Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
È già trascorso un anno da quel 2 aprile che ha segnato indelebilmente i cuori di milioni di credenti, e non solo. E sono innumerevoli le immagini di Giovanni Paolo II che si affollano nella mente. Tutte, ancora oggi, appaiono inadeguate a esprimere il significato di una vita e di un ministero al servizio della Chiesa e dell'intera umanità . Tuttavia, una in particolare emerge con maggiore vividezza per la sua carica emotiva: il Papa che, con il Crocifisso stretto tra le mani tremanti, dalla sua cappella privata partecipa, attraverso la televisione, alla Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo. Un'immagine divenuta il simbolo degli ultimi giorni di vita del Santo Padre, giunto all'ultima stazione del suo doloroso calvario, e forse dell'intero pontificato.
Proprio dalla sua malattia è arrivato l'ultimo grande insegnamento: la dignità con la quale vivere la sofferenza e accettare la morte cristianamente. Una lezione tanto più grande in quanto giunta in un'epoca in cui la morte è divenuta «oscena» e la sofferenza uno stato da non far trasparire mai, quasi a vergognarsene. E proprio questa agonia e questa morte, vissute di fronte al mondo, senza che nulla fosse taciuto o nascosto, sono state l'ultimo «amen», il «sì» definitivo che ha sancito l'adesione totale di quest'uomo a Dio, dopo una vita spesa al Suo servizio come sacerdote, vescovo e infine Papa.
Un abbandono testimoniato non solo dalle sue ultime, flebili, parole in polacco - «Lasciatemi andare alla casa del Padre» - ma anche dalle frasi pronunciate quando si era dovuto allontanare dalla finestra, non potendo parlare ai fedeli riuniti in piazza San Pietro, così come ricordato dal cardinale Stanislaw Dziwisz, oggi suo successore come arcivescovo di Cracovia e suo segretario personale per quarant'anni: «Disse: Forse è meglio che muoia se non posso compiere la missione affidatami. Però subito aggiunse: Che si compia la Tua volontà , Totus tuus ».
Il calvario del Papa ha commosso il mondo. Lo testimonia l'immensa folla che dalla sera della morte al giorno dei funerali gli ha reso omaggio: tre-quattro milioni, forse più, di persone in fila anche per diciotto ore, al freddo della notte. Mai era successo nella storia. Una testimonianza di affetto filiale che nessuna analisi sociologica è riuscita a interpretare, ma che diventa chiara alla luce della fede. Una testimonianza che prosegue con l'ininterrotto pellegrinaggio alla sua tomba.
«Io vi ho cercato e adesso voi siete venuti a me», disse prima di morire rivolgendo il suo pensiero ai giovani che vegliavano in piazza San Pietro. «Non aspettava che la gente andasse da lui - ha sottolineato il cardinale Dziwisz -, ma le andava incontro per far vedere la speranza, in particolare alle persone sofferenti, affamate, prigioniere, moribonde. Il Papa pellegrino cercava l'uomo, ogni uomo, ma i giovani avevano un posto privilegiato nel suo cuore. In loro vedeva la speranza della Chiesa». Loro hanno ricambiato, sempre, altrimenti come spiegare i milioni di presenze alle Giornate Mondiali della Gioventù, una delle sue grandi intuizioni? «Amore per amore», non ha dubbi il cardinale Dziwisz.
Giovanni Paolo II aveva un grande carisma e ha lasciato sicuramente un segno nella storia, non solo della Chiesa (basti pensare al primo viaggio in Polonia, nel giugno 1979, e a quello che significò, fino alla caduta del Muro di Berlino). Quanto profondo è stato questo segno saranno gli storici a dirlo. Certo è che sul suo pontificato hanno pesato tutte le esperienze personali maturate fin dalla gioventù: l'essere stato operaio, l'aver coltivato clandestinamente attività culturali nella Polonia occupata dai nazisti, l'amicizia con alcuni ebrei, l'aver vissuto la propria vocazione cristiana sotto il totalitarismo comunista. La sua comparsa sulla scena del cattolicesimo è stata tutt'altro che in seconda linea, distinguendosi subito per il carattere di universalità .
Il lungo pontificato di papa Wojtyla rappresenta la ricezione originale e creativa del concilio Vaticano II. Originalità e creatività forgiate dalla sua carica umana, dal suo impegno instancabile, dalla sua santità personale, che hanno traghettato la Chiesa da un millennio all'altro. Un compito, questo, che il Papa ha vissuto come fosse una predestinazione. Il Grande Giubileo è stato davvero il punto di passaggio cui mirava il suo pontificato, con i suoi tanti segni profetici: dalle coraggiose richieste di perdono (i noti mea culpa ) in nome della Chiesa al tanto atteso viaggio in Terra Santa.
I tratti qualificanti del suo magistero
Difficile dire, tra i tanti tratti distintivi e caratteristici, quali siano stati i segni maggiormente qualificanti del magistero di Giovanni Paolo II. Il suo non è stato un pontificato teso al governo della Curia (delegato ai suoi fidati collaboratori), ma di contenuti e di testimonianza. Certamente l'impegno per la nuova evangelizzazione è stato preponderante. I suoi centoquattro viaggi in Paesi dei cinque continenti, anche in quelli politicamente ed economicamente più irrilevanti, nei quali magari i cattolici sono una sparuta minoranza, sono stati il segno di questa volontà di comunicare il Vangelo a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo, esortandoli con quel «Non abbiate paura!». Ma sono stati anche il segno della volontà di difendere l'uomo da ogni prevaricazione e di preservare l'umanità dalla perdita di senso e di valori.
All'affermazione senza ambiguità del ruolo salvifico di Gesù Cristo e della Chiesa, come anche dei contenuti dell'etica cristiana, papa Wojtyla affiancava la ricerca di dialogo a tutto campo tra tutte le religioni, simboleggiata dai due grandi incontri di Assisi, nonché dalle storiche visite alla Sinagoga di Roma e alla Moschea di Damasco. Una ricerca che non snaturasse e svilisse le religioni, ma che rispettasse le diversità , componendole nel quadro di un'autentica libertà religiosa.
Parimenti, ha lavorato per l'unità interna della Chiesa cattolica, dando nuovo impulso, con coraggio e umiltà , al cammino irrinunciabile di comunione tra le varie Chiese cristiane. Un impegno scaturito dalla volontà di attuare integralmente i grandi insegnamenti del Concilio e dall'ansia di far cessare lo scandalo della divisione.
«Rispettoso delle coscienze - ha testimoniato il cardinale Jean-Luis Tauran, per molti anni ministro degli Esteri del Vaticano e stretto collaboratore del Papa - Giovanni Paolo II è sempre stato intransigente sulla verità : ha rifiutato che l'uomo si lasciasse dominare dalla mediocrità , non ha mai smesso di invitarlo alla conversione, ha avuto fiducia nella sua intelligenza, gli ha mostrato la felicità che deriva dalla fedeltà ».
Giovanni Paolo II instancabile pellegrino e testimone della verità su Dio e dell'amore di Dio, dunque. «Quando mi chiedono qual è il suo più profondo segreto - ha confessato il cardinale Dziwisz - non trovo altra risposta che questa: la preghiera e l'unione con Dio». Concorda il cardinale Camillo Ruini, suo vicario per la diocesi di Roma, secondo il quale era «sufficiente vederlo immerso nella preghiera, anche nei brevi momenti del ringraziamento dopo una messa in una parrocchia romana, oppure nel corso di un viaggio in aereo o in elicottero, per comprendere come l'unione con Dio sia stata per lui veramente lo spontaneo respiro dell'anima e il segreto della sua continua donazione».
«Habemus Papam»: Benedetto XVI
Il 19 aprile il cardinale Joseph Ratzinger, accettando l'elezione in Conclave, sapeva di raccogliere un'eredità ricca e, al tempo stesso, impegnativa. Una chiamata che, con il nome di Benedetto XVI, non ha accolto come una sfida, per quanto mass media e opinione pubblica abbiano da subito accentuato il confronto con Giovanni Paolo II. Dichiaratosi «semplice e umile lavoratore» nella vigna del Signore, il nuovo Papa tedesco fin da subito si è richiamato al suo venerato e amato predecessore, ma non ha fatto nulla per imitarlo. Si è presentato per quello che è: un uomo umile, timido, dolce, che non vuole attirare l'attenzione sulla sua persona, ma sul messaggio derivante dal suo ruolo.
Nella celebrazione inaugurale del Pontificato, il 24 aprile, ha spiegato: «Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà , di non perseguire le mie idee, ma mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della volontà e della Parola del Signore e di lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia egli a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia».
Benedetto XVI ha scelto di comunicare con un linguaggio profondo ma chiaro, segnato alla radice dalla Parola di Dio. Non si è presentato come un «inquisitore» o un «professore di teologia», come molti paventavano, ma come un Pastore, colto sì, ma capace di parlare al cuore. Concentrandosi sull'essenziale, sul Vangelo come «buona notizia», nei suoi interventi va oltre le domande, non di rado superficiali, che giungono oggi alla Chiesa, andando al cuore delle questioni. Ma pur nella profondità dei richiami, ai credenti non si stanca di ripetere che essere cristiani è una gioia. Evidentemente è un messaggio che funziona, se alle sue udienze e agli Angelus partecipano folle di fedeli che non si vedevano da tempo in piazza San Pietro.
La prima enciclica: alle radici della fede
Nella prima, attesissima enciclica, Deus caritas est , il Papa ha deciso di andare alla radice della fede, puntando l'attenzione sull'amore cristiano. In un mondo in cui il nome di Dio viene utilizzato per giustificare odio, violenza e vendetta, egli rilancia l'immagine di Dio amore.
A Colonia - unica trasferta estera per quella Giornata Mondiale della Gioventù che è stato l'evento principale del primo anno di Pontificato, passato anche per le tappe di Bari, per la chiusura del Congresso Eucaristico Nazionale e per il Sinodo sull'Eucaristia - ai giovani ha indicato la «rivoluzione di Dio». A loro ha chiesto di lasciarsi sorprendere da Cristo: «Consentitegli il diritto di parlarvi... Aprite le porte della vostra libertà al suo amore misericordioso!... Fate l'esperienza liberatrice della Chiesa come luogo della misericordia e della tenerezza di Dio verso gli uomini». È la rivoluzione di Dio contrapposta a quella degli uomini, ovvero alla secolarizzazione e alla scristianizzazione del nostro tempo.
«Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia - disse all'inizio del Pontificato - sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo». Anche il nuovo Papa ha ripreso con forza i temi del Concilio Vaticano II, rilanciandoli in occasione dei quarant'anni della sua chiusura e richiamando l'attenzione non soltanto su un interesse storico, ma anche sulle indicazioni quanto mai significative per il cammino presente e futuro della Chiesa.
Sempre rifacendosi al Concilio, Benedetto XVI ha rilanciato con forza il dialogo ecumenico, sottolineando, fin dalle prime battute del Pontificato, che il raggiungimento dell'unità dei cristiani è una delle sue priorità . Allo stesso modo, ha ribadito la vicinanza ai fratelli ebrei.
Su un piano più ampio, il Papa ha ben chiaro l'orizzonte del mondo d'oggi con i suoi conflitti politici, economici, sociali, culturali e religiosi, con la piaga del terrorismo e il rischio di uno scontro di civiltà . Ne ha parlato nel Messaggio per la Giornata della Pace e nel discorso al Corpo diplomatico, richiamando il rapporto stretto tra pace e verità . Annunciando il Concistoro, per la per la creazione dei suoi primi quindici cardinali, tenuto il 24 marzo, ha ribadito con convinzione il valore della collegialità .
In conclusione, nel suo primo anno papa Benedetto XVI ha fatto capire che, pur in continuità con il predecessore, il suo non sarà un Pontificato di transizione.