Happy 30th, NIAF!

Fastosa cerimonia a Washington DC. Tra i premiati l'ex-ambasciatore Peter F. Secchia, il generale Peter Pace, Paul S. Otellini della Intel Corporation; e Michelle Peluso di Travelocity.
21 Novembre 2005 | di

WASHINGTON, DC

Fondata nel 1975, la NIAF, National Italian American Foundation, è un";organizzazione senza fini di lucro e politicamente indipendente, con sede a Washington, DC. La NIAF ha celebrato i 30 anni della propria fondazione con una convention tenutasi il 14 e 15 ottobre scorsi all";Hilton Washington and Towers della capitale federale. Durante la convention hanno avuto luogo conferenze, proiezioni di film, dibattiti, incontri con personalità  illustri. Nel corso del gala finale, a cui hanno partecipato oltre 3 mila convitati, sono stati premiati l";ex-ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, Peter F. Secchia, oggi presidente della Universal Forest Products e managing partner della SIBSCO LLC; il generale dei marines Peter Pace, capo di Stato Maggiore delle Forze Armate degli Stati Uniti; Paul S. Otellini, presidente e amministratore delegato della Intel Corporation; e Michelle Peluso, presidente e amministratore delegato di Travelocity. A fare da gran cerimoniere della cerimonia è stato l";attore Tony Danza, affiancato dai colleghi Danny Aiello e Dennis Farina.
La NIAF è sbarcata da poco in Argentina, e ora conta di approdare anche in Australia. A Washington abbiamo intervistato il presidente della NIAF, Salvatore J. Zizza.
Bettero. Quali sono i momenti più importanti della storia della NIAF?
Zizza.
Il più importante è stato senza dubbio quando si è deciso di fondare la NIAF, con la convinzione che la comunità  degli italoamericani altrimenti non sarebbe andata avanti politicamente.
Qual è oggi la «mission» della NIAF?
Quella di coltivare un";immagine positiva degli italoamericani che vivono in America. Attualmente siamo quasi 25 milioni e contiamo in ogni ambito sociale: nel mondo dell";impresa, in quello accademico, nella ricerca scientifica, nella medicina, nella giustizia, nella politica, ecc.
Vi trovate ancora a combattere contro stereotipi e luoghi comuni che riguardano gli italoamericani, spesso amplificati da cinema e televisione?
Questo problema esiste ma noi non andiamo in pubblico a fare dimostrazioni. Ci muoviamo in privato, usiamo tutta l";influenza dei nostri membri per far valere le nostre ragioni e per dimostrare ai cittadini di questo Paese che l";italoamericano non è quello rappresentato dalla televisione o dal cinema.
La NIAF festeggia ogni anno la propria attività  qui a Washington, nel cuore politico dell";unione. Riuscite a fare lobby al Campidoglio?
Sì, ed è proprio per questa ragione che ci incontriamo a Washington. Qui c";è il Congresso e così parliamo continuamente con i senatori italoamericani, e ci rivolgiamo a loro affinché collaborino alla nostra «mission» e a dare un";immagine positiva degli italo-americani.
Oggi gli italoamericani cosa chiedono al Governo federale e al Congresso?
Non chiediamo niente in più rispetto agli altri gruppi etnici, se non di essere trattati alla stessa maniera, in tutti i sensi.
In questo 2005 che va chiudendosi quali sono state le iniziative più importanti che avete organizzato negli Stati Uniti e all";estero?
L";iniziativa più importante del 2005 proposta da noi e sostenuta anche dal Governo italiano, è stata quella del finanziamento dei corsi di lingua italiana presso le Università  statunitensi. Per la prima volta l";esame di italiano è entrato nelle Università  americane. È un evento eccezionale!
C";è un interesse crescente nelle Università  e nei College americani per la lingua e la cultura italiana. Secondo lei è un fenomeno temporaneo, una moda, oppure è qualcosa di più?
Direi che c";è molto di più. L";italiano è la lingua straniera che ha ricevuto in assoluto più spazio di tutte le altre lingue, più ancora dello spagnolo ancorché il 25% dei cittadini statunitensi siano ispanici. È incredibile che tutti vogliano imparare a parlare l";italiano per apprenderne la cultura.
La cultura può essere uno strumento per fare business. Riuscite a favorire relazioni anche con aziende italiane?
Sì, perché noi portiamo delegazioni della NIAF in Italia: a Bergamo, a Roma, in Sicilia. Facciamo incontri con industriali italiani per portare negli Stati Uniti attività  italiane, e in Italia attività  americane. La cosa importante per noi è investire capitali in Italia.
Molti americani sognano di venire a vivere in Italia, e molti italiani vorrebbero venire a vivere negli Stati Uniti. Nella realtà , però, i due contesti sono un po"; diversi da come vengono immaginati. Lei personalmente tornerebbe a vivere in Italia?
Io sono nato in Italia, in provincia di Siracusa, in un piccolo paese che si chiama Francofonte. Sono molto orgoglioso di questo ma per me vivere lì sarebbe impossibile perché la cultura italiana è completamente diversa da quella americana. In Italia c";è la cultura del «non lavorare troppo», negli Stati Uniti quella del «lavorare troppo e vivere poco»: sono aspetti che non possono andare d";accordo.
Come vede le prossime elezioni politiche in Italia che, per la prima volta, vedranno votare in loco gli italiani all";estero?
È una questione che coinvolge non solo gli Stati Uniti ma tutto il Nord America. Così avremo due sedi istituzionali di riferimento: Washington e Roma. Speriamo di avere un po"; più di influenza sul Parlamento italiano per quanto riguarda ciò che andrebbe fatto per favorire il settore finanziario; per creare quella stabilità  che noi qui in America siamo abituati ad avere per quattro anni di amministrazione. Per noi americani la stabilità  di governo è molto importante.
Le istituzioni italiane riescono a cogliere il potenziale rappresentato dagli italiani d";America per quanto riguarda le relazioni commerciali, economiche e culturali con l";Italia? Oppure c";è ancora qualche diffidenza?
Recentemente hanno cominciato a capire che non solo gli italoamericani sono importanti per l";Italia ma che avendo essi stessi notevoli disponibilità  finanziarie possono favorire gli scambi e gli investimenti con l";Italia medesima.
Molti italoamericani, innamoratissimi delle loro origini e della loro identità  italiana, spesso, purtroppo, non parlano l";italiano. Perchè?
Dipende dal fatto che quando uno arriva negli Stati Uniti vuole integrarsi con la società  americana. Il nostro Paese conta 140 gruppi etnici diversi. E non sempre, per noi, c";è stata la possibilità  di studiare l";italiano a scuola. Il bello del mosaico statunitense è vedere una nazione multietnica come la nostra in cui tutte queste persone lavorano insieme.
Qualche anno fa c";era la possibilità  che Mario Cuomo si candidasse alla Casa Bianca. Secondo lei, in tempi brevi, un italoamericano potrebbe diventare presidente degli Stati Uniti?
Credo di sì. Per ragioni che nessuno sapeva o che ha potuto capire, Mario Cuomo non è andato avanti. Nel 1992 poteva candidarsi. Adesso abbiamo l";ex sindaco di New York che può tentare questa strada, Rudolph Giuliani. Questa volta i tempi sono maturi perché un italoamericano possa aspirare a questa carica senza essere fermato come Cuomo.
Se lei potesse cambiare qualcosa dell";Italia di oggi per renderla migliore e più efficiente, mettendo così a frutto la sua esperienza negli Stati Uniti, che cosa farebbe?
Io penso che gli italiani siano molto intelligenti. La genialità  italiana è una delle migliori al mondo. In California, nella Silicon Valley, abbiamo molti italiani che sono dei fenomeni. Se io potessi fare qualcosa per l";Italia, suggerirei di copiare il nostro sistema e di diventare sempre più efficaci sul piano industriale.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017