Gli ultimi giorni di Napoleone
Era coperto dalla polvere della sconfitta. I cento giorni dell' illusoria risurrezione napoleonica si concludevano con tracollo definitivo ai bordi della cittadina belga di Waterloo (l' eroe veniva sconfitto quarantaseienne il 18 giugno del ' 18 dagli inglesi e dai prussiani) mentre si aprivano i sette anni di un crudele confino su uno scoglio atlantico, su un' alta muraglia vulcanica, come l' esito di un tradimento o di una misteriosa fatalità . Un enigma, questo, non ancora risolto. Ed egli già durante l' esilio dell' Elba aveva sospettato che lo avrebbero ancora più allontanato dalla Francia, relegandolo a Sant' Elena, di cui già sapeva molte cose, e sapeva che le avevano dato quel nome perché era stata scoperta dai portoghesi il 21 maggio del 1502, giorno intitolato a sant' Elena.
Tutto è ancora incerto sulle ragioni del tracollo napoleonico. Il successivo 9 agosto, il Bellerophon, con a bordo il grande sconfitto che si era affidato agli inglesi per sfuggire i realisti francesi, lasciava le coste della Gran Bretagna, a Plymouth. Il 17 ottobre, un' altra nave, il Northumberland, sulla quale durante il tragitto il prigioniero era stato trasferito, raggiungeva l' isola dell' esilio.
La famiglia di Napoleone. Che cosa ne era ormai della famiglia di Napoleone? La sorella Paolina arrivava a Roma quando lo sconfitto era già stato deportato da qualche giorno nell oceano Atlantico. A Roma si trovavano la madre Letizia, lo zio cardinale Fesch, i fratelli Luigi e Luciano. Confinati a Trieste le altre sorelle Elisa, Carolina insieme al fratello Girolamo. Un altro fratello, Giuseppe, era in America. Il cognato Murat era stato fucilato in Calabria. Il disastro politico e militare di Napoleone si era riflesso per intero sulla sua famiglia. Tuttavia tra i superstiti, ognuno dì essi cercava, in qualche modo, di restare a galla.
Paolina ancora operava in favore di Napoleone cercando di influire sul carceriere, quel pallido e ossuto sir Hudson Lowe, il quale non se ne dava per inteso. Aveva gli occhi di iena, come diceva chi aveva la sfortuna di conoscerlo. Rimaneva indifferente al fascino della principessa e si mostrava quanto mai spietato col prigioniero, calcando la mano e perfino aggravando le disposizioni che riceveva dal governo di Londra. Per umiliarlo, lo chiamava semplicemente generale. Più che al governo egli rispondeva alle pressioni del duca di Wellington che, attraverso lui, si vendicava del suo grande nemico. E del resto, proprio Wellington aveva fatto il nome di Lowe come carceriere. Ed era per la paura di lui che Paolina - come si temeva a Parigi, a Londra, a Vienna - tentava di ordire un complotto per favorire la fuga del fratello.
Si diffondevano notizie contrastanti: «Napoleone è morto». «No, è fuggito e marcia sulla Francia». «Lo hanno portato via da Sant' Elena. La sua destinazione è ignota». In realtà lui pensava ad altro. Sollecitava l' invio sull' isola di un prete cattolico, di un abile medico, e, più prosaicamente, di un maestro di casa e perfino di un cuoco. Dall' isola arrivano notizie disperate. «La debolezza di Napoleone è estrema. Egli può appena affrontare la fatica d' una passeggiata di mezz' ora in carrozza. Se vuole camminare per la stanza devono sorreggerlo. L' apparato digerente ha cessato di funzionare, lo stomaco rigetta ogni cosa. Da molto tempo l' imperatore si nutre solo di brodo. La sua agonia è spaventosa. Egli muore senza soccorso su una roccia orribile».
E così sarà . Quando Paolina chiederà al primo ministro inglese, lord Liverpool, di poter partire per Sant' Elena, il fratello era morto già da sessantasette giorni. La lettera della principessa al premier era infatti datata 11 luglio 1821. Soltanto il 16 luglio la città di Roma veniva investita del ferale evento, e così, via via, altri luoghi in cui tutti resteranno «muti, percossi, attoniti», come nel doloroso canto manzoniano: del cinque maggio.
Sant' Elena, isola sperduta. In esilio e su quell' isola sperduta, Napoleone aveva ugualmente una corte, o meglio un piccolo gruppo di persone che si occupava di lui. Il tutto come in un contrappasso spaventoso: da un grande impero, da milioni di sudditi delle più varie nazionalità a uno striminzito seguito: i generali Bertrand, Montholon e Gourgnaud (i primi due ave vano sul posto anche le loro litigiose mogli), e un conte, Emmanuel Las Cases, più intento a scrivere un memoriale (spesso fantastico, se non proprio fantasioso) che non a servire l' imperatore, tanto che a un certo punto, essendo venuto a noia a sir Lowe, fu espulso dall' isola. Altri ancora erano i componenti della corte - compreso un mamelucco, Saint-Denis, detto Alì - ma essi non fecero tanta storia e non meritarono che un ricordo di poche righe. Alì, come Las Cases, lasciava qualcosa di scritto. E chi di loro non ricordava come Napoleone parlasse di Austerlitz o di Borodino o di Wagram e, purtroppo, anche di Waterloo? L' ombra del duca d' Enghien turbava mai i suoi sonni? Quanto pensava al figlio, l'Aiglon (l' Aquilotto), avuto da Maria Luisa, in favore del quale aveva, paradossalmente, abdicato e al quale, ancor più paradossalmente, aveva attribuito il titolo di re di Roma?
Qualche passeggiata era dunque il vero svago del prigioniero, il quale tuttavia soffriva del fatto che non gli consentissero di muoversi nemmeno in tutta l' isola, per quanto minuscola fosse, ma soltanto in un ristretto spazio recintato: come una piccola prigione in una più grande prigione. Del resto, il clima di Sant' Elena era talmente piovoso che il già malandato Napoleone rischiava, uscendo, di prendersi ogni volta una polmonite, anche a causa delle sue assai cagionevoli condizioni di salute. Gli consentivano comunque di leggere: se ne stava fermo al tavolo o sul tavolaccio, e in tal maniera era assai più controllabile in ogni suo gesto. A forza di leggere finì col mettere insieme una biblioteca di circa duemila volumi.
Le passeggiate non erano soltanto interrotte dagli ordini dei carcerieri, ma perfino da improvvisi attacchi di dissenteria che si facevano sempre più frequenti e che lo richiamavano indietro. Ma non poteva muoversi in fretta a causa dei forti dolori reumatici che gli rendevano sempre più dolorosi i movimenti, compreso quello di calarsi i pantaloni. C' era un medico olandese, O' Meara, che forse avrebbe potuto giovargli, ma sir Lowe, non appena venne a sapere la cosa, ne decise il rimpatrio. Così come avvenne con il suo sostituto, il dottor Stokoe, a sua volta allontanato dall' isola perché non portasse conforto al prigioniero, ormai vittima anche di un' epatite e di una lesione gastrica. Per affrettarne la morte (è leggenda o realtà !) si fece anche ricorso all' arsenico?
Sant' Elena ha un posto nella storia di Napoleone, ma non l' ultimo, poiché, poco meno di vent' anni dopo, le sue ceneri torneranno a Parigi. E con quale enfasi!
Alla gloria di Napoleone, gli anni della prigionia non furono inferiori alle imprese della sua impareggiabile vita, tutta protesa alla conquista di un impero sconfinato.
«TRE VOLTE SULLA POLVERE, TRE VOLTE SULL ' ALTAR»
N apoleone Bonaparte è nato ad Ajaccio il 16 agosto 1769. Rapida carriera nell' esercito: a sedici anni è sottotenente, a 24 anni, dopo aver liberato Tolone (conquistata dai monarchici), diventa generale di brigata. Nel 1796 sposa Giuseppina Beauharnais. Eletto comandante di Armata, guadagna onore con le fulminee vittorie in Italia. È l' inizio di una serie di successi sui campi di battaglia (campagna d' Egitto, sconfitta decisiva degli austriaci a Marengo...) che gli sbarrano la strada verso il potere assoluto: primo console nel 1799 e imperatore dei francesi nel 1804. |