di imparare ad ascoltare chi è diverso da noi, costruendo quel senso di appartenenza civica e solidale che fa di una società un mondo aperto, culturalmente più ricco, «capace di garantire unità, parità, reciprocità e libertà».
Gli ha fatto eco Cristiano Caltabiano, responsabile scientifico dell’IREF di Roma, che ha evidenziato il bisogno sempre più diffuso tra i giovani, di maturare esperienze nell’ambito del volontariato, anche all’interno di organizzazioni internazionali. Il volontariato è visto come occasione di conoscenza, come canale d’informazione. La partecipazione è un’opportunità. Il volontariato non è in flessione: ha cambiato i modi in cui si esprime anche perché la forbice della gioventù, come età anagrafica, si è allargata.
Concludendo i lavori del convegno, il giornalista Edoardo Pittalis, vicedirettore del quotidiano Il Gazzettino, ha sottolineato il valore del meticciato: chi rifiuta il multiculturalismo e il dialogo, teme di confrontarsi. La dilagante indifferenza che ha inquinato molti ambiti della vita sociale, sconfina spesso in un cinico egoismo. «Occorre, dunque, fare memoria senza vergognarsi di ciò che siamo, o siamo stati; occorre rispettare le regole, ricostruire una politica della solidarietà; puntare su un’informazione pluralista che combatta l’ignoranza». È questa la migliore eredità che possiamo lasciare ai giovani.