Gratis, per cambiare il mondo
«Gratis» è una parola che ascoltiamo, leggiamo e clicchiamo volentieri. Fino a un certo punto però. «Non costa nulla, lo provi signore», «Qui si entra gratis», possono essere inviti che insospettiscono, nel senso che è legittimo dubitare del fatto che si tratti di un’esca. Di fronte a ciò che è gratis e ti viene messo in mano o puoi usare senza la necessità di sborsare subito del denaro (la free press, ad esempio, vale a dire i giornali che ti assicurano la dose quotidiana minima di informazione e pubblicità, ma anche i mesi iniziali di un contratto o l’utilizzo di un servizio sul web) la reazione è ambivalente. In verità è difficile capire chi fa il piacere e chi invece lo riceve, e il sospetto che il mercato globale faccia di tutto per arruolarci a nostra insaputa nell’esercito dei consumatori disinvolti ha motivi fondati. Insomma, «gratis» è una parolina da prendere sul serio, da indagare, quasi da mettere sotto torchio perché dia prova di se stessa. È proprio questa l’intelligente operazione che sta alla base dell’evento annuale di Torino Spiritualità, che si svolgerà nella città sabauda dal 22 al 26 settembre.
Prendo spunto da questa maratona di cinque giorni (che ha anche un sottotitolo intrigante: «Il fascino delle nostre mani vuote») perché si apre a raggiera facendo spazio a percorsi in parte da ri-scoprire: il significato del dono, cosa rende un gesto gratuito, lo scambio al di là del profitto, il per-dono, parola che con il trattino fa tutto un altro effetto. Mentre sullo sfondo rimane la parola «gratis», questa viene spesa e declinata in contesti e situazioni le più diverse. Siamo sicuri, ad esempio, che il moltiplicarsi di feste e ricorrenze, nelle quali ci si scambia oggetti più o meno interessanti resi appetibili da una pubblicità che anticipa i nostri desideri, sia il modo più nobile di donare? Ricevere, d’altra parte, non è un lato altrettanto attivo e determinante nella dinamica del dono? La gratuità del cuore e dei gesti si può improvvisare in riferimento a un generico buonismo o a un compulsivo smarcarsi da situazioni sgradevoli di richieste spicciole, oppure nasce da radici lontane, dall’essere stati concretamente amati nella propria infanzia per cui i passi che si muovono nella vita sono più fluidi e sicuri, e soprattutto sanno farsi carico dell’altro? Ci si lamenta che in giro c’è poca gratitudine; che non sia da collegare al fatto che c’è ben poca esperienza in prima persona di gratuità? E il perdono, per lanciare un altro sasso nello stagno, può essere a ragione considerato un colpo di spugna che azzera ogni colpa, bypassando il principio di giustizia?
Probabilmente, però, l’ambito nel quale la parola «gratis» stride maggiormente è quello economico. Se l’economia è per eccellenza il regno del dare per avere, cosa significa introdurvi, e non solo a livello simbolico, dosi di gratuità? Se infatti esiste un dare per avere, logica sovrana negli affari, e un dare per dovere, come nel caso delle tasse dovute allo Stato, non meno importante e per nulla impraticabile è il dare per dono, rileva l’economista Stefano Zamagni. Non si tratta di mettere in piedi un’economia di categoria inferiore, marginale ed esemplare, che fiorisce su una zolla lasciando il terreno intorno alla legge predatrice del più forte. Rivalutare il dono in economia vuol dire risignificarlo, intendendolo non più solo come intervento saltuario dettato dal buon cuore (l’elemosina vecchia maniera) o come atto concessivo e unilaterale tipico del capitalismo filantropico (agli altri le briciole, per tenerli buoni), ma come un dare valore innanzitutto alla relazione. Non mi impegno con l’altro una tantum, sulla base di un’emozione passeggera, e nemmeno in modo asimmetrico, dall’alto al basso. Rischio la relazione, che richiede continuità e reciprocità. Impossibile? Provare per credere. Tanto è gratis!