Giuseppe de Carli. Un vaticanista allo specchio
Msa. Due lauree nel cassetto (filosofia e scienze politiche), un baccellierato in teologia, un breve passato da insegnante. Com’è approdato Giuseppe De Carli al mondo dei media?
De Carli. Quando uno studia teologia, che è «la fede che pensa», non può tenere per sé quello che ha imparato. Dio è parola, anzi, come dice la Bibbia, è «voce di parole». Dio è comunicazione per eccellenza e questo ha legato strettamente quelle che erano le mie inclinazioni professionali con la ricerca di senso, con le grandi domande che tutti si pongono. Cercare le cose ultime, come ha detto Benedetto XVI in Portogallo, non le penultime. È una ricerca, in fondo, del Volto di Dio che coinvolge tutti. Gli studi di filosofia e scienze politiche mi avevano fornito la base, ma sentivo la necessità di guardare più in alto e più lontano. Entrato in Rai a Milano ho cominciato a occuparmi del cardinale Carlo Maria Martini. Dopo la morte del vaticanista Dante Alimenti ho chiesto all’allora direttore del Tg1, Nuccio Fava, di far qualcosa su papa Giovanni Paolo II. Mi ha messo alla prova nel lontano 1987 e sono rimasto a Roma come vaticanista. Ho seguito per diciotto anni Karol Wojtyla, facendo con lui qualcosa come 382 dirette in Italia e nel mondo e da oltre cinque anni seguo papa Ratzinger.
Che cosa significa, oggi, fare informazione religiosa?
Un conto è fare informazione religiosa sui giornali, un conto in tv. In quest’ultimo caso le immagini devono prevalere sul commento, anche se io noto sempre una certa opacità del mezzo televisivo. Tranne rare eccezioni: nel 2005, per la morte di papa Giovanni Paolo II e per l’elezione di papa Benedetto, la tv ha fatto una catechesi per immagini. L’eloquenza di quel dolore universale e di quei riti sono state esemplari. Ma, ripeto, capita raramente. Fare informazione religiosa significa avere un minimo di background biblico e teologico. Bisogna avere molta umiltà e non avere pregiudizi. Stiamo parlando di argomenti che vanno al cuore di milioni di credenti e non credenti, non di cronaca nera o rosa o di una partita di calcio. Il pericolo è di «mondanizzare» l’informazione religiosa, di metterla nel tritacarne mediatico, di evidenziarla solo per gli aspetti funzionali al «mercato» dell’informazione.
Si è tenuto di recente il Convegno della Cei «Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale». Da profondo conoscitore dei media e del mondo ecclesiale, come immagina evolverà la presenza della Chiesa sui nuovi mezzi di comunicazione?
Le notizie si creano o si danno? Questo è un bel dilemma. L’espandersi strepitoso delle informazioni (Internet, You Tube, Facebook...) a volte ci impedisce di raggiungere la realtà. In altre parole, non arriviamo mai alla verità delle cose, ma a una loro rappresentazione costruita secondo le esigenze dei media. Essi sono il pulpito del relativismo, della frammentazione della verità, delle verità parziali se non addirittura della menzogna. I media possono traformarsi in una gogna, in una trappola. E l’abbiamo visto recentemente anche con papa Benedetto che è «sfortunato» coi giornalisti (basti pensare ai tanti e, volutamente enfatizzati, incidenti di percorso). In questo quadro globale di confusione, una parola di serietà può venire dal mondo ecclesiale e religioso. È come ci si pone di fronte al reale, è il punto di vista, è una questione di sguardo, di profondità spirituale dello sguardo. Il convegno della Cei ha avuto il coraggio di dire alla galassia dei media cattolici che è giunta l’ora di avventurarsi nel mare in tempesta della modernità. Ma quello che conta è sempre la testimonianza, la fedeltà alla Chiesa, la coerenza tra ciò che si dice e i comportamenti individuali. Per essere «testimoni digitali» bisogna essere credibili.
Ha seguito Giovanni Paolo II in oltre 80 dei suoi viaggi. «Dietro le quinte», che rapporto aveva il Papa polacco con i media e i giornalisti?
Giovanni Paolo II è stato il Papa più mediatico della storia della Chiesa. Coi giornalisti ha sempre avuto, quando lo si poteva incontrare, un rapporto diretto. E ha comunicato tutto di sé, anche quando da «atleta della fede» si è traformato in «servo sofferente di Jahvè». Nessuno di noi è rimasto insensibile. So – ma non posso fare nomi – di colleghi che sono rimasti toccati, trasformati. Che nella variopinta carovana dei vaticanisti si è verificata anche qualche conversione. Eravamo tutti inglobati in una «missione», sapevamo di dover raccontare di un Papa che stava incidendo profondamente nelle pieghe del mondo e della storia.
Lei era amico del cardinal Ratzinger. Ho letto in un’intervista che ogni tanto, la sera, passeggiavate in Borgo Pio… Com’è l’«uomo» Ratzinger?
Ho abitato per oltre dieci anni vicino al cardinale Joseph Ratzinger a Borgo Pio e spesso lo incontravo la sera. Naturalmente mi conosceva. Non posso parlare di amicizia, ma di un rapporto di reciproca simpatia e confidenza sì. Certo, ora si è spostato di duecento metri ed è come se fosse andato a finire su un altro pianeta. Mi colpiva in lui la serenità di fondo, la sua timidezza, ma anche la sua curiosità, la vivacità intellettuale. Incontrarlo e parlare con lui è sempre stata un’avventura dello spirito.
E il «Papa» Ratzinger?
C’è continuità fra Joseph Ratzinger e papa Benedetto XVI. In questo è di una granitica coerenza. Il Pontefice, succeduto al prefetto per la Dottrina della Fede, continua a fare con lo stesso rigore e con la stessa serena intransigenza ciò che aveva fatto a servizio della Chiesa negli anni precedenti. Ma non è più coperto dallo straordinario carisma del Papa polacco. Ora è lui il Papa e deve affrontare l’offensiva e gli attacchi che gli vengono dall’esterno e, soprattutto, come ha detto andando in Portogallo, che gli vengono da «dentro» la Chiesa. La «grazia di stato» però lo sta aiutando. Non vorrei dire una stupidaggine: i primi tre viaggi di quest’anno – Malta, davanti alla Sindone a Torino e Fatima – ci stanno restituendo Ratzinger Papa. È come se si fosse completato un ciclo misterioso. Il teologo e l’intellettuale stanno lasciando il posto al «pastore universale», al Successore di Pietro, al Vicario di Cristo in terra, al padre e al modello dei credenti, persino al profeta. Chi si sarebbe aspettato che dicesse a Fatima che la «profezia» del messaggio della Madonna apparsa alla Cova da Iria continua? Anche sulla questione della pedofilia ha avuto il coraggio di osare, il coraggio della verità e delle decisioni dolorose. E poi sarebbe un conservatore, un retrogado, un passatista? Lui, uno degli illuministi che crede nella potenza della ragione alleata con la fede? È colpito perché sa. E come dice il Qohelet (1,18), chi più sa, più soffre.
Veniamo ora al suo presente professionale. Quali sono i compiti della struttura Rai-Vaticano della quale è attualmente responsabile?
Rai Vaticano è nata sulle ceneri di Rai Giubileo. È una struttura Rai che non ha budget né autonomia, che spesso è ignorata dai dirigenti che contano e si fa strada solo con la forza delle proprie idee, potendo contare su un pugno di collaboratori motivati. Ha compiti di coordinamento, specie per quello che riguarda le grandi dirette col Papa o i principali eventi ecclesiali, anche se deve considerare il fatto che siamo in un Paese interconfessionale. Puntiamo sulle tre religioni del Libro (cristiani, ebrei, musulmani), sullo «splendore delle differenze». Il dialogo fra i credenti comincia col conoscersi meglio.
Un paio d’anni fa è riuscito a portare per la prima volta in diretta tv una sette giorni non stop di lettura della Sacra Bibbia (La Bibbia Giorno e Notte). Quali le prossime mete di Rai Vaticano?
Quella della Bibbia Giorno e Notte è stata, finora, la più radicale proposta di comunicazione in tv. La Bibbia letta integralmente è stata un pugno nello stomaco. La Parola nella sua pura trasparenza. Un evento memorabile, anche nella storia della tv mondiale. Che continua ad avere ricadute inaspettate. Vedi la lettura integrale a Lourdes, ora a San Giovanni Rotondo, nel prossimo futuro a Damasco in arabo e in America Latina. Questa incredibile non-stop si può seguire sul nostro sito web (www.raivaticano.rai.it), e la si puo scaricare gratuitamente per iPod. Il sito, col blog, offre ormai una panoramica a 360 gradi della vitalità dell’informazione religiosa. È il primo passo per arrivare a un portale Rai dedicato alla fede e alle religioni e anche – perché no? – a un canale digitale terrestre espressamente dedicato. La «terrazza» evangelica del nostro tempo è questa. Non possiamo rassegnarci a vivere nel sottoscala o a stare magari su un pianerottolo.
Un’ultima domanda, doverosa: che consigli darebbe a un giovane che volesse seguire le sue orme professionali?
L’improvvisazione è nemica di questo particolare tipo di professione. Se avete una facoltà di teologia vicino, frequentatela. Magari come uditore dei corsi principali: Sacra Scrittura, storia della Chiesa, Patristica, Liturgia. Sono studi che intrigano, mettono in crisi i nostri luoghi comuni e ti fanno scoprire che nella nostra vita – come diceva Bernanos – c’è sempre un Dio in agguato. Dio, un innamorato dell’uomo che vuole che l’uomo si innamori di Lui. Tutto il resto, verrà di conseguenza.
Il libro
È giunto di recente in libreria L’ultimo segreto di Fatima (Rai Eri, Rizzoli), versione aggiornata di un testo scritto a quattro mani nel 2007 dal cardinal Tarcisio Bertone e da Giuseppe De Carli, con presentazione di Benedetto XVI. «Il cardinal Bertone – spiega De Carli – ha interrogato più volte suor Lucia e si è imbattuto nel mistero. Una ricostruzione, sospesa fra cielo e terra, da far venire i brividi. In più, il cardinal Bertone, ora Segretario di Stato del Papa, ci accompagna da un pontificato all’altro, traghettandoci da un Papa mariano all’altro. Perché anche Ratzinger ha una spiritualità mariana, come si è visto con tutta evidenza a Fatima. Una lettura spirituale avvincente, dove ogni tessera, alla fine, si colloca in un mosaico splendente, che coniuga religiosità popolare e religiosità colta. I santuari mariani sono le fortezze invincibili della fede, sono una risorsa di bene contro il male».