Giotto e il suo tempo

12 Novembre 2000 | di
   
   
A Padova c' è il più grande complesso di cicli affrescati trecenteschi in Europa, creati da Giotto, Giusto de' Menabuoi, Altichiero da Zevio, Jacopo Avanzi, Samitecolo e altri ancora. Si è deciso di metterlo in mostra attraverso un articolato e affascinante percorso.

Le ultime su Giotto le abbiamo sapute lo scorso settembre, quando gli esperti hanno emesso la sentenza sullo scheletro rinvenuto sotto il pavimento del duomo di Firenze trent' anni fa. «Non c' è dubbio, sono le ossa di Giotto di Bondone» ha asserito Francesco Mallegni docente di Paleontologia umana e antropologia dell' università  di Pisa, sciorinando una serie di dati emersi da minuziose analisi, grazie ai quali l' esimio professore ha ricostruito con il gesso il volto del sommo pittore fiorentino. Dati e ricostruzione fisiognomica forniscono un ritratto fisico del grande artista fiorentino tutt' altro che affascinante: bassetto, sul metro e sessanta; affetto da una leggera zoppia per una caduta che aveva lasciato strascichi; testa grossa e fronte sfuggente; orbite enormi con occhi bovini; naso alto e piccolo; mascella poderosa e collo taurino. Adone era un' altra cosa. Comunque, il volto in gesso ricostruito dal professor Mallegni pare non dissimile dall' autoritratto che Giotto ha inserito nel Giudizio universale (un giovanotto con berretta bianca in testa) della Cappella degli Scrovegni a Padova, all' interno della quale egli ha realizzato uno dei suoi più felici e ammirati capolavori: un ciclo di affreschi memorabile, il solo probabilmente interamente di sua mano, visto che su quello, altrettanto celebre e ammirato, di Assisi qualcuno ha avanzato dubbi che sia tutta opera sua.
Padova, orgogliosa di custodire un capolavoro di tale portata, si appresta a sottolinearlo, incorniciandolo in una mostra affascinante che accende i fari oltre che su Giotto, su altri pittori che lavorarono a Padova dopo di lui con eccelsa bravura, contribuendo a fare del Trecento un secolo d' oro per l' arte patavina, irripetibile. Sono Guariento (bellissime schiere di angeli guerrieri), Giusto de' Menabuoi (ha lavorato al battistero del duomo e al Santo), Altichiero da Zevio (splendidi cicli di affreschi nella Scuola di San Giorgio e nella cappella di San Giacomo al Santo), Jacopo Avanzi (chiesa degli Eremitani), Jacopo da Verona (Oratorio di San Michele) e altri fino a giungere al Mantegna, ma con lui siamo già  sulla soglia del Rinascimento.
La mostra (vedi scheda) si intitola per questo Giotto e il suo tempo, prende il via il 26 novembre 2000 e si protrarrà  fino al 29 aprile 2001.
Giotto era giunto a Padova ai primi anni del Trecento, chiamatovi da Enrico Scrovegni, l' uomo più danaroso della città , figlio di quel Reginaldo che Dante ha posto nella Divina Commedia a rosolarsi al fuoco dell' inferno per aver accumulato le sue strabocchevoli ricchezze con l' usura. Affamando i poveri, praticamente, incurante delle brucianti invettive che sant' Antonio, anche da Padova, aveva lanciato contro usurai di ogni risma.
 Enrico Scrovegni, la cui statua darà  il benvenuto ai visitatori della mostra, aveva comperato dai Delasmanini, nobile famiglia padovana, i resti dell' anfiteatro romano e, lungo un suo lato, s' era costruito un sontuoso palazzone, una vera reggia, con sale vastissime ricche di ornamenti e di arredi, di ori, di quadri e di ogni ben di Dio. Non cercatelo, perché nel 1820 i padovani lo hanno demolito.
Oltre alla propria dimora, lo Scrovegni ne aveva edificata una, proprio nel bel mezzo dell' Arena, anche per la madre di Dio, con il titolo di Santa Maria della Carità . Giusto per sdebitarsi delle malefatte del progenitore. E delle proprie.
Per impreziosire la cappella, di composta bellezza e di lineare semplicità , il nobile padovano aveva commissionato a un raffinato scultore fiorentino, Giovanni Pisano, una statua della Vergine con il Bambino in braccio e due angeli che reggono i ceri. Mentre per affrescarne le vaste bianche pareti s' era rivolto al miglior pittore in circolazione, Giotto appunto.
Il maestro fiorentino era davvero il migliore e la sua fama aveva oscurato quella del Cimabue che a lungo aveva tenuto banco a Firenze e altrove. Lo annoterà  anche Dante scrivendo nella Divina Commedia: «Credete Cimabue nella pintura / Tener lo campo; ed ora è Giotto il grido / Sì che la fama di lui oscura».
Il maestro di Bondone aveva reciso il cordone ombelicale che legava la pittura ai modi e alle tradizioni bizantine, e sui muri delle cattedrali dipingeva le storie di Cristo e dei santi con grande vivacità  e realismo, calandole dall' astrattezza orientale nel contesto semplice e quotidiano della vita.
Aveva dato uno splendido saggio del suo valore e delle possibilità  della nuova arte, affrescando sulle pareti della basilica superiore di Assisi la vita di san Francesco: molta umanità , molta fedeltà  alla natura, all' uomo; colori vivi, composizioni ben orchestrate. Il risultato fu splendido, tanto che vollero qualcosa di suo anche a Roma. E Giotto non li deluse affrescando sulla facciata di San Giovanni in Laterano la Vocazione di san Matteo (Era il 1300, l' anno del primo Giubileo). Ma anche a Rimini lo vollero... Intanto il Maestro affinava via via gli elementi stilistici che aveva intuito ed elaborato nella sua bottega di Firenze.
Quando, nel 1303, giunse a Padova, attratto anche dai sonanti zecchini d' oro, i dollari di allora, che lo Scrovegni aveva promesso di dargli in quantità  più che rispettabile, Giotto era al culmine della maturità . (A prestar fede ai pettegolezzi dei contemporanei, Giotto ai soldi era ipersensibile, fino ad essere lui stesso usuraio).
 Aiutato da pochi discepoli, nella cappella - ora detta degli Scrovegni - Giotto, maestro altissimo del colore e sapiente orchestratore di spazi e prospettive, diede il meglio di sé. Il titolo liturgico della cappella, Santa Maria della Carità , ha certamente ispirato il poema a fresco di Giotto, il cui soggetto è la redenzione dell' uomo, della quale Maria e Gesù sono i protagonisti. Sulle pareti laterali dell' edificio si succedono in trentasei riquadri, disposti in tre fasce parallele, gli episodi principali del poema, collegati tra loro dai riquadri minori, dipinti sull' arcone di accesso all' abside. Sullo zoccolo delle pareti, in illusorio altorilievo, ha mostrato il volto dei vizi e delle virtù, allegorie che dovevano essere elementi minori del ciclo, ma che oggi si ripropongono come capolavori per realismo e plasticità . In alto, sulla volta stellata, entro finti arconi portanti, busti di profeti ed episodi della vita d' Israele saldano l' attesa del popolo eletto con l' avvenuta redenzione.
Sulla parete della retro-facciata, il Giudizio chiude la storia dell' umanità .
Scriveva Cesira Gasparotto, una fine e intelligente cultrice d' arte padovana: «La vastità  universale dell' idea, l' ordine perfetto della narrazione, la sequenza drammatica degli episodi, la forza potente delle caratterizzazioni individuali accostano il poema pittorico di Giotto alla Divina Commedia di Dante, i due capolavori, contemporanei, chiudono un' era della civiltà  italiana e ne iniziano una nuova».
Alcuni momenti di questo ciclo sono notissime, come: Il bacio di Giuda, considerato uno dei racconti più intensi e drammatici del pittore fiorentino, il tenero abbraccio dei due sposi, Gioacchino e Anna, la nascita di Gesù, il commosso e stupito incontro di Maria di Magdala con il Risorto (Noli me tangere), e la deposizione, considerata dai critici la più alta pagina pittorica di Giotto. Ed altre ancora.
Mentre sotto il pennello di Giotto fioriva lo splendido capolavoro, i frati della basilica antoniana - coinvolta in una delle fasi più importanti della sua laboriosa edificazione - avvicinarono il maestro probabilmente prospettandogli un ciclo pittorico analogo a quello da lui realizzato. Un progetto ambizioso, che rimase, però, tale. Di fatto l' intervento di Giotto al Santo si ridusse ad alcuni affreschi nelle sala dove i frati tenevano capitolo, una composta e struggente passione e una sfilata di santi e profeti, dei quali oggi non rimangono che vaghi, indistinti e dubbi lacerti.
Nel 1541 il capolavoro giottesco spariva dalla Sala del Capitolo. Per erigere un monumento funerario a Cesare Riario, patriarca di Alessandria e vescovo di Malaga, uomo di indubbio valore e specchiate virtù, un gentiluomo veronese suo amico, convinse i frati a far piazza pulita del capolavoro giottesco. Ora abbiamo l' altare che commemora l' eccellenza reverendissima e nessuno si commuove al guardarlo, chissà  quali emozioni ci avrebbe invece riservato l' opera di Giotto. Sono i misfatti di cui ogni epoca gode macchiarsi.
Una brutta sorte è toccata ad altri affreschi, laici stavolta, realizzati da Giotto sulle pareti della Sala della Ragione: raffiguravano simboli e immagini astrologiche ispirate all'Astrolabium del filosofo Pietro d' Abano, gloria dello Studio patavino nel Trecento. Ma la causa non fu l' insipienza dell' uomo, bensì fatalità : un incendio divampato nel 1420.


   
   
GUIDA ALLA MOSTRA
L
a Mostra, alla quale ha «offerto» la sua consulenza Vittorio Sgarbi, è anche l' occasione per far ammirare quanto è stato creato di bello in Padova nel 1300: segue quindi un itinerario articolato e piacevole. La Mostra ha per simbolo la   Croce stazionale   , proveniente dagli Scrovegni, e recentemente restaurata da Pino Brambilla. Durata: dal 26 novembre 2000 al 29 aprile 2001.
- Cappella degli Scrovegni , dove ci sono gli affreschi di cui abbiamo parlato. La prenotazione è obbligatoria (tel. 049/8204585; ore 9-19).
Museo civico agli Eremitani, dove tra le tante opere di diversi settori che documentano l' arte del Trecento a Padova, si può ammirare la ricostruzione della collocazione originale del ciclo degli Angeli del Guariento, già  nella Cappella della reggia Carrarese (ore 9.00-19.00).
- Chiesa degli Eremitani:  superstiti dai bombardamenti del 1944 ci sono affreschi di Giusto de' Menabuoi, di Guariento, di Avanzi. Nella famosa Cappella Ovetari Andrea Mantegna inaugura con i suoi affreschi il       Rinascimento (ore 8.30-17.30).
- Palazzo della Ragione:  immenso salone da dove il Comune padovano amministrava la città  e la giustizia, decorato da Nicolò Mireto e Stefano da Ferrara, dopo l' incendio che ha distrutto gli affreschi di Giotto (ore 9-19).
- Reggia Carrarese (Accademia galileiana).  Della reggia dei Carraresi, distrutta dai veneziani, faceva parte una cappella decorata da Guariento verso il 1360.Quegli affreschi si possono ammirare sulle pareti dell' ex Cappella, oggi sala riunioni della prestigiosa Accademia (da lunedì a venerdì: 9.30-12.30; martedì e giovedì: 15.00-17.30).
Battistero del Duomo.  Interamente affrescato da Giusto de' Menabuoi nel 1378 (ore 10.00-18.00).
Oratorio di San Michele  (via Tiso da Camposampiero). Un ciclo di affreschi di Jacopo da Verona (tel. 049/8204501).
- Basilica del Santo.  Affreschi di Giusto de' Menabuoi nella Cappella del beato Luca Belludi e di Altichiero da Zevio in quella di San Giacomo. Nell'Oratorio di San Giorgio,   sul sagrato della basilica: altro ciclo di affreschi di Altichiero da Zevio.
Biglietto d' ingresso  per mostra, museo ed edifici compresi nell' itinerario: lire 15.000, ridotti lire10.000.
- Per informazioni: tel. 049/8204501, fax 049/8204503, e-mail mostra: cultura@padovanet.it

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017