Giovanni Paolo II in Terra Santa. Ricominciare da a Gerusalemme

Il Papa desidera visitare i luoghi storici della Bibbia. Alla ricerca di unità in quelle terre contrastate, ma cariche di memorie.
05 Settembre 1999 | di

La lettera del Papa Sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza manifesta il suo sogno di compiere un viaggio (o più viaggi) nei luoghi storici della Bibbia. È rivelatrice della «spiritualità  geografica» di Giovanni Paolo II. Il Papa infatti aveva parlato di questa sua dimensione qualche anno fa, con alcuni giornalisti in aereo. «Il Papa deve avere una geografia universale [...] Io vivo sempre in questa dimensione spostandomi idealmente lungo il globo. Ogni giorno c'è una geografia spirituale che percorro. La mia spiritualità  è un po' geografica» (D. Del Rio L. Accattoli, Wojtyla il nuovo Mosé, Mondadori, Milano 1988).
Del resto Giovanni Paolo II ha fatto del «viaggio» uno strumento essenziale del suo ministero per il contatto con le chiese, i popoli, le culture. Ha espresso l'impulso del cristiano a uscire dal proprio mondo per incontrare i suoi fratelli e testimoniare il Vangelo. Ora il Papa vorrebbe andare pellegrino nei luoghi dove si conserva la memoria della storia della salvezza.
I «luoghi santi», per i cristiani, sono qualcosa di originale. Per il cristiano ogni luogo è santo: «Dio è ugualmente presente in ogni angolo della terra, sicché il mondo intero può considerarsi 'tempio' della sua presenza» ribadisce il Papa. Gesù aveva detto alla Samaritana, che gli chiedeva su quale monte adorare Dio, che il Padre cerca adoratori in «spirito e verità »: «Né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre» (Gv 4,21). Il nuovo tempio è Gesù. Ma la salvezza cristiana ha innegabilmente una storia e una geografia: «La concretezza fisica della terra e le sue coordinate geografiche fanno tutt'uno con la verità  della carne umana assunta dal Verbo» afferma Giovanni Paolo II. Ci sono luoghi della memoria di Dio. Questa è la visione cristiana del luogo santo: il pellegrino li visita per ricordare e venerare le orme di Dio. Per questo Giovanni Paolo II vuole andare prima di tutto in Terra Santa. Non certo per rivendicare il suo carattere cristiano. Anzi, nel suo testo, ribadisce di nuovo la condanna delle crociate. Il modello di pellegrinaggio di Giovanni Paolo II è quello di Francesco d'Assisi.
Bisogna ritornare alla testimonianza del santo di Assisi, grande viaggiatore nel mondo del suo tempo, che volle varcare tutte le frontiere, anche quelle che sembravano più impenetrabili, come i confini dell'islam, allora considerato l'«impero del male». Francesco, voleva recarsi in Terra Santa e capì che si doveva trovare un rapporto nuovo con l'islam, diverso dalla guerra santa e dalle crociate. Fu una grande intuizione evangelica, rivoluzionaria politicamente e culturalmente. Francesco parlò ai musulmani e il suo vangelo in Egitto fu un pellegrinaggio di pace. Il dialogo interreligioso ha in Francesco un esempio intramontabile.
Giovanni Paolo II guarda ai figli di san Francesco e ai cristiani d'Oriente come ai fedeli che hanno voluto «interpretare in modo genuinamente evangelico il legittimo desiderio cristiano di custodire i luoghi in cui affondano le nostre radici spirituali». Sono stati presso i luoghi santi con la testimonianza della povertà  francescana e della liturgia d'Oriente. Giovanni Paolo II si connette a questi due grandi filoni della spiritualità  cristiana. Egli va in Terra Santa con lo spirito di Francesco e con grande amore per i cristiani d'Oriente. Verso di loro c'è un grande desiderio di unità , che si concretizza in una proposta che il Papa fa con un tono sommesso e fraterno: «Sarei felice - egli afferma - se insieme potessimo radunarci nei luoghi della nostra origine comune, per testimoniare Cristo nostra unità  e confermare il reciproco impegno verso il ristabilimento della piena comunione».
Le divisioni, all'inizio della storia del cristianesimo, sono nate in Oriente e nel Mediterraneo. Da lì deve venire il segno dell'unità . Il Papa vuole l'incontro con gli altri leader cristiani alla luce dei Luoghi Santi, come un ritorno alla Chiesa indivisa. È il significato dello storico incontro tra Paolo VI e il patriarca ecumenico Athenagoras, proprio a Gerusalemme, all'inizio del cammino ecumenico durante il Concilio Vaticano II. Nei Luoghi Santi, a Ur dei Caldei, patria di Abramo, al Sinai e al monte Nebo, nella città  degli Atti degli apostoli, Damasco e Atene, il Papa pensa di ravvivare l'amore tra i cristiani e il dialogo tra questi, gli ebrei e i musulmani.
Giovanni Paolo II chiede di «essere accolto come pellegrino e fratello». È una via ecumenica che il Papa indica alla Chiesa cattolica e alle altre Chiese: farsi pellegrini è una via per ritornare fratelli. Ma egli pensa anche al popolo ebraico, a cui è legata tanta parte della storia della salvezza. La via del pellegrinaggio fa crescere «la coscienza dei vincoli che ci uniscono, contribuendo ad estinguere definitivamente incomprensioni che purtroppo hanno tante volte nei secoli amaramente segnato i rapporti tra cristiani e ebrei». D'altra parte Giovanni Paolo II è aperto al dialogo con l'islam. Gran parte dei cristiani d'Oriente vivono in paesi musulmani e lì sono i Luoghi Santi. Egli spera che il suo pellegrinaggio offra «una opportunità  d'incontro». Del resto nel suo pontificato, il Papa si è recato diverse volte nei paesi dell'islam.
Il pellegrinaggio apre al dialogo, anzi ai «dialoghi» che il Concilio Vaticano II ha voluto. Il Papa, concentrato sull'itinerario biblico, anzi sulle «orme di Dio», è attento agli uomini e ai popoli, dove sono i luoghi della memoria biblica. In un clima di preghiera, nella semplicità  del pellegrino, matura quell'amore che è alla radice di ogni dialogo. Questa è la geografia spirituale di Giovanni Paolo II, sottesa a tanta parte del suo pontificato, della sua preghiera, dei suoi incontri. Forse questo documento del Papa spinge tutti i cristiani a guardare verso Oriente, verso i luoghi dell'origine, consapevoli che la nostra fede proviene da quelle terre. È un testo che accresce i legami tra la Chiesa d'Oriente e d'Occidente, mentre ribadisce la fraternità  profonda e la comune filiazione con il popolo ebraico. E, alla fine, pur nelle reali e insopprimibili diversità , mostra come ebrei, cristiani e musulmani sono tutti figli di Abramo. Egli è il «Patriarcha noster et omnium credentium pater» (il nostro patriarca e il padre di tutti i credenti). Siamo così alle radici di quel comune cammino che ci riporta a guardarci come fratelli, proprio a partire da terre contrastate ma cariche di memorie.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017