GORBACIOV, CINQUE ANNI DOPO

Il presidente dell’ex Unione sovietica parla del suo rapporto con l’Italia, della situazione in Russia, della politica internazionale, del ruolo dell’Onu, e di un suo ambizioso progetto.
03 Gennaio 1997 | di

Il 25 dicembre 1991, quando l'Urss è ormai al crepuscolo e Michail Gorbaciov abbandona ogni carica pubblica, incalzato dai democratici 'radicali' di Boris Eltsin e dai presidenti delle repubbliche slave di Ucraina e Bielorussia, il mondo capisce che l'uomo della glasnost (trasparenza) e della perestrojka (riforme politiche) sta uscendo di fatto dal Cremlino, ma sta entrando di diritto nella storia, accanto ai personaggi di questo secolo che più hanno segnato il destino dell'umanità .

Nato a Privolnoe, Stavropol, nel 1931, laureato in giurisprudenza, Michail Sergeevic Gorbaciov percorre tutte le tappe di una carriera politica che lo conduce al Comitato centrale a Mosca, fino ad assumere la responsabilità  della politica agricola sovietica negli ultimi anni dell'era Breznev. Divenuto segretario generale del Pcus alla morte di Cernenko, nel 1985, avvia un processo irreversibile di riforme economiche e politiche di portata storica. Sul fronte della politica estera, Gorbaciov punta a ridurre radicalmente gli arsenali nucleari, e a liquidare l'egemonia sovietica nell'est europeo che culmina con la caduta del muro di Berlino.

Nel 1990 riceve il premio Nobel per la pace. L'anno successivo è vittima di un colpo di stato, messo in atto da frange conservatrici del Pcus e del governo. Il golpe viene sventato dalla resistenza popolare guidata dai radicali. Di lì a poco Gorbaciov esce dalla scena politica. L'uomo della pace e del disarmo, colui che ha restituito al suo paese la democrazia e la libertà  di pensiero e di religione, è oggi a capo di una fondazione che porta il suo nome. E sta lavorando a un progetto ambizioso: riunire quest'anno, a Milano, tutti i premi Nobel per la pace. La scelta del nostro paese è tutt'altro che casuale.

Da sempre c'è un feeling particolare tra Gorbaciov e l'Italia. Lei ne segue anche le vicende politiche?

Gorbaciov. «In Italia mi sento sempre a mio agio. Mi piace la simpatia espressa a me e alla Russia. Inoltre, devo dire che sono appassionato di politica italiana, perché stanno succedendo delle cose importanti. Così come la Russia sta cercando delle soluzioni ai propri problemi, è pur vero che si possono trovare soluzioni di carattere generale. Lo stesso vale per l'Italia, soprattutto per quanto riguarda la democrazia, le riforme amministrative, il nuovo ruolo dei partiti: problemi che hanno tutti. Noi non conosciamo una forma migliore di gestione dello stato se non quella democratica. Con tutti i suoi difetti, dobbiamo portare avanti la democrazia; se permette la battuta: dobbiamo democratizzare la democrazia. Sono i burocrati che sfruttano le conquiste democratiche. I partiti politici sono riusciti a sfruttare le conquiste democratiche; invece la gente, protagonista della democrazia, viene accantonata. Speriamo che l'esperienza e la cultura dell'Italia permettano di elaborare ciò di cui abbiamo bisogno tutti».

Parliamo della Russia. Oggi com'è la situazione?

«La situazione è grave, e potrebbe diventarlo ancora di più, ma ci sono degli elementi confortanti: per esempio il fatto che la gente non vuole tornare indietro. Eltsin ha vinto grazie a questo atteggiamento. La gente non condivide la sua politica che ha portato a fenomeni di povertà  e di regressione sociale, eppure quella stessa gente non vuole ritornare nella 'caserma comunista', e in condizioni di non libertà . Se - come hanno confermato i recenti sondaggi - la gente sostiene ancora di voler vivere in un paese libero, pur sopportando condizioni di disagio, un livello di vita regredito di trent'anni e senza sicurezze per il futuro, ciò significa che si è verificata una svolta importante, perché è la gente che deve costruire una vita nuova, uomini liberi. Diversamente non vedrà  la luce quella Russia dinamica, stabile, e sicura delle proprie potenzialità , di cui hanno bisogno l'Europa e il mondo. Spero che tutto ciò si possa realizzare, ma non credo che questo cammino possa essere intrapreso dall'attuale presidente e dal suo entourage. Loro sono in uno stato di panico, non sanno che cosa fare, quindi si pone in maniera pressante il problema della formazione di un'opposizione democratica, cioè di una compagine che potrebbe assumere la responsabilità  di una seria svolta storica».

Il monolitico ex impero sovietico non è più la potenza temibile di un tempo anzi, si è frantumato in repubbliche, regioni o entità  territoriali dove spesso prevale il separatismo etnico con esiti distruttivi. Basti ricordare quanto è accaduto nel Caucaso. E c'è pure chi rimpiange il passato, denunciando la perdita d'identità  della Russia.

«Qualcuno ha detto che c'era più stabilità  in passato, ma era una stabilità  pericolosa, basata sullo scontro frontale, sulla competizione militare, su montagne di armi nucleari. Non possiamo tornare indietro. Adesso ci sono sfide globali che impegnano tutti: economia, cooperazione, ambiente, sviluppo... Quel che è grave è che la politica, purtroppo, arriva sempre in ritardo, e questo è un male comune che affligge tutti i paesi del mondo. E, mentre i problemi che riguardano l'umanità  si vanno globalizzando, c'è ancora chi si sofferma su questioni regionali o locali. Intendiamoci: non è che voglio parlare contro la politica. Noi abbiamo bisogno della politica, ma di una politica nuova. Oggi appena scoppia un conflitto si mandano aerei, navi ed eserciti. In Cecenia, per neutralizzare poche centinaia di uomini sono state impiegate armi sofisticate. Laggiù, in poco più di un anno e mezzo, sono morti migliaia di cittadini russi. La politica della forza non risolve i problemi. Dobbiamo rimanere russi, cinesi o italiani, ma in un mondo libero, non in una caserma. Occorre più che mai la comprensione reciproca. E anche le religioni devono muoversi su questa strada. Deve esserci una grande collaborazione tra tutte le confessioni religiose e tra tutti i capi spirituali. Condivido con papa Giovanni Paolo II questa visione del nostro tempo. Dobbiamo annunciare a tutto il mondo la necessità  di condividere questo impegno di pace e di dialogo».

L'Onu ha festeggiato da poco cinquant'anni di vita: mezzo secolo di successi diplomatici ma anche di clamorosi fiaschi: America latina, ex Jugoslavia, Somalia, per esempio, hanno evidenziato tutti i limiti operativi e politici delle Nazioni unite. Come occorrerebbe trasformare l'Onu perché divenisse più autorevole e credibile?

«Io sono favorevole a riformare l'Onu, anche il Consiglio di sicurezza, per costituire delle strutture nuove che potrebbero seguire le questioni ecologiche, economiche, ecc. Sono contrario a quelle proposte che dicono di fare a meno dell'Onu. Nessun paese, nemmeno un gruppo di paesi, può garantire la governabilità  del mondo. Tutte le pretese di dominio di uno, o di un gruppo di paesi, sono pericolose; quindi abbiamo bisogno dell'Onu. Credo che le Nazioni unite potrebbero agire in maniera più efficace se insieme all'Onu ci fossero dei sistemi regionali: per esempio dei sistemi di sicurezza regionali in Europa, in Medio Oriente, in America».

Parleranno di disarmo i premi Nobel per la pace che lei vuole riunire a Milano?

«Molti paesi hanno ancora il desiderio di acquistare armi nucleari. Invece si deve andare avanti sulla strada del disarmo. Bisogna rispettare il trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari e dobbiamo fare tutto il possibile perché i nuovi accordi sui test nucleari siano efficaci. Quindi, non credo che i premi Nobel per la pace debbono evitare di parlarne. Ma, innanzitutto, si parlerà  della politica necessaria per il momento attuale in cui siamo usciti da un tipo di rapporti tra le nazioni, ma non siamo ancora entrati in una fase nuova: siamo in un momento di transizione».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017