Gran Bretagna. Paul Collier, tabù e migrazioni

21 Aprile 2015 | di

Nipote di un tedesco emigrato nel Regno Unito, l’economista Paul Collier, tra i maggiori esperti al mondo in materia di economia delle migrazioni, nel suo ultimo libro Exodus. I tabù dell’immigrazione (edito in Italia da Laterza) ha provato a esaminare la molla che spinge i migranti a partire e gli effetti che le migrazioni producono sia su chi resta nei Paesi d’origine sia sulle popolazioni dei Paesi ospitanti.

«Siamo davanti a un argomento che è diventato una sorta di tabù nelle scienze sociali» dice Paul Collier − professore di Economia alla Blavatnik School of Government e direttore del Centre for the Study of African Economics all’Università di Oxford − secondo cui la domanda giusta non è se le migrazioni siano un bene o un male, ma bisogna interrogarsi «su quanta migrazione dovremo permettere nel futuro e a quali livelli le migrazioni producono i maggiori benefici». Per Collier – che è stato anche consulente del governo di Tony Blair nonché direttore del dipartimento per le ricerche della Banca Mondiale – la risposta a questa domanda dipende «dal tasso di integrazione dei migranti nella società».

In Exodus Collier spiega che lo stock mondiale di immigrati è salito da 92 milioni nel 1960 a 165 milioni nel 2000, tuttavia la migrazione di massa dai Paesi poveri ai Paesi ricchi è un fenomeno relativamente recente, che risale a circa sessant’anni fa e non è destinato a durare: essa è una risposta alla disuguaglianza mondiale, «è una reazione temporanea a una fase difficile in cui la ricchezza non è ancora globalizzata», non è una caratteristica permanente della globalizzazione. A Collier abbiamo rivolto alcune domande.

L’Italia, ultimamente, è sottoposta a una forte pressione, dovuta ai continui sbarchi sulle nostre coste. Quali rischi immediati vede?
Credo che le difficoltà potenziali siano più sociali che economiche
perché le migrazioni pesano soprattutto sui ceti poveri dei Paesi ospitanti. Il rischio è che il disagio si trasformi in razzismo, anche se mi pare uno scenario improbabile per l’Italia.

Quanto succede a Lampedusa che cosa sta a dimostrare?
Che dobbiamo trovare un sistema più adeguato per affrontare il problema, cercando i modi di privilegiare gli accessi per vie legali e riducendo quelli che fanno ricorso a vie irregolari e pericolose.

Ma in base a quali criteri gli Stati dovrebbero fondare le politiche migratorie?
Innanzitutto è bene sottolineare che le politiche migratorie sono stabilite dai governi dei Paesi di destinazione, non da quelli dei Paesi d’origine. In qualsiasi società democratica, il governo deve difendere gli interessi della maggioranza dei suoi cittadini, ma è giusto che i cittadini si preoccupino delle fasce più bisognose della popolazione autoctona e degli abitanti dei Paesi più poveri del mondo.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017