Grattacapi
Una grattatina e via! Tutto sommato, il rito delle Ceneri – porta d’entrata per la Quaresima – potrebbe anche ridursi a questo. In fondo, di cosa si tratta? Un pizzico di cenere adagiato sulla testa: basta una pettinatina nervosa ai capelli, ed è già scomparso. Per giunta retaggio di un mondo antico, dove ancora a queste cose si credeva così intensamente da giungere a digiunare, in modo pressoché totale, per l’intero giorno. Siamo davanti a un segno legato a una materia, la cenere, semplice e povera, eppure presenza familiare almeno fino a un po’ di tempo fa, cioè finché nelle nostre case si trovavano ancora stufe o camini. Era buona per le pulizie più difficili, di paioli e catene ricoperte di fuliggine. Ma la si utilizzava persino per biancheria e lenzuola, trasformata in quella lisciva dei lavandai che neppure il Signore Dio disdegna di usare al bisogno (Ml 3,2). Ma alla cenere era assegnata una funzione ancora più importante, al punto tale da diventare persino proverbiale: resto di un fuoco ormai spento, ciononostante ricopriva con cura le braci. Che sarebbero servite per riattizzare il focolare la mattina seguente.
Il segno che la liturgia ci offre, così innocuo all’apparenza, se lo vogliamo può penetrare dentro di noi e parlare al nostro cuore. Anzi, le ceneri, in realtà, scendono ancora più in basso, pur partendo da un po’ più in alto. Prendono le mosse da un improbabile shampoo, per precipitare come fresca acqua sui nostri piedi, alla lavanda del Giovedì Santo. E che ci voglia la bellezza di quasi quaranta giorni per fare questo viaggio di un metro – circa, a seconda dell’altezza di ognuno – la dice lunga! Questa cenere torna utile. Quando sbiancanti artificiali e saponi a buon prezzo, cui affidiamo la «biancheria sporca» della nostra vita, o anche solo il nostro bisogno di un po’ più di «pulizia», si sono dimostrati per ciò che davvero sono: div-ersivi più che det-ersivi. Scorciatoie, cerotti, coperte corte in grado di lenire solo per un momento il freddo che attanaglia il nostro cuore. E in quest’ottica tornano senz’altro utili. Ma poi la nostra vita reclama altro: più vita ancora, più misericordia, più perdono, più speranza! E noi ci guardiamo attorno smarriti e imploranti, consapevoli che da soli non riusciremo mai a darci tutto questo.
Allora avviamoci, popolo di Dio in cammino! Cerchiamo assieme un varco verso casa, la casa di Dio e nostra. La casa dove ogni caduta è misericordiosamente sempre verso l’alto, dove c’è un padre che smania di abbracciarci: non vedete che sta scrutando con ansia l’orizzonte, per cogliere le nostre traballanti e incerte sagome in fondo alla strada, e correrci incontro prevenendo qualsiasi nostro bel discorso di circostanza? Incamminiamoci lungo i sentieri di questa Quaresima, anche usando mezzi come il digiuno, la preghiera, la carità, la confessione sacramentale, affinché quel fuoco che cova sotto la cenere, alimentato dalla speranza della domenica di Pasqua, ravvivato dal soffio dello Spirito, incendi d’amore le nostre povere vite! Una volta, qualcuno se ne ricorda ancora?, il rito delle Ceneri era accompagnato da parole inequivocabili: «Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai!». Poi, un po’ perché erano parole forti, un po’ perché alla morte è meglio neanche alludere, un po’ perché sono senz’altro più significative quelle che si usano ora, siamo passati a «Convertiti e credi al Vangelo», per certi versi «addolcendo» la pillola. Come se neppure i cristiani potessero pensare alla morte e farlo con tutta la speranza e la gioia che ci dà il sapere che in Cristo morto e risorto ciascuno di noi muore e risorge! Per cui pensare alla morte è essere consapevoli che lì noi siamo chiamati: alla pienezza della vita in Dio, di cui la morte è anticamera. «Non possiamo nascere ma possiamo morire innocenti» (Cristina Campo), e perciò provare a vivere innocenti.