Gli equilibristi del «low cost»

Prezzi bassi, buona qualità, facile accesso, il «low cost» imperversa in ogni campo dei servizi e del commercio. Non è solo necessità, è tendenza, sperimentazione, possibilità concreta di mantenere un discreto tenore di vita tra i marosi della crisi.
27 Agosto 2012 | di

Proprio negli anni della crisi, c’è un settore economico che va a gonfie vele: è il low cost. Grazie a esso, con pochi euro oggi è possibile visitare una capitale europea, fare una discreta spesa alimentare, rifarsi una libreria o tenere un conto bancario. Molti marchi sono noti a tutti: Lidl e Prix per gli alimentari, Zara, H&M e Oviesse industry per l’abbigliamento, Decathlon per lo sport, Ikea per i mobili, Ryanair per le compagnie aeree, Ing Direct per i servizi bancari. Tuttavia, complice la crisi, non c’è ormai settore del commercio e dei servizi che non abbia la sua proposta low cost. Con vantaggi indubbi se, come ha rilevato Assolowcost, associazione di categoria del comparto, una famiglia di quattro persone facendo scelte al 50 per cento low cost può risparmiare più di 5 mila euro l’anno. Un aumento notevole del potere d’acquisto, a cui nessuna manovra economica potrebbe aspirare. Una tendenza che è iniziata decenni fa, ma che è esplosa negli ultimi anni: solo nel 2011 il low cost è aumentato del 7,43 per cento, per un valore complessivo di 82,6 miliardi di euro, pari al 5,34 per cento del Pil.
I settori trainanti sono: alimentari, assicurazioni, auto, banche, carburanti, outlet e sanità.

«Se il low cost fosse un’unica azienda – scrivono Filippo Astone e Rossana Lacala nel libro Italia low cost, viaggio in un Paese che tenta di resistere alla crisi (Aliberti editore) – sarebbe la seconda in Italia dopo l’Eni e davanti alla Fiat».
Come ogni fenomeno relativamente nuovo, anche questo ha dei chiaroscuri non facilmente definibili. Se da un lato alcuni beni e servizi, prima riservati ai più facoltosi, sono ora alla portata di molti – come mobili di design o un viaggio in luoghi esotici – non è chiaro se il low cost sia semplicemente un nuovo modo di declinare un consumismo fine a se stesso, un ripiego per una popolazione impoverita che comunque non vuole rinunciare agli stili di vita acquisiti, o una nuova possibilità per fare acquisti più responsabili, ritornando al vero valore delle cose. C’è poi il dubbio della qualità: paghiamo meno oggetti peggiori che mimano quelli più alti di gamma o la crisi ci ha costretti a riconsiderare il giusto rapporto qualità /prezzo prima offuscato dal culto della buona marca o dalla pigrizia da benessere?

Potere al consumatore
A detta degli operatori del settore, il low cost non è il cheap, cioè il prezzo basso a ogni costo. A costo dunque della qualità, ma anche dei valori. È la costante ricerca di beni e servizi di qualità pagandoli al minor prezzo possibile, saltando intermediari, mettendoci del proprio: il gusto, l’ingegno, la conoscenza delle nuove tecnologie e persino le capacità manuali da parte del consumatore; l’innovazione, la creatività, la capacità di organizzare in modo più efficiente il proprio business da parte dell’impresa. Vivere bene, possibilmente meglio, salvaguardando il portafoglio.
Ma da dove ha origine la tendenza? Una delle tesi più accreditate è iscritta nel titolo di un libro di Massimo Gaggi ed Edoardo Narduzzi, La fine del ceto medio e la nascita della società low cost (Einaudi), un inizio che segna la fine di un’epoca in Occidente. Le profonde trasformazioni degli ultimi decenni, spinte dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie, hanno eroso posti di lavoro e potere d’acquisto, colpendo in modo particolare proprio il ceto medio, artefice del boom economico del secolo scorso. Tuttavia per Vanni Codeluppi, sociologo dei consumi, l’impoverimento della classe media è solo uno dei fattori dell’ascesa del low cost. Esso risponde alle esigenze del nuovo consumatore, uomo della rete e dei social network, per almeno tre motivi: «Offre una grande varietà e quindi una vastissima possibilità di scelta; rinnova rapidamente il suo assortimento, per cui è sempre di moda, di tendenza, attuale; dà la possibilità di personalizzare le proprie scelte, di costruirsi qualcosa su misura, di esprimere la propria personalità senza grandi spese, quindi senza grandi responsabilità. Per questo non parla solo a un pubblico che ha vincoli economici».

Il low cost si afferma per primo nelle compagnie aeree e negli alimentari, in seguito nell’abbigliamento e nei mobili, ma la diffusione di internet fa esplodere la tendenza nel settore bancario, assicurativo e turistico fino a coinvolgere progressivamente tutti gli altri settori, prestazioni professionali incluse. Una chiave di volta è il modello Ikea. Prezzi bassi grazie a un’organizzazione al millimetro con magazzini ridotti all’osso, grandi quantità, produttori vicini, attenzione al design, pacchi facilmente trasportabili, coinvolgimento del cliente nel montaggio.
Per altri il decollo è dovuto a internet, com’è accaduto per le banche on line, che permettono una gestione diretta del conto da parte del cliente e costi dei servizi in caduta libera.

Il «low cost» etico
Il low cost straripa dagli argini originari e prende più facce: da un lato offre una gamma infinita di servizi e oggetti a basso costo, utile per mantenere il tenore di vita, ma che può indurre il cliente a un consumo compulsivo e a una riedizione del vecchio modello di accumulo fine a se stesso; dall’altro inizia una gestazione che porta a modelli alternativi di produzione e vendita, legati anche alle reti, alla solidarietà, alla qualità e ai diritti. È il caso dei Gas (Gruppi di acquisto solidale), dei Farmer’s market (punti vendita di agricoltori che vendono direttamente la loro merce), ma anche delle esperienze di filiera corta, kilometrozero, autocostruzione, fai da te, ritorno alla terra, riuso, baratto, intese come riappropriazione di libertà, come spazio di autodeterminazione, come economia più a misura d’uomo, che evita gli sprechi e sceglie a ragion veduta. Bello, buono e giusto. Ma anche qui Codeluppi fa i suoi distinguo: «Non credo molto a una sobrietà morale, ma piuttosto a una sobrietà imposta dalla crisi e quindi sofferta. Se il consumatore avesse le risorse, consumerebbe come prima. C’è invece un tipo di consumatore consapevole che sta crescendo, ma che è ancora minoranza».

Motivazioni a parte, ciò che è sicuro è che il low cost oggi fa tendenza, sta operando un cambiamento sociale nei confronti dei consumi e degli stili di vita. È nata una società del mix che coinvolge anche le classi abbienti: un mobile Ikea si sposa bene con un quadro d’autore in un loft di design in cui la proprietaria non disdegna il fai da te o i mercatini dell’usato, magari preferendo comprare frutta e verdura di stagione in un Farmer’s market. Una contaminazione un tempo impossibile. Fatto in casa eppure di tendenza, standard eppure personalizzabile. E, soprattutto, a portata di tutte le tasche. E senza discriminazioni, «perché il trend riguarda la società trasversalmente» conclude Codeluppi.

Una rivoluzione ancora tutta da scoprire. Secondo Andrea Cinosi, presidente di Assolowcost, potrebbe essere un’opportunità per superare la crisi: «Alcuni marchi italiani (Oviesse industry, Nau, Camicissima) hanno intrapreso con successo la via del low cost, altri si sono inseriti nella scia dei grandi marchi (per esempio, buona parte della produzione Ikea è italiana). Una via promettente anche in settori come il turismo, fiore all’occhiello dell’Italia, penalizzato oggi dagli alti costi, dall’incapacità di far sistema e da una macchina pubblica inefficiente. Una svolta low cost stimolerebbe crescita e occupazione».
Rimangono, però, sul tappeto anche i dubbi: come distinguere la qualità, il giusto prezzo, il rispetto dei diritti e dell’ambiente nella giungla di proposte? Per orientarsi, la parola chiave è conoscenza. Che ha due valenze: informazione sui prodotti e sui produttori da un lato e utilizzo delle nuove tecnologie dall’altro. Chi non frequenta la rete è tagliato fuori, per esempio, dalla possibilità di confrontare tutti i tassi di mutuo offerti dalle banche o di trovare una stanza d’albergo al prezzo più basso. L’altra discriminante è la coscienza del valore politico dei propri consumi, della scala delle proprie priorità. Il low cost è un potente mezzo, ma il fine lo determina il consumatore. Forse mai come oggi ciò che acquistiamo è la cartina di tornasole del tipo di vita che davvero vogliamo.

Fare la spesa
Discount, km zero… è meglio
Spending review? Le famiglie italiane l’hanno messa in atto già prima del governo. Colpa della crisi che continua a invertire, sovvertire, ribaltare anche modi e criteri di fare la spesa. Tanto che, come sottolineano gli addetti ai lavori, oggi almeno il 57 per cento degli italiani dedica più tempo a fare la spesa. E un italiano su sei va a caccia di offerte nelle corsie dei supermercati. I dati emergono dal rapporto Istat (Istituto nazionale di statistica) 2012, alla voce «consumi delle famiglie». Circa il 20 per cento della spesa di un nucleo familiare medio riguarda il cibo, ma l’acquisto di alimenti si è ridotto per più di un terzo dei consumatori. Il risultato più tangibile è il crollo delle vendite al dettaglio e il boom dei negozi low cost, come evidenzia Coldiretti nel rapporto «La crisi cambia la spesa e le vacanze degli italiani». «Un nucleo familiare su cinque si reca in discount e hard discount. Sei anni fa erano appena il 10 per cento». La differenza? «A fare questa scelta per i propri acquisti è, per la prima volta, il ceto medio». Ma come controllare la qualità di un prodotto no logo? Ci ha provato Valeria Brignani, 29 anni, con un blog seguitissimo (www.discountordie.org, in media 600 collegamenti al giorno), nel quale sono consultabili centinaia di schede di prodotto, con tanto di voto. Esperienza che ha riportato in un libro, Discount or Die (Editore Nottetempo).

«I prodotti a lunga conservazione sono quelli che più consiglio – spiega Valeria –. L’universo delle sottomarche non è da buttare. Nei discount ci sono, ad esempio, tortellini o latte prodotti nello stesso stabilimento dei grandi marchi». Poi c’è anche la «spazzatura» come «certi fagioli che si spappolano nella minestra e persino nell’insalata o gomme da masticare che sembrano pezzi di cartone». Frutta e verdura? «Le compro sotto casa dove arrivano dalla campagna tutti i giorni».
La tendenza a comprare direttamente dal produttore, possibilmente a chilometro zero, è l’altra faccia degli acquisti in tempo di crisi. Dal 2007, da quando cioè è cambiata la normativa, i Farmer’s market, cioè i mercati ma anche i punti vendita dei contadini e, in generale, dei piccoli produttori agroalimentari, sono proliferati in tutto lo Stivale. Vi si comprano frutta e verdura di stagione, ma anche carne, latticini, salumi e conserve «local». I prezzi non sono stracciati, ma la qualità è in genere garantita. Tra i circuiti più interessanti, quello della Coldiretti, www.campagnamica.it, del biologico, www.filieracortabio.it e della Cia, www.laspesaincampagna.net. Un'altra possibilità che da tempo ha preso piede è quella di aderire a un Gruppo di acquisto solidale (Gas), cioè un gruppo di persone unite da una visione critica dei consumi, che compra direttamente dai produttori, spesso bio, cercando di coniugare solidarietà, convenienza e qualità. L’indirizzo della rete nazionale è www.retegas.org.

E che dire dei supermercati tradizionali? È possibile risparmiare anche qui, grazie agli sconti periodici e ai prodotti con il marchio della catena. Il sito www.klikkapromo.it, per esempio, è nato per aiutare il consumatore a trovare le offerte prima di recarsi al supermercato. Si può addirittura introdurre la propria spesa e cercare i supermercati della zona dove ci sono i prodotti preferiti in promozione o altri analoghi. L’iscrizione è gratuita e c’è anche un’applicazione per iPhone e android.
«Il futuro − conclude Valeria Brignani − sarà sempre più nel segno del low cost, che ci ha insegnato a fare i conti con la crisi e a non vergognarci più di risparmiare». Essere «tirchi», insomma, può essere addirittura rivoluzionario.
Nicoletta Masetto

Abbigliamento
L’eleganza non ha prezzo
di Luisa Santinello

Una collezione ogni due settimane, t-shirt a dieci euro e jeans a meno di venti: è l’evoluzione della moda per tutti. E lo stile ci guadagna.

Franco Moschino – fondatore dell’omonima casa di moda lombarda – lo aveva capito già nel 1988, quando lanciò la sua seconda linea Cheap&chic («A buon mercato e sciccoso»): l’eleganza non ha prezzo. Con buona pace di chi investe interi stipendi – se ancora c’è qualcuno che se lo può permettere – per stare al passo con le tendenze, stile e risparmio non sono mai stati tanto vicini come in questi ultimi tempi di crisi. Da oggetti del desiderio, oggi abiti e accessori si sono trasformati in prodotti di largo consumo. Rispetto agli anni ’90, quando una collezione a stagione bastava e avanzava, ora le aziende devono sfornare nuove idee ogni quindici giorni per attirare clienti. E, peggio ancora, devono farlo mantenendo i prezzi bassi. Così, sugli scaffali dei negozi la merce è di passaggio, mentre l’invenduto che generava perdita è solo un brutto ricordo. Non a caso, il motto di Amancio Ortega, fondatore di Zara – marchio del gruppo Inditex che conta 280 stilisti e 27 mila modelli disegnati ogni anno – è «Vendere gli abiti prima che si vendano». Alla stessa strategia si sono affidate la catena svedese H&M, la statunitense Gap e la nostrana Coin (che comprende Ovs industry e Upim). Grazie a una produzione autogestita e spalmata tra Cina, India e Paesi dell’Est, questi colossi del comparto moda sono riusciti a dimezzare tempi di produzione e spese pubblicitarie. Senza contare i tagli al personale, che hanno trasformato i punti vendita in magazzini self service dove il cliente – libero di cercare, provare e divertirsi – è il protagonista. Di fronte a un’offerta tanto accessibile e variegata, però, il consumatore rischia di perdere la bussola e di lasciarsi contagiare dalla frenesia dell’acquisto facile. Il confine tra necessario e superfluo è molto sottile.

Bando ai pregiudizi
A qualcuno potrà sembrare strano che una camicia in puro cotone costi 9,95 euro, o che un paio di jeans stretch non superi i 20. Eppure, il termine low cost non rimanda automaticamente a prodotti di scarsa qualità. Lo sanno bene i vip che hanno imparato a mixare capi di haute couture con pezzi più «democratici». Un esempio? L’attrice premio Oscar Michelle Williams che si è presentata ai Bafta Awards di Londra con un abito H&M. Anche gli stilisti di grido si sono convertiti: se Elio Fiorucci ed Ennio Capasa hanno firmato delle collezioni economiche per Oviesse, lo stesso hanno fatto Stella McCartney e Donatella Versace per H&M. Vestire low cost, però, non significa solo lasciarsi conquistare dai marchi della grande distribuzione, né da outlet village e spacci aziendali, che ripropongono vecchie collezioni a prezzi scontati. C’è anche chi al capo fatto in serie preferisce il pezzo unico. Se si tratta di un abitino usato o di una giacca tarmata tanto meglio: il fascino del vintage non ha età. Ecco spiegato il fiorire di mercatini dell’usato e swap party (feste del baratto). Basta visitare i siti www.reoose.it e www.swapclub.it per rendersi conto delle dimensioni che il fenomeno ha raggiunto. Che dire, infine, dei nostalgici che, pur di non gettar via il vecchio guardaroba, si armano di ago e filo per rivisitarlo? O di chi, stanco della solita maglietta stinta, si affida ai coloranti naturali? Le foglie di ortica e calendula bollite in acqua, per esempio, costituiscono un ottimo bagno rinverdente per t-shirt e camicie. Prima di cimentarsi nell’esperimento, però, meglio immergere i capi in un composto di acqua bollente e allume di potassio. Vedere il sito www.tinturanaturale.it per credere.

63% Spende meno per nuovi abiti

81,87 € Spesa media mensile di un single

688,83 € Risparmio annuo per famiglia di 4 persone

Trasporti & viaggi

Mobilità 2.0

Come fare benzina spendendo meno, avere a disposizione una macchina senza possederla, organizzare una vacanza originale a costo quasi zero.

Mobilità, viaggi e trasporti sono tra le voci più toccate dalla crisi. Il 47 per cento degli italiani dichiara di aver tagliato sulle vacanze e almeno un 43 per cento di lasciare più spesso l’auto in garage. Ma anche qui la necessità e un modo nuovo di concepire la mobilità sia in città che in giro per il mondo stanno producendo una grande quantità di proposte alternative. La prima, la più semplice, è quella di scegliere per l’approvvigionamento di carburanti le etichette indipendenti, cioè quelle pompe che non fanno parte dei circuiti più conosciuti e che riescono ad applicare sconti anche oltre 10 centesimi al litro. Scovarle in tutta la penisola è diventato ormai molto semplice, grazie al sito www.pompebianche.it, servizio che rientra in quelli forniti da www.prezzibenzina.it, portale nel quale si trovano anche i prezzi medi praticati in Italia, le quotazioni più convenienti, la mappa e le informazioni su ogni singola pompa. Interessanti le applicazioni per cellulari, che consentono di individuare le pompe più convenienti nella zona in cui ci si trova.

A volte, però, la scelta giusta può essere quella di non comprare un mezzo proprio ma di averne uno a disposizione solo quando serve. È questa la filosofia alla base di esperienze come il car sharing, presente ormai in molte città italiane densamente popolate come parte delle politiche di mobilità: ci si iscrive a un circuito, si prenota l’autovettura desiderata, la si preleva 24 ore su 24 in appositi parcheggi e autorimesse e si paga solo il reale utilizzo, senza più impantanarsi in costi di manutenzione, assicurazione e tasse varie. Informazioni per l’intera Italia sono reperibili nel sito del circuito nazionale www.icscarsharing.it, collegato al ministero dell’Ambiente che ha anche un numero telefonico 848 810 018. Il car sharing non va confuso con il car pooling, secondo il quale più persone viaggiano nella stessa auto, che è però di proprietà di una di loro. Registrandosi sul portale www.carpooling.it si può praticamente chiedere di condividere con qualcuno una tratta all’interno di una città, tra diverse località italiane o addirittura all’estero. A costi molto convenienti. Tra le esperienze più interessanti, anche quella del Taxi democratico. La città di Napoli ha per esempio istituito un servizio a due tariffe, 6 e 8 euro, da e per la Ztl.
Ma anche nel campo delle vacanze ci sono molte occasioni degne di nota, già praticate con successo all’estero. La più innovativa è lo scambio casa tra privati, modalità che abbatte i costi anche del 60 per cento. Il leader mondiale è Homelink: basta iscriversi, pagando una quota annuale di 120 euro o poco più.

Scambiocasa.com è invece il ramo italiano del sito americano Homeexchange.com: qui la quota d’iscrizione è più modesta, 7,95 euro al mese. Un’altra esperienza a costo «quasi zero» è invece offerta da Couchsurfing.org: letteralmente significa «saltare da un divano all’altro», in concreto si tratta di esperienze di ospitalità reciproca, possibili in 230 Paesi nel mondo. Così il settimanale Usa «Time» descrive l’esperienza: «Non è solo una sistemazione, è un modo diverso di viaggiare. Vedi il mondo attraverso gli occhi di chi vive nel posto, non attraverso il personale di un hotel o una guida. Ma la cosa più profonda di queste esperienze è che dimostrano che la fiducia esiste in natura». Sempre sulla fiducia si basa Homelidays.it, sito esperto nell’affitto di case vacanze tra privati. Il futuro del viaggio, insomma, si profila sempre più low cost ma ad alto contenuto umano.   
(G.C.)

7 - 9 € Risparmio su un pieno in una pompa no logo

10 - 15%
Calo del fatturato del settore viaggi stimato per il 2012

58,1% Acquisto di voli low cost via internet



Arredamento
Voglia di creare
di Laura Pisanello

Nell’arredare la casa ci sono molti modi per risparmiare, attingendo alla creatività e senza rinunciare al buon gusto.


Non sono solo e sempre ragioni economiche che spingono a cercare il mobile low cost, a volte è anche una questione culturale. Si vuole cambiare, rinnovare la casa senza spendere eccessivamente e senza rinunciare all’originalità. Quando pensiamo ai mobili a basso costo, a tutti viene in mente il gigante svedese Ikea, inventata dal signor Ingvar Kamprad, il quale, grazie alla filosofia del design a basso prezzo, è diventato uno degli uomini più ricchi del mondo. Anche in Italia ci si è abituati a cambiare frequentemente arredamento, ad accostare il buon pezzo d’antiquariato o il mobile di pregio alla soluzione funzionale e a buon mercato. Gli italiani e le italiane amano arredare la casa e non manca certo loro buon gusto, affinato anche attraverso le numerose riviste di arredamento o i siti specializzati (per esempio http://atcasa.corriere.it).
Dovendo trovare mobili per la casa, sono sempre di più coloro che cercano occasioni su internet, negli outlet e negli spacci aziendali. Molte ditte, per esempio, offrono a prezzi scontatissimi i mobili in mostra per esposizione e anche le aziende di design propongono qualche loro pezzo a prezzi vantaggiosi (anche su internet).

Grande è poi il fascino del ritorno al passato: si va in cerca del mobile antico nei mercati antiquari (ce ne sono in molte città), ma anche nella cantina della propria casa o dalle nonne. Un vecchio baule o una cassapanca possono stare benissimo in un ambiente arredato in stile moderno. Questa scelta consente di dare una seconda o una terza vita a un mobile che ha una sua storia, meglio ancora se famigliare.
Molti sono anche i frequentatori dei mercatini dell’usato (www.mercatiniditalia.it) sempre alla ricerca di oggetti scartati, anche da riparare, ma comunque pieni di significato. In questi luoghi conviene andare poco prima dell’orario di chiusura per avere più chance nella contrattazione del prezzo.
Possono essere una miniera per gli amanti del «riciclo» anche i magazzini delle ditte di traslochi, perché chi cambia casa spesso abbandona lì i vecchi mobili; oppure gli amici che cambiano alloggio e sono felici di cedere qualche loro pezzo non più adeguato alla nuova soluzione abitativa.

Ma la novità forse maggiore consiste in quella che potremmo chiamare «voglia di creare». Torniamo a dare valore al fare, all’agire, al «pensare attraverso le mani», smettiamo di acquistare oggetti di cui non conosciamo i natali, ma facciamoli venire noi alla luce: è l’invito di E ora si Ikrea. 25 progetti per far da sé mobili con oggetti usati (Ponte alle grazie - Altreconomia edizioni). «È tempo di ri-fare. Cioè di ricominciare a fare» sostiene Massimo Acanfora, autore del volumetto. Per progettare gli arredi di casa con gli scarti e imitare i nostri nonni che non buttavano via niente, Acanfora presenta dieci progetti per costruire divani, tavoli, librerie usando per esempio pallet (bancali porta merci) o cassette della frutta.
Nel campo della creatività e del riutilizzo non c’è limite alla fantasia: si può creare un lampadario con un vecchio setaccio e dei mestoli di legno oppure con dei bicchieri o addirittura con uno scolapasta, come suggerisce in Paint Your Life (Kowalski editore) Barbara Gulienetti, conduttrice dell’omonimo programma televisivo. Insomma, intelligenza e fantasia possono anche far risparmiare.

2% calo della domanda

11 miliardi euro stimati, risparmiabili col riutilizzo

482,16 €
risparmio annuale a famiglia (4 pax) col low cost


Servizi alla persona

Stare bene al minor costo
di Cinzia Agostini

Anche il settore dei servizi alla persona si adegua al boom del «low cost», proponendo nuove formule e tariffe. Dai dentisti agli avvocati, agli psicologi.


Anche il delicato settore dei servizi alla persona è interessato dal low cost? Sissignori, se si pensa che l’ultimo Rapporto annuale di Assolowcost ha sottolineato come quello sanitario, con un incremento di utilizzo del 70 per cento nel 2012, sia diventato tra le aree di punta di questo mercato. Partiamo dall’odontoiatria: hanno iniziato i dentisti del Friuli-Venezia Giulia a ribassare i prezzi mantenendo servizi di qualità, per opporsi alle fughe dei pazienti nell’Est Europa; poi il fenomeno si è espanso quasi ovunque (una pianta aggiornata si trova nel sito www.amicodentista.com). Spiegano ad Assolowcost: «Il modello si fonda sulla trasparenza delle tariffe, sull’attenzione ai pazienti, sull’utilizzo di sistemi regolamentati per garantire buoni livelli di qualità e ridurre le spese».
Il passo verso l’area sanitaria generale è stato breve: vi sono esperienze famose come Welfare Italia Servizi (www.welfareitalia.eu), ente no profit che punta ad aprire 130 ambulatori in tutto il Paese, coprendo diversi ambiti medici.
Ma anche gli psicologi si sono mossi unendo le forze per creare un servizio psicologico accessibile all’intera cittadinanza.

A Roma un modello è l’associazione Spsp (Servizi psicologici per la salute della persona). «Il servizio sanitario pubblico – spiegano i responsabili – non sempre riesce ad accogliere e a rispondere alle innumerevoli richieste di aiuto né, spesso, a offrire consulenze e sostegno in tempi medio-brevi, utili a sanare il disagio. L’iscrizione all’associazione permette, con una quota simbolica, di partecipare a seminari e incontri a tema, psicoterapie individuali, familiari, di coppia e di gruppo, diagnosi, prevenzione e sostegno psicologico» (per saperne di più: www.spsp.it).
Ma non solo sanità. Persino nel mondo dell’avvocatura in tempi recenti si sono moltiplicati gli studi di avvocati che forniscono una prima consulenza gratuita, quindi passano a parcelle «ridotte» per strappare i clienti alla concorrenza (tanto da aver sollevato l’allarme del Consiglio nazionale forense). A Padova da anni è attiva l’associazione Amministrazione di sostegno, che riunisce un team di avvocati i quali accompagnano nella scelta e nelle procedure relative alla nomina dell’amministratore di sostegno le persone in condizione di debolezza (www.amministrazionedisostegno.org).

E per i più piccoli? Citiamo, tra tutti, il servizio della Tagesmutter (mamma di giorno), trapiantato dal Nord Europa in Italia a metà degli anni ’90, grazie alle cooperative Casabimbo di Bolzano (www.casabimbo.it) e Tagesmutter Il Sorriso di Trento (www.tagesmutter-ilsorriso.it). L’esperienza si è velocemente sviluppata in molte aree del Paese dove, a seconda della regione, la Tagesmutter,

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017