Giochiamo a lavorare

03 Febbraio 2000 | di

di Fabio Scarsato
membro della Commissione di lavoro del Bice-Italia, «Bureau internazionale cattolico per l' infanzia»

Bambini che lavorano per molte ore al giorno, in ambienti malsani, privi di qualsiasi tutela e sicurezza. Uno scandalo per l' opulenta società  occidentale, che spesso si dimentica di essere la principale responsabile di questa situazione.

Minori e lavoro. O meglio, minori che lavorano. Come accoppiata di termini non sembra poi così scandalosa. Non ripetiamo sovente che il lavoro nobilita l' uomo o, addirittura, lo libera? E perché non dovrebbe nobilitare e liberare anche il nostro adolescente che lavora?
La nostra Costituzione sembrerebbe fare, proprio del sopraddetto «lavoro», uno dei fondamenti della Repubblica italiana, anche se non si capisce poi bene se si riferisca a chi ce l' ha oppure no, tant'è che qualcuno insinua che l' Italia è «affondata» sul lavoro più che «fondata» su di esso. Il lavoro quindi come valore individuale e sociale valido per tutti.
Con tutto ciò, comunque, quando si tratta di bambini e bambine costrette a lavorare, in noi adulti scatta qualcosa di simile alla rabbia e alla riprovazione più completa. Perché?
Si stima che ci siano sulla terra circa 250 milioni di minori «sfruttati» su una popolazione di un miliardo di esseri di questa età : come mettere assieme le popolazioni dell'Italia, della Francia, della Germania e dell' Inghilterra. E ne mancherebbero ancora
2 milioni circa per arrotondare fino ai 250!
Basta vedere l' immagine di un piccolo pakistano alle prese con un tappeto o un piccolo indiano che impasta mattoni d' argilla o un piccolo colombiano che trasporta pietre fuori da una miniera o una piccola tailandese in vendita per le vie di Bangkok, e subito la nostra indignazione sale alle stelle. Perché?
Certamente perché ciascuno di noi intuisce immediatamente che quei bambini non dovrebbero stare lì, ma piuttosto a scuola o a giocare o a godersi gli affetti della propria famiglia. Perché questa è l' unica via per diventare grandi, garantita in quanto tale da qualsiasi dichiarazione dei diritti dei minori o legislazione internazionale.
Ma la domanda, per un po' elusa, ritorna inesorabile: perché indignarsi? Chi frequenta i bordelli asiatici? Chi compra quei prodotti che, costruiti a bassissimo costo con l' utilizzo di manodopera infantile, arrivano sul mercato a prezzi concorrenziali? Non è forse il ricco Occidente, non siamo forse noi a volere, di fatto, questo stato di cose?
Be' , allora si potrebbe boicottare questi prodotti! Certo, così molti minori si troverebbero dall' oggi al domani sulla strada, e non certo a scuola né al parco giochi, ricacciati sempre più indietro nel sommerso del lavoro nero e della povertà . Mentre la nostra brava multinazionale si sposterebbe solo un po' in là .
Il lavoro minorile è un peccato sociale evitabile, e noi non siamo prigionieri di regole che non si possano modificare!
È il nostro stile di vita che deve radicalmente cambiare, impostando i rapporti Nord-Sud del mondo non più sulla «rapina» o sulla beneficenza, ma sulla giustizia e sulla carità  cristiana che favorisce lo sviluppo. A partire da quando andiamo al supermercato.
Per permettere a ogni famiglia di non essere costretta, per debiti o per fame, a far lavorare i più piccoli, magari pure vendendoli e, di fatto, rendendoli schiavi. Per facilitare la costruzione di tutte quelle infrastrutture (scuole, presidi sanitari, associazioni, ecc.) che fondano il progresso sociale di una nazione. Per permettere a quegli adolescenti che si trovino nella necessità  impellente di farlo, di lavorare pure, ma a garanzie certe e provate, che li tutelino nella loro integrità  fisica e morale, e ne favoriscano il cammino evolutivo.
La controprova è data dalle cifre del lavoro minorile in Italia: secondo la Cgil, sarebbero almeno 300 mila i minori italiani lavoratori al di sotto dei 14 anni. E molti di questi baby lavoratori si trovano& nel ricco Nor-dest. Dove, come in molti altri posti, non ci sarebbe probabilmente bisogno di far lavorare un bambino, ma dove forse è la cultura del benessere e del superfluo a dettare i comportamenti sociali e le scelte di vita. Dove lo «star bene» diventa convenienza individuale.

Per ulteriori informazioni:
Bice-Italia c/o Isabella Poli
Via della Quiete, 61 - 51100 Pistoia
Tel. e Fax: 0573/401.804
E-mail:
i.poli@zen.it

   
   

   

LAVORO MINORILE: QUALI SOLUZIONI?        

 Nel 1992 l'Oil ha lanciato il «Programma Ipec», programma internazionale per l' abolizione del lavoro dei bambini. L'obiettivo è di eliminare il lavoro dei minori al di sotto dei dodici anni e quello in condizioni di schiavitù e di pericolosità , di migliorare le condizioni degli altri ragazzi lavoratori al di sotto dei 15 anni, ipotizzando la loro uscita dalla produzione. Il progetto Ipec, che prevede il coinvolgimento di governo, sindacati, famiglie, Ong e imprenditori, intende fare pressione sugli stati affinché adottino una legislazione che proibisca lo sfruttamento del lavoro minorile e renda obbligatoria la requenza scolastica.

       

In India i bambini lavoratori tra i 4 e i 14 anni sono almeno 45 mi lioni , secondo stime Oil. In Africa lavora un bambino su tre. In America Latina i baby lavoratori rappresentano il 15-20 per cento dei bambini al di sotto dei 15 anni;negli Usa la percentuale è del 28 per cento.
(Fonte: Dossier Mani Tese «Iqbal aveva 150 milioni di fratelli»).

 

   
   
CON LE MANI CHE SANGUINANO      

«Ci tagliamo spesso, soprattutto le mani. Le nostre dita non hanno più sangue, non ne esce neanche una goccia. Non cresciamo, il nostro torace non si sviluppa, le gambe perdono ogni forza. E siamo incapaci di fare qualunque altro lavoro». (Ashraf, 8 anni, India; tratto da: Gli schiavi parlano e i padroni confermano, di Sandro Calvani e Martina Melis, Edizioni Piero Manni)«Mi chiamo Putul e ho 9 anni. Lavoro a Dacca per una fabbrica di camicie destinate all' America. Inizio a lavorare alle 8 del mattino e finisco alle 10 di sera, e quando c' è molto da fare fino alle 3 di notte. Quando sbaglio il capo mi picchia e ogni occasione è buona per tagliarmi la paga; se entro anche solo un minuto più tardi, alla terza volta perdo un giorno di paga, se faccio un giorno di assenza mi tolgono tre giorni di paga. Insomma, raramente porto a casa più di 300 rupie al mese (circa 10 mila lire)».   (Tratto da: CNMS, Geografia del Supermercato Mondiale, EMI).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017