Gran Bretagna. Insegnare l'arte del vestire a Londra

11 Settembre 2012 | di

Mount Road è una strada nel raffinato quartiere londinese di Mayfair che, dal 2005, al numero 96, ospita le esclusive creazioni di Mariano Rubinacci. Si tratta di una sartoria per abiti da uomo che, tra gessetti, forbici e metro, racconta una storia di passione e di tradizione passata di padre in figlio. Attraversare la porta di questo negozio è come fare un salto nel passato. A fare gli onori di casa è Mariano Rubinacci, erede del geniale Gennaro che nel 1930 aprì a Napoli una boutique, dopo aver ereditato il senso dello stile da suo padre che commerciava in tessuti pregiati importati dall’India. «Papà – racconta Mariano – non aveva mai visitato Londra, ma chiamò London House il laboratorio ispirandosi alla moda dei gentlemen inglesi». Da piccolo, Mariano si sedeva sulle ginocchia di Eduardo De Filippo, amico di suo padre, e imparava l’arte che, con grandi capacità imprenditoriali, avrebbe successivamente esportato anche all’estero. «Quando – continua Rubinacci – presi le redini dell’attività di famiglia, la sartoria italiana su misura cominciava a declinare, anche se il marchio made in Italy stava affermandosi nel mondo».

Grazie alla sua determinazione e al sogno paterno, Mariano scommette tutto sulla qualità dell’abito, sul tessuto e su un rapporto quasi confindenziale con il cliente, e vince la scommessa. Da Napoli, Rubinacci apre atelier a Roma, a Milano e poi arriva a Londra. «Siamo rimasti molto colpiti dall’accoglienza degli inglesi – rivela Mariano – ed è significativo che gli italiani di prima e seconda generazione abbiano dimostrato di apprezzare il nostro lavoro». Molti connazionali, soprattutto in passato, avevano avviato attività di sartoria nella capitale inglese diventando un punto di riferimento per l’esigente clientela aristocratica. Rubinacci, invece, ha introdotto abiti tipicamente italiani ma adatti a chiunque, grazie alla vestibilità e alla classicità, rivissuta attraverso tecniche innovative, e a un senso moderno del colore. L’atelier di Rubinacci è un mondo fatto di tessuti impalpabili e di esplosioni di colori, che prendono vita diventando abiti che sono quasi una seconda pelle. «Molte persone – aggiunge Rubinacci – vengono da noi anche per raccontarsi, per rilassarsi e per entrare in punta di piedi nel nostro ambiente, fatto non solo di esteriorità: è anche un modo di essere».

È una questione di habitus, non solo di abito. Infatti Mariano e i suoi figli – tra cui Luca che ha spinto il marchio verso nuovi orizzonti, sia a livello creativo che manageriale – sono persone cordiali, pacate, capaci di ascoltare. Spiega il sarto: «Mi giungono parole di apprezzamento per la nostra attività che si basa ancora sul lavoro a mano, individualizzato e legato a una delle nostre più antiche maestranze».
Per Rubinacci questo è anche il modo di uscire dalla crisi: «Gli inglesi ci insegnano a essere più pragmatici. Dobbiamo riuscire a superare le difficoltà puntando sulla qualità e senza lasciarci abbattere dal nichilismo che deriva dalle circostanze avverse».

Lo dice un imprenditore che ha sempre investito sui giovani. «I miei quattro figli sono subentrati nell’azienda e si sono circondati di coetanei che condividono il loro entusiasmo. I nostri clienti sono professionisti della City, ma anche persone che vogliono esprimere la propria personalità attraverso abiti eleganti, con quel qualcosa in più che il design italiano può offrire».
E concludiamo con un aneddoto. Si narra che Gennaro Rubinacci, padre di Mariano, avesse inviato il suo cocchiere a Londra per ispirarsi alla moda maschile inglese, ma questi, appena giunto in città, lo avrebbe chiamato per dirgli: «Anche qui l’uomo più elegante siete sempre voi». Parecchi anni dopo, Mariano e i suoi figli continuano a insegnare agli inglesi l’arte del vestire.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017