Giocare insieme, in spiaggia

Le vie dell’integrazione sono infinite, e a volte possono essere addirittura disegnate sulla sabbia, come le piste sulle quali i bambini fanno correre veloci le biglie.
29 Giugno 2011 | di

Nonostante abbia vissuto, da testimone e parte in causa, un periodo in cui di persone disabili in giro se ne vedevano ben poche, i miei genitori non mi hanno mai sottratto alla vista del mondo. Anche se, spesso, l’unica persona in carrozzina che incontravo era… la mia immagine riflessa su una vetrina. Tra i tanti luoghi che mi permettevano di frequentare, nel periodo estivo c’era ovviamente il mare, la spiaggia. Piacere e necessità al tempo stesso, perché Bologna d’estate tende all’afoso: la migrazione verso i lidi consente allora un po’ di ristoro, all’insegna del divertimento e della spensieratezza.
Spiagge piene di persone e possibilità concreta, per me, superata la diffidenza iniziale di molti genitori, di conoscere e farmi conoscere da tanti bambini, più o meno coetanei. E di condividere con loro, nei limiti del possibile, la maggior parte dei momenti di una giornata balneare. A ben pensarci, però, non è – e soprattutto non era – così semplice immaginare cosa possa fare un bambino in carrozzina su un terreno sabbioso. Con altri bimbi che a quell’età girano come trottole, corrono, si spintonano, si tirano l’acqua… Come superare i limiti intrinseci alla mia stessa presenza al mare, senza rinunciare al gioco e al divertimento, alla pari degli altri?
 
Prendiamo una di quelle attività che più uniscono i bambini anche quando non si conoscono: il gioco delle biglie (con foto di ciclista dentro, al tempo), uno dei più potenti motori di inter-aggregazione e conoscenza reciproca che ricordi per quell’età. Bene: niente di più complicato, per chi è nelle mie condizioni fisiche, che praticare quel gioco. Ma a me piaceva troppo vedere Bartali, Coppi, Merckx, Anquetil, Fignon, Bugno, Indurain, e soprattutto Franco Bitossi detto «cuore matto», rotolarsi, inseguirsi, andare in fuga, tentare un allungo in fantastiche tappe di montagna (al mare); mi divertiva guardarli prima a testa in giù, poi in su, poi a destra, poi a manca… e mi piaceva farlo insieme agli altri.
Però, se non si è parte in causa in qualche modo, è difficile che possano crearsi le condizioni per una vera condivisione: si resterà fuori da quell’intimità che si crea solo facendo qualcosa assieme. Che è molto piacevole e lascia un ricordo vivido, intenso. Sapete che stratagemma trovammo, io e i miei compagni di gioco estivi e semisconosciuti? Quello di utilizzare la mia carrozzina per realizzare la pista da gioco stessa (il bigliodromo), con un vantaggio doppio: la precisione delle traiettorie e il fatto che a ogni passaggio delle mie ruote si creavano due corsie perfettamente parallele, così che le possibilità e le combinazioni di gioco e di creazione della pista si moltiplicavano.
 
A quel punto non era così importante che io non riuscissi a spingere fisicamente il mio ciclista su per una salita o a fargli fare una parabolica a piena velocità: avevo contribuito a creare quel momento di vita, quel piccolo mondo transitorio, evanescente e condiviso insieme agli altri, e questo era già abbastanza (molto, direi) per riuscire ad avere con loro un rapporto più pieno.
Questo per dire, con leggerezza estiva, che la possibilità di creare integrazione, allora come adesso, passa attraverso mille strade e mille gesti, molti dei quali sono piccoli, forse, e relativi e adatti solo a un preciso periodo della vita (anche le persone disabili evolvono e cambiano…), ma che si connotano, tutti, come azioni comuni e reciproche. Le vie dell’integrazione sono infinite. Anzi, le piste dell’integrazione sono infinite.
Buona estate a tutti, e raccontatemi che piste avete costruito e che ciclisti avete portato alla vittoria in questa calda stagione. Come sempre, potete farlo scrivendo a claudio@accaparlante.it o sul mio profilo di Facebook. Ci «leggiamo» a settembre.
  

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017