Giubileo cammino di conversione

Del giubileo la gente conosce solo quel tanto che i media passano, questioni di soldi e polemiche, ma nulla che entri nel merito della celebrazione. Ma volendo, siamo in tempo per rimediare.
05 Maggio 1997 | di

Dalla vita
Ridotto a un sottopasso

   
   

   

 

   

   

 

C he cosa ne sa la gente del giubileo del 2000? Chi guarda soltanto la televisione,       praticamente nulla. Chi invece legge i giornali (69 italiani su 100 dai quattordici anni in su ne leggono almeno uno ogni sette giorni) ricorda, forse, che un anno fa, tra gli ultimi adempimenti del governo Dini, vi fu uno stanziamento di 3500 miliardi di lire. Ricorda, forse, che nell'estate scorsa a Roma vi fu una violenta polemica tra il sindaco Rutelli, tuttora in carica, e il ministro Di Pietro, nel frattempo dimesso. Si discuteva di opere pubbliche, in particolare del sottopasso che dovrebbe, o avrebbe       dovuto portare rapidamente da Palazzo di Giustizia fino a Largo Cavalleggeri, correndo sotto il Tevere, in una ipotesi, aggirando Castel Sant'Angelo, nell'altra. Polemiche a non finire; e polemizzare serve soprattutto a perdere tempo, cosicché alla fine, anche decidendo di farlo, il sottopasso non potrà  essere finito in tempo.

 

Il giubileo ridotto a un sottopasso... oppure al parcheggio sotto il Gianicolo. Fatelo, bravi - sibilano i critici - ; poi, finito il giubileo, a chi servirà ? Al Vaticano per le udienze del mercoledì, non certo ai romani. Questo la gente ha letto sui giornali. E poi le previsioni apocalittiche di Guido Ceronetti: 40 milioni di pellegrini, peggio di Alarico, peggio dei Lanzichenecchi. Blocchiamoli a Magliano Sabina, a Roma Nord insomma. E gli insulti di Albero Arbasino, che ha già  detto che nel 2000 lui caricherà  sull auto abiti, libri, vettovaglie, forse anche il gatto, e scapperà  via, e peccato che non tutti possano fare altrettanto.

Questo la gente sa. Forse. I pellegrini come invasori, dove passano loro non cresce più l'erba. Il giubileo messo accanto alle olimpiadi del 2004, e confuso con esse; Rutelli che un giorno parla dell'uno, poi dell'altro, ma chi li distingue più? Oppure, se è gente del Nord che legge la sana stampa nordica, è stata sicuramente informata della deliberazione del governo Padano, che da Mantova ha tuonato: giubileo, altri soldi per Roma ladrona! Li tirino fuori i privati, com'è stato fatto per le olimpiadi di Atlanta. Ed ecco qua, rovina è compiuta. Giubileo uguale olimpiadi, uguale affari. Giubileo ridotto a problema politico e logistico, a grandi lavori, a polemiche da piccolo cortile italico.

Il giubileo, grande evento spirituale e culturale? Il giubileo, avvenimento mondiale? Nulla, nulla di nulla! La brillante sintesi finale è affidata ad Arbasino: 'Chi non ha da guadagnare con il turismo, chi non è albergatore, non è costruttore, non è prete, non è politico, pizzaiolo o borseggiatore (sic!) riceverà  solo disagi dall'anno santo'.

Naturalmente, ci sono anche gli italiani che si informano diversamente. La stampa cattolica, però, può far poco per spostare un'opinione così piatta e greve:

l'1,3 per cento degli italiani legge il quotidiano 'Avvenire', l'11,1 i settimanali cattolici, il 5,6 i mensili. Gli stessi cattolici si informano poco e male: un fedele su due, tra quelli che frequentano abitualmente la messa domenicale, non legge assolutamente nulla. Ossia non sente né il desiderio né la necessità  di informarsi.

Che ne sa, dunque, la gente del giubileo? Ancora pochissimo, e quel poco non parla di speranza, di nuovo millennio di pace, di Gesù Cristo, di perdono, di preghiera, di dialogo tra le religioni. Scherziamo? Molto più intrigante un dibattito sul tunnel sotto il Tevere, che uno sulla capacità  della fede di dare senso e futuro alla storia dei singoli individui e dell'intera umanità .

Considerazioni amare. Ma c'è ancora tempo. Purché i parroci, gli operatori pastorali, i fedeli impegnati, e tutti coloro che abbiano a cuore la riuscita del grande appuntamento del 2000 si rendano conto della posta in gioco.l

Dell'evento del giubileo la gente ha conosciuto solo alcuni aspetti esteriori, logistici, esasperati dalle polemiche tra chi è contrario ad alcune soluzioni atte ad accogliere i futuri pellegrini e chi è favorevole. Polemiche che hanno tenuto banco a lungo sulle pagine dei giornali, oscurando il significato spirituale, religioso di un tale fatto; e cioè che il giubileo è soprattutto un cammino di conversione che si realizza in un duplice ritorno: quello di Dio, che manifesta la sua fedeltà , e quello di chi ritorna a Dio con tutto il cuore e fa l'esperienza della sua salvezza. Questo ci appare da una lettura attenta della parola di Dio.

 

La parola di Dio Il duplice ritorno
Incarnazione, comunicazione e ricapitolazione: ecco le tre parole chiave che definiscono il significato del processo di conversione nella prospettiva cristiana.

 La 'conversione' nella Bibbia è associata all'idea del 'ritorno' a Dio. Infatti, il termine ebraico teshuvà h deriva del verbo shà»v che significa, appunto, 'tornare' o 'ritornare'. Nel linguaggio dei profeti, che invitano il popolo dell'alleanza a 'tornare' al Signore, il cammino di conversione non è solo un processo di cambiamento spirituale che si concretizza in un rinnovato impegno a osservare le clausole di alleanza o decalogo. La conversione è anche il ritorno dall'esilio o dalla dispersione conseguente al peccato di infedeltà  a Dio. Infatti, la violazione dell'alleanza fa cadere nella condizione di schiavitù precedente l'esodo. La deportazione delle tribù del regno di Israele al Nord, e poi di quelle del regno di Giuda è l'antiesodo. La conversione è il processo inverso. Grazie all'intervento di Dio, il popolo, dopo il trauma dell'esilio, è ricondotto alla sua terra e può rivivere il rapporto con Dio chiamato 'nuova alleanza'. Tutto questo è espresso molto bene nella preghiera del Salmo 85, dove la conversione implica un duplice ritorno, quello di Dio che manifesta la sua fedeltà  perché ha 'ricondotto i deportati di Giacobbe' e ha 'perdonato l'iniquità  del suo popolo', e quello di chi 'ritorna a Dio con tutto il cuore' e fa l'esperienza della sua salvezza.

Credo che sia opportuno tenere presente questo orizzonte storico della conversione, per non ridurla a un processo intimistico e privato che misconosce lo stile dell'agire di Dio rivelato nella Scrittura. Nella prospettiva della fede cristiana, il processo della conversione è qualificato da tre aspetti che si possono concentrare nei termini 'incarnazione', 'comunicazione' di Dio e 'ricapitolazione' di tutte le cose in Gesù Cristo.

L'incarnazione

Il primo aspetto è quello più originale, anche se esso si innesta nella fede biblica di Dio creatore che si rivela e opera dentro la storia di Israele. Ma solo in Gesù, il figlio di Maria di Nazaret, la parola di Dio prende un volto di un uomo concreto. Questo fatto, secondo la fede cristiana, scandisce ormai il tempo e la storia degli esseri umani. Questo lo dice Paolo che, con il suo senso di appartenenza ai figli di Israele, 'ebreo da ebrei', è cosciente della svolta storica rappresentata dall'evento di Gesù Cristo. Egli scrive ai cristiani della Galazia che provengono in massima parte dal mondo pagano: 'Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli' (Gal 4,4-5).

Per Paolo, l'incarnazione di Dio in Gesù Cristo è il punto di arrivo e il compimento di una lunga storia di promesse e di attese. Essa risale alla libera e gratuita iniziativa di Dio, che si rivela e si rende presente in Gesù come Padre. La dimensione storica della missione di Gesù, il Figlio di Dio, è sottolineata dal fatto che egli non solo condivide la condizione umana - 'nato da donna' - ma anche quella del popolo della prima alleanza che si fonda sulla legge. Paolo non rinnega la legge dell'alleanza, ma nella prospettiva della fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, ne scopre il ruolo limitato e provvisorio. La legge, infatti, manifesta la condizione dell'essere umano che si lascia trascinare dal suo istinto malvagio e si ribella alla volontà  di Dio. Perciò quelli che sono 'sotto la legge', i figli di Israele, hanno bisogno di essere riscattati come quelli che sono sotto il controllo di una guardia carceraria o vivono in schiavitù.

La comunicazione

La seconda parola che taccia il percorso della conversione, come duplice 'ritorno' di Dio e dell'essere umano, è 'comunicazione'. In Gesù, il Figlio suo, Dio non si limita a dare istruzioni, ordini e divieti come nella rivelazione del Sinai, ma rivela e dona se stesso. Questa coscienza della novità  nella storia della rivelazione biblica è espressa nel prologo dell'omelia nota come 'Lettera agli Ebrei'. L'autore presenta in sintesi il programma del suo discorso in questo modo: 'Dio che aveva già  parlato nei tempi antichi molte volta e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito anche erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo' (Eb 1,1-2). Alla frammentazione della parola di Dio nelle diverse e molteplici parole dei mediatori della prima alleanza corrispondente, ora, la concentrazione della parola di Dio in Gesù, il Figlio. Egli, come si dice con un'espressione di san Francesco, è la 'parola abbreviata' di Dio. Ma quello che attira l'attenzione è, ancora, l'accento posto sul 'tempo' storico decisivo della comunicazione di Dio nel Figlio: 'ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi'. In altri termini, Gesù non è solo la concentrazione della parola di Dio, ma è anche la parola definitiva e completa. Questo evento sotto il profilo religioso segna una svolta nella storia dell'umanità .

La ricapitolazione

Il terzo vocabolo che connota la conversione cristiana nel ritmo della storia umana è la 'ricapitolazione' di tutte le cose create in Gesù Cristo. Tale prospettiva è già  presente nel succitato prologo della 'ricapitolazione' di tutte le cose create in Gesù Cristo. Tale prospettiva è già  presente nel succitato prologo della 'Lettera agli Ebrei', dove si dice che il Figlio è anche 'erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo'. Ma questa coscienza della fede cristologica trova una formulazione ampia e articolata nella grande benedizione che apre la lettera circolare inviata alle chiese dell'Asia, che in alcuni codici reca l'indirizzo 'agli Efesini'. In questa preghiera, modellata sui Salmi biblici, si ripercorrono le tappe dell'azione salvifica di Dio, 'il Padre del Signore nostro Gesù Cristo'. Tutti i beni che Dio comunica agli esseri umani sono condensati in Cristo. Perciò i credenti in Gesù Cristo 'benedicono' Dio Padre che li ha 'benedetti con ogni benedizione spirituale in Cristo'.

Quindi, in una gioiosa contemplazione, si passano in rassegna i diversi momenti di questa donazione dei beni, dall'elezione libera e gratuita di Dio 'prima della creazione del mondo', fino alla redenzione che si realizza nel perdono dei peccati grazie alla morte di Gesù Cristo. Il vertice di questo processo, che rende possibile il ritorno a Dio, è la rivelazione del suo disegno ai cristiani che hanno accolto l'evangelo. L'autore della benedizione riconosce la grazia di Dio che egli 'ha abbondantemente riversato su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà , secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito, per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra' (Ef 1,9-10).

Ancora una volta si esprime la coscienza della fede cristiana che ha imparato a scandire il tempo secondo il disegno di Dio culminante in Gesù Cristo. La 'pienezza dei tempi' dipende dall'iniziativa di Dio che porta a compimento il suo disegno di salvezza, ora svelato in Gesù Cristo. In lui tutta la realtà  creata trova senso e coesione. Il significato dell'espressione 'ricapitolare in Cristo tutte le cose' si potrebbe rendere con l'immagine di un centro verso quale convergono tutti i raggi oppure con la categoria dell'intestazione: 'Tutta la realtà  creata e l'intera storia umana sono intestate a Cristo'.

In breve, la conversione, nella prospettiva della fede cristiana, è un convergere di tutti e di tutto al centro, al vertice o capo che è Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Questa scelta non è una fuga dalla storia e dalla concretezza materiale delle cose, perché la parola di Dio, che è Gesù Cristo, il Figlio, sta ormai in modo irreversibile dentro la realtà  creata e la storia umana. l

Il giubileo è un cammino di conversione, una occasione rinnovata per incontrare il Signore che 'ha messo la sua tenda in mezzo a noi'. Se convertirsi significa convergere tutti verso il 'punto centrale' della storia che è Gesù Cristo, Figlio di Dio, è indispensabile accogliere Cristo come 'unico salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre', come punto di riferimento e orientamento decisivo della nostra vita e della storia. Scegliere Cristo vuol dire amare, vuol dire convertirsi alla carità . Questo si ricava dai documenti della chiesa.

La parola della chiesa

Convertirsi alla carità 

Il ritorno a Diosi esprime nell'impegno per la giustizia e nel servizio ai poveri. Ecco come convertirsi alla carità .

'La chiesa - scrive il papa nella lettera apostolica per il giubileo Tertio millennio adveniente (Tma), citando il concilio (la Gaudium et spes ) - crede di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine dell'uomo nonché di tutta la storia umana. Inoltre, la chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano, esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli. Così nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature, il concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo'.

Ecco perché il papa, in questo primo anno di preparazione al giubileo (1997), chiama tutti i credenti a convertirsi a Cristo, a rinvigorire la fede il lui, a riscoprire la propria identità  di battezzati e a testimoniare la fede con una vita cristiana più coerente, con un impegno più coraggioso per la giustizia e con un'accoglienza più solidale dei poveri.

Scegliere Cristo vuol dire 'amare'

Ma che cosa significa 'convertirsi a Cristo'? Cristo è la manifestazione dell'amore di Dio che si dona e si fa presenza attuale nel mondo: 'Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine'. In Cristo l'amore si presenta all'uomo come il punto terminale di un movimento che discende dall'alto, come partecipazione al dialogo profondo che intercorre tra il Padre e il Figlio nella gioia dello Spirito.

Da questo amore di Dio, che Cristo ci ha donato morendo in croce per noi, discende il comandamento di amarci reciprocamente. 'Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri'. È questo il segno distintivo del cristiano. Seguire Cristo vuol dire amare come lui, vivere la vita come 'dono per gli altri'.

L'amore cristiano si qualifica soprattutto come amore agli 'ultimi': al povero, al barbone, al tossicodipendente, allo straniero, al carcerato, alla donna sfruttata. Ma amare gli 'ultimi' significa lottare contro tutte le situazioni che creano 'miseria' materiale e spirituale. Per questo motivo il giubileo mette in primo piano le istanze della giustizia e della carità  (Tma 12-13): sono queste esigenze che permettono alla fede di incarnarsi nella storia e di essere attiva.

A nessuno sfuggono le situazioni macroscopiche di povertà  che, in Italia e nel mondo, sollecitano la coscienza e l'impegno: la disoccupazione dilagante, il problema della remissione del debito pubblico, il problema degli immigrati senza tetto e senza lavoro, le questioni connesse alla promozione della pace... Esse comportano la necessità  di lottare perché le situazioni di povertà  materiale, sociale ed economica vengano risanate, dal momento che sono la conseguenza di un abuso da parte di alcuni che costringono altri alla sofferenza.

Ma non devono sfuggire neppure le povertà  più feriali, meno eclatanti, ma ugualmente drammatiche per chi le vive, dal momento che appartengono alla vita quotidiana della città , del quartiere, del paese. È nelle opere della carità , che ha come base il ristabilimento della giustizia, che si deve esprimere la nostra vita di fede e la nostra conversione a Cristo. È questa la testimonianza che il giubileo ci chiede.

Che cosa fare in concreto?

Occorre che le comunità  cristiane diventino segni visibili dell'amore di Dio e promuovano concrete esperienze di servizio e di solidarietà . 'La carità  è il banco di prova della credibilità  della chiesa' (Paolo VI). Ecco, a mo' di esempio, le indicazioni date da alcune diocesi italiane in questo primo anno in preparazione al giubileo, per promuovere la testimonianza della carità .

n Ciascuna parrocchia costituisca la Caritas parrocchiale per educare i fedeli alla solidarietà  e per stimolarli a rispondere alle vecchie e nuove povertà  che ci sono sul territorio. Promuova concrete iniziative di vicinanza ai malati, ai vecchi e alle famiglie provate da disgrazie o da difficoltà  morali e materiali.

n Ciascuna parrocchia, soprattutto se grande, faccia nascere, accanto alla chiesa e alle aule di catechismo, un centro di prima accoglienza in cui si accolgono e si ascoltano le persone in difficoltà , gli immigrati in cerca di lavoro, i poveri che bussano alla porta.

n Ciascuna parrocchia partecipi alle iniziative di carità  promosse dalla diocesi, attraverso la Caritas e le istituzioni diocesane, in favore degli alcolisti e dei tossicodipendenti, degli ex carcerati, delle donne vittime della prostituzione, dei malati psichici, dei malati di Aids.

n I consigli pastorali siano attenti ai problemi sociali che si presentano sul territorio, soprattutto ai problemi dell'immigrazione, della disoccupazione, della sanità , dell enorme disparità  presente tra i benestanti e gli indigenti; promuovano rapporti di solidarietà .

 

Convertirsi alla carità 

Non bastano le iniziative di carità : è necessario un cambiamento radicale di mentalità . Occorre passare dalla logica dell'avere, del profitto a ogni costo, del trattenere per sé, alla logica del donare, del condividere. È questo il cammino di conversione che il giubileo chiede a tutti. Scrive il papa: 'L'annuncio della conversione come imprescindibile esigenza dell'amore cristiano è particolarmente importante nella società  attuale... Sarà , pertanto, opportuno mettere in risalto la virtù teologale della carità . La carità , nel suo duplice volto di amore per Dio e per i fratelli, è la sintesi della vita morale del credente. Essa ha in Dio la sua sorgente e il suo approdo' (Tma 50).

E ancora: 'Si deve dire che l'impegno per la giustizia e per la pace in un mondo come il nostro, segnato da tanti conflitti e da intollerabili disuguaglianze sociali ed economiche, è un aspetto qualificante della preparazione e della celebrazione del giubileo. Così i cristiani dovranno frasi voce di tutti i poveri del mondo, proponendo il giubileo come un tempo opportuno per pensare, tra l'altro, a una consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte nazioni' (Tma 51). l

   
   
T ertium Millennium è il bollettino-rivista del Comitato centrale del grande giubileo dell'anno duemila, diretto da Angelo Scelzo ed edito dalla Piemme. Uscirà  ogni due mesi. Questo primo numero, quasi monografico, è tutto imperniato sulla figura di Gesù Cristo, al quale il 1997, primo anno       della preparazione immediata, è dedicato. 'Sul piano dei contenuti - scrive monsignor Sergio Sebastiani - il bollettino-rivista ha la strada segnata da un obiettivo: il rinvigorimento della fede per tutta la comunità  dei credenti'.

 

   
   

 

   
Giubileo e  duemila di Giacomo Panteghini
Aspettando un mondo rinnovato     

I  giubilei, con la loro prospettiva di un mondo rinnovato all'insegna della giustizia, della riconciliazione e della salvaguardia del creato, offrono una interessante chiave per la comprensione del progetto di Dio sulla creazione e sulla storia. Sono richiami periodici al disegno originario di Dio, miranti a contrastare il disordine introdotto dal peccato nel mondo. L'interruzione, ogni cinquant'anni, del 'tempo ordinario', inquinato dal peccato con le sue ripercussioni sulla persona, sulla società  e sulla natura, con un 'tempo straordinario', che prospetta il ripristino dell'armonia personale, sociale e cosmica, ha una evidente portata utopica, la forza cioè di una meta lontana che sollecita l'impegno storico.

Non è senza significato il fatto che Gesù, all'inizio della vita pubblica, si presenti, prendendo spunto da Isaia 61,1-2, come colui che inaugura il giubileo definitivo, l''anno di grazia' che avvia la nuova storia dell'umanità  (Lc 4,14-30). I giubilei cristiani partono da qui: nella consapevolezza che molto resta ancora da fare perché il rinnovamento realizzato in Cristo diventi, attraverso la chiesa, patrimonio dell'intera umanità .     

L'idea del giubileo, come anno di ricomposizione di tutte le sperequazioni sociali e di ristabilimento della signoria di Dio su tutte le cose, è formulata nel capitolo 25 del Levitico, dove Dio ordina al suo popolo, oltre all'anno sabbatico dopo sei anni di lavoro, l'anno giubilare ogni cinquant'anni. Un anno in cui il riposo viene esteso anche alla terra (non si semina né si raccoglie) e in cui tutti gli abitanti del paese riacquistano la libertà  e i beni perduti (finisce la schiavitù per debiti e ciascuno riacquista la proprietà  delle sue terre). L'anno giubilare voleva far capire che Dio è l'unico Signore dell'uomo e della natura, le discriminazioni introdotte dall'egoismo e dalla sopraffazione dei più forti.

Anche se non si ha notizia circa una effettiva applicazione del precetto giubilare da parte del popolo eletto, non si può negare che questa 'utopia' abbia agito in modo benefico nella storia di Israele. Nella storia della chiesa l'ideale del giubileo, inteso come riferimento all''anno di grazia' introdotto da Cristo, non è mai venuto meno, anche se solo a partire dal 1300 si è cominciato a festeggiarlo ufficialmente, e più in chiave spirituale che sociale.     

Il giubileo del duemila cade a settecento anni di distanza da questo primo giubileo, indetto da Bonifacio VIII in un'epoca in cui, nello sfaldamento della società  medioevale, più acuto si avvertiva il bisogno di un rinnovamento spirituale radicale. La religiosità  popolare e i vari movimenti riformistici del tempo, delusi da una società  più nominalmente che realmente cristiana, puntavano allora sul carattere interiore (conversione) e trascendente (indulgenza plenaria per i vivi e per le anime del purgatorio) di questo rinnovamento. In questo, curiosamente assecondati da un papa che viene di solito presentato come il simbolo stesso della teocrazia, di un cristianesimo, cioè, dai forti risvolti temporalistici (il mondo come 'impero' cristiano).

Oggi il giubileo, senza trascurare questa prospettiva 'spirituale', ricupera anche la dimensione sociale e cosmica (ecologica) prospettata dal Levitico. La chiesa lo presenta come un invito a meditare su Cristo, in quanto rivelazione del progetto di Dio sull'uomo e sulla storia. Progetto che prevede un mondo rinnovato, retto dall'amore e non dall'egoismo.     

In questa prospettiva viene riletta anche la prassi del pellegrinaggio: una espressione religiosa molto diffusa in tutti i tempi (la si trova nell'antico Egitto e continua a tutt'oggi nell'Islam e nel buddismo), ma che nella tradizione ebraico-cristiana assume un preciso significato pasquale: il passaggio (itineranza) dalle schiavitù prodotte dall'egoismo alla libertà  generata dalla civiltà  dell'amore.

 

L'impegno per la giustizia e il servizio ai poveri sono i segni più concreti e visibili del cammino di conversione intrapreso. Cammino che alcuni percorrono da tempo, come don Renzo Scapolo e amici, impegnati a rendere giustizia ai poveri dell'ex Jugoslavia, vittime di una guerra fratricida che in molti di loro ha ucciso la speranza.La testimonianza: don Renzo Scapolo a SarajevoUn ponte per non 'sprofondare'

Scuole, anziani, bambini, malati gravi: non conosce limiti l'attività  di 'Sprofondo', un'associazione impegnata a Sarajevo a vincere la sfida dell'emergenza per recuperare quotidinità  e futuro.

C'è un grande ponte ideale fra l'Italia e Sarajevo. In Italia molte famiglie, associazioni e volontari, pellegrini di Medjugorie, costituiscono il primo pilone. Il secondo è a Sarajevo dove ha sede l'associazione 'Sprofondo'. Il ponte è percorso da un intenso traffico umanitario.

'Sprofondo' è il nome di un'associazione che dal 1994 opera per la promozione della pace e dei diritti dei popoli, ponendo le basi per una umanità  multietnica, multiculturale e multireligiosa. Una sede dell'associazione è a Sarajevo, l'altra è in Italia, a Valmorea, in provincia di Como, in via IV Novembre, 13 - tel. 031/806026.

Ne è presidente don Renzo Scapolo, originario di Santa Giustina in Colle (PD), che ha alle spalle una esperienza di missionario diocesano in America latina. È arrivato a Sarajevo la prima volta nel dicembre 1992, sei mesi dopo l'inizio della guerra, per la marcia organizzata da Beati i costruttori di pace, con don Albino Bizzotto, monsignor Bettazzi e don Tonino Bello. 'Allora - dice don Renzo - ho contratto il contagio'.

'Poi siamo venuti - racconta don Renzo - nell'agosto del 1993 con circa duemila persone, ma non siamo riusciti ad arrivare a Sarajevo. Siamo tornati nell'autunno del 1994, e da allora quasi ogni mese siamo riusciti a portare furgoni carichi di aiuti alimentari. Fino al maggio 1995 quando, dopo una tremenda offensiva serba, sono rimasto qui con Adriano, un giovane meccanico di Como. Da allora abbiamo tentato non solo di essere per questa gente, ma di essere con questa gente. Ci siamo messi a lavorare con le scuole, poi con gli anziani e i bambini. 'Adotta un nonno' è stata una nostra campagna. La città  è piena di anziani non autosufficienti'.

Una équipe sanitaria visita a domicilio e si prende cura dei nonni e delle nonne che guerra e dopoguerra hanno lasciato soli a Sarajevo. Occuparsi della loro salute, della loro casa, del cibo è compito dell adozione che avviene a distanza, con quote mensili di cinquantamila lire. 'Circa un migliaio di famiglie italiane si sono autotassate - spiega don Renzo - . Abbiamo adottato trecento famiglie di orfani, centoquattro anziani, trecento malati gravi di distrofia muscolare, sclerosi multipla, cerebrolesi, paraplegici'.

La terza campagna di 'Sprofondo' è stata a favore dei malati gravi ('Adotta un malato incurabile'). 'La situazione dei malati mentali - spiega don Renzo - è veramente drammatica. Finita la tensione delle granate, stanno esplodendo le varie forme di pazzia. Le malattie mentali sono aumentate del 400 per cento. Poi ci sono i ciechi, i sordomuti. Non immaginavo che ci fossero tanti sordi per esplosione di granate. Nessuno ha mai parlato del problema dei sordi di guerra. Il 50 per cento dei ciechi sono stati prodotti dalla guerra'.

Oggi a Sarajevo la sfida è uscire dall'emergenza per guadagnare il tempo della quotidianità  e del futuro. Appare fondamentale rispettare un'etica degli aiuti. 'La distribuzione degli aiuti - dice don Renzo - deve essere rivolta soprattutto alle fasce più deboli e più colpite dalla guerra. La logica del profitto, che subito è apparsa a Sarajevo nel dopoguerra, non fa che perpetuare ingiustizie e disagio sociali. Le divisioni 'etniche', in realtà , ammantano, in guerra come in pace, interessi materiali, profitti'.

Perché Sarajevo rinasca dopo quattro anni di violenza e di odio, occorre tempo, e occorrono soprattutto operatori di riconciliazione. Per questo la visita del papa era tanto attesa.

La carità , nel suo duplice volto di amore per Dio e per i fratelli, è la sintesi della vita morale del credente. Essa ha in Dio la sua sorgente e il suo approdo. (Giovanni Paolo II, Tma 50)

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017