Grande successo dell’iniziativa del «Rotary» del Nord Est. Il sogno delle radici

03 Luglio 1998 | di

Un gruppo di giovani oriundi italiani, provenienti da quattordici Paesi del mondo, hanno assaporato per un mese, tra modernità  e sviluppo, la cultura e le tradizioni del Triveneto.

 

Ha scritto l'attore Marco Paolini: «La terra delle radici non ha bisogno di acqua per essere fertile, può anche essere un sasso, una pietra di fiume da tenere in tasca. Il suo colore, il suo peso, il suo odore sono radici da far viaggiare nel mondo». E queste radici rigogliose hanno attecchito in ogni parte del mondo. I loro nomi? Cecchin, Ferronato, Pignaton, Tosi, Bisol, Zordan... Sono i giovani discendenti dei triveneti trapiantati in Brasile, Argentina, Uruguay, Messico, Canada, Romania, Belgio, Francia, Svizzera, ecc.

Il distretto 2060 del «Rotary International» (che comprende Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige) coinvolgendo l'Utrim, l'Unione dei triveneti nel mondo, e le associazioni di emigrati, in particolare la «Bellunesi nel mondo», ha organizzato per questi giovani (ridistribuendoli in province diverse) un periodo di permanenza nella terra da cui partirono i loro avi, per farne riscoprire i luoghi e la cultura, per far conoscere il mitico Nord Est, punta di diamante dell'economia italiana, e per capire come siamo cambiati, noi e loro, nel volgere di poche generazioni.

L'iniziativa ha avuto luogo lo scorso mese di maggio. In programma: visite ad aziende e città  d'arte, serate musicali, incontri conviviali, proiezioni di film, ecc. Negli ultimi dieci giorni di permanenza, i giovani oriundi si sono ritrovati tutti insieme a Costermano, sul Lago di Garda, in provincia di Verona, per seguire un intenso programma educativo sulla lingua, l'economia e la cultura italiana, guidati da esperti e da docenti universitari.

Dell'iniziativa «Il sogno della radici» abbiamo parlato con l'ingegnere Vincenzo Barcelloni Corte, governatore del distretto 2060 Italia Nord Est del «Rotary International».

 

Msa. Perché quest'anno il «Rotary» del Triveneto ha rivolto la sua attenzione ai giovani discendenti dei nostri corregionali all'estero?

Barcelloni Corte. Questa, fortunatamente, è una mia colpa... Il governatore del «Rotary» dura in carica solo un anno e cura dei temi specifici durante il suo mandato. Io da più di trent'anni seguo il mondo dell'emigrazione. Ho fatto nascere l'associazione dei Bellunesi nel Mondo, ho conosciuto personalmente i sogni e le sofferenze di tanti giovani di origine italiana anche per tempi molto lunghi, così quando sono diventato governatore, conoscendo questo problema ho pensato di rivolgermi ai quasi 4.000 soci del distretto che raccoglie le tre Venezie, il nordest insomma. Sono persone in gamba non solo dal punto di vista professionale e manageriale. Quello che ho scoperto è che sono uomini e donne non solo di cervello, ma con un cuore veramente generoso. Allora ho pensato di fare qualcosa di speciale per questi giovani.

 

Perché avete chiamato il programma: «Il sogno delle radici»?

Perché c'è un proverbio indiano che dice che se io sogno da solo, il mio resta solo un sogno, ma se tanta gente sogna la stessa cosa, allora il sogno si realizza. Così ci siamo detti: «Cerchiamo sogni belli. E il sogno più splendido di quest'anno era proprio quello di ridare ai giovani discendenti dei triveneti - nonni, bisnonni, e anche fino alla sesta generazione - la possibilità  di riconquistare le loro radici. Abbiamo cercato di ridare ad alcuni - una novantina - purtroppo pochi rispetto a quelli che ci sono nel mondo, la possibilità  di riconquistare queste loro radici.

 

Sappiamo che realizzare un sogno non è sempre facile. Come siete riusciti a concretizzare questa iniziativa?

All'inizio mi davano del «matto». Dicevano che non era possibile perché la grande novità  non era quella di farli stare qui per un mese, quanto piuttosto di essere ospitati in famiglie diverse come se fossero figli o fratelli. E qualcuno diceva che con le nostre tradizioni nel Triveneto, sarebbe stato impossibile. Invece abbiamo trovato più di 160 famiglie che hanno aperto la porta della loro casa e hanno ospitato questi giovani: chi per 20 giorni, chi per una settimana. È stato commovente vederli entrare come figli in famiglie che vivono in zone da dove sono partiti molti nostri connazionali, magari i loro nonni, bisnonni e trisnonni. Ho sentito papà  e mamme ospitanti che non volevano più lasciarli andar via al momento della partenza, e giovani che non volevano più lasciare queste famiglie italiane. È un legame che per entrambi rimarrà  tutta la vita.

 

Questi giovani hanno partecipato a corsi di studio a Costermano, sul Lago di Garda. Quale aiuto avete cercato di dare loro durante la permanenza in Italia: è stato un mese di turismo o anche di cultura?

Non è stato assolutamente un viaggio turistico. Il programma impegnativo. Sono stati come studenti di una scuola speciale, che non esiste, da cui sono usciti come una sorta di «diplomatici», e ora sono i migliori ambasciatori dell'Italia nel mondo.

La parola ai protagonisti

Che avventura! Peccato sia finita

di Alessandro Bettero

Ottantuno giovani irresistibili, spavaldi e simpaticamente chiassosi, guidati da un «generale» d'eccezione: Raul «Orso» Mancardi. È l'esercito pacifico che in un mese ha conquistato il Triveneto (e ne è stato conquistato) grazie all'iniziativa «Il sogno delle radici», voluta dal «Rotary International», distretto 2060. Alla fine, quando è arrivato il momento di congedarsi, c'è scappata pure qualche lacrima, il rituale scambio di indirizzi, la promessa di tenersi in contatto per telefono, via e-mail o con una cartolina a Natale. Magari si è consumato qualche struggente addio, epilogo di affetti sbocciati e spesi in un mese appena. Sì, quello «delle radici» è stato per tutti un bel «sogno», per chi l'ha organizzato e per chi l'ha vissuto; un'esperienza esaltante e probabilmente irripetibile. Nelle parole di questo piccolo mondo italofono c'è tutto l'entusiasmo e la spensieratezza di chi ha scoperto, o riscoperto, con il piglio di un moderno pioniere, la terra dei propri ascendenti.

 

Mary Boscarin di Flemalle (Belgio) si porta a casa nuove amicizie. Si sente senz'altro più ricca dal punto di vista umano e culturale. Immaginava l'Italia diversa, ma «in questa circostanza - osserva lei stessa - abbiamo avuto il meglio dell'Italia».

Per Sandra Maria Cagol di Caxias do Sul, questo viaggio è stato il primo nel nostro Paese. Ha ascendenze trentine e lombarde. A Trento è stata ospite delle famiglie Maschio e Cadrobbi. «Davvero non ho parole per ringraziarli». Anche lei vivrebbe volentieri in Italia. Lavora nel campo della moda, e quale altro Paese al mondo è leader nella moda se non l'Italia?

 

Pablo Daniel Longhi la mette più sul venale anche se con un guizzo patriottico: «In Italia si guadagna più che in Argentina, ma noi abbiamo le nostre famiglie laggiù. La madre di Pablo è goriziana. Lui è già  stato in Italia dieci anni fa. Nella vita fa l'ingegnere informatico e lavora all'Università  di Reconquista (Santa Fe). «Dell'Italia amo soprattutto la cultura», ci tiene a sottolineare.

 

Alberto Stival, laureando in Economia Politica, è uno svizzero-tedesco di Tauffelen, ma in Italia ci viene abbastanza spesso. «Di questa esperienza con il 'Rotary' - afferma - una delle cose più belle è stata l'amicizia nata tra di noi». E la cosa più brutta? «Forse proprio la partenza...». Ma il suo è un rientro a tempo determinato: «Dopo la laurea penso che verrò a vivere in Italia.

 

Janette Rizzi vive a Bento Gonà§alves nel Rio Grande do Sul, lo stato più «italiano» del Brasile. I suoi bisnonni erano veronesi. Adesso lavora in un negozio di materiali edili della sua famiglia. «È bello vedere quello che è stato fatto qui da voi. Vi siete affrancati da quella povertà  che fu all'origine della partenza di tanti migranti.

 

Keller Fedossi studia e lavora a San Paolo. È piuttosto parco di parole. Non conosce molto bene l'italiano ed è un po' stordito dalla notorietà  improvvisa che ha attirato su questi giovani la curiosità  di molti giornalisti a caccia di scoop. Per lui non è stata una vacanza: «Adesso, per me, comincia una vita nuova, e trasmetterò le mie emozioni ai miei figli». Anche per un altro brasiliano, Antonio Kunz Slaviero , questo è stato il primo viaggio in Italia. I suoi bisnonni erano vicentini, dell'Altopiano dei Sette comuni. Il Veneto gli è piaciuto. All'Italia è comunque già  legato per motivi professionali: «Studio ingegneria meccanica, e lavoro per la 'Cagiva' in Brasile» - dice con malcelato orgoglio. Adora il nostro Paese, ma quando si parla di calcio l'idillio finisce: «Quando giocano le due nazionali, io faccio il tifo per il Brasile». Alessandra Zanetti Facchin, padre padovano, madre brasiliana, vive a Bento Gonà§alves. Studia ed è già  una promettente giornalista. Il Paese di suo padre non è poi così lontano: «Nel Rio Grande do Sul si respira ovunque la cultura italiana».

 

Carolina Perez, argentina di La Plata, studia musica e si sente molto integrata nel suo Paese di nascita. La nonna è di Ronchi dei Legionari. Dei suoi racconti: le feste, il folklore, le tradizioni, ha ritrovato qui alcuni aspetti. Della terra dei suoi ascendenti ama molto il passato: quella dimensione della storia che nei «giovanissimi» Paesi latino-americani non c'è ancora. Ma nella sua vita quotidiana, cosa la lega di più all'Italia? Lei sorride: «Senz'altro la pastasciutta, la pizza e il vino». Sandra Cominotti di Rosario (Santa Fe) studia e lavora. È la prima volta che viene in Italia. La cosa che l'ha emozionata di più è stata la visita alla casa dov'è nato suo padre, in Friuli. Pure Carolina Montano vive a Rosario. Studia Belle arti, e quindi, per lei, l'Italia è una specie di paradiso. «È stato emozionante visitare la basilica di San Marco a Venezia. L'avevo vista solo nei libri, ma dal vivo... non si può dire niente, si può solo ammirare. L'Italia è tutta bella, e non lo dico per circostanza». Carolina si fermerà  ancora due mesi. Visiterà  altre città  d'arte. Se potesse, lavorerebbe qui, ma quello dell'occupazione è un tasto dolente: «Credo che i giovani, anche dopo la laurea, fatichino a trovare lavoro, qui come in Argentina. Ed è raro che possano fare proprio quello per cui hanno studiato». Le fa eco Maria Andrea Bonecco di Mar del Plata (Buenos Aires), laureata in psicologia: «Adesso è difficile vivere in Argentina. I giovani non trovano lavoro facilmente. Forse con il Mercosur (il Mercato comune cui aderiscono Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay, ndr) le cose potranno cambiare». Paula Stella lavora a Buenos Aires in un'opera sociale del sindacato. «Apprezzo molto la storia dell'Italia. Sono abituata all'Argentina, ma vivrei anche in Italia». Il padre è di Asiago, la madre di Ragusa. «Per loro l'Italia è un Paese ancora vivo nel cuore, nonostante manchino da 30 anni».

 

Sergio Marchioro viene invece da Puerto Ordaz, in Venezuela, dove lavora con suo padre. Questa esperienza con il «Rotary» lo motiva a tornare in Italia, magari con i suoi genitori. Possibile che per questi giovani non ci sia proprio nulla di biasimevole nel Triveneto? «No, tutto è bello, tutto è organizzato qui. Sono già  stato in Italia quattro volte, ma ero piccolo - dice Sergio - . Ora, a 21 anni, vedo il mondo con altri occhi».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017