I 60 anni di missione di padre Rocchi

Ordinato sacerdote a Reggio Emilia nel 1950, un anno dopo è arrivato nel continente australe dove ha svolto un intenso lavoro pastorale, soprattutto a Melbourne, nel santuario di Sant'Antonio.
12 Aprile 2011 | di

Melbourne
C’è un albero genealogico che cresce e si ramifica partendo dai legami di sangue e di parentela acquisiti in via verticale e orizzontale. Ma esiste anche una genealogia spirituale che si sviluppa dall’imposizione dei sacramenti. Uno di questi floridi alberi è quello della famiglia Mellino. Negli anni Cinquanta, nella chiesa del Sacro Cuore di Carlton – la chiesa degli italiani di Melbourne – viene battezzata Vivien Cavedon. Negli anni Settanta, nel santuario di Sant’Antonio di Hawthorn, Vivien si unisce in matrimonio con Tony Mellino. Il 18 agosto 1974, nello stesso santuario, viene battezzato Antonio Mellino, figlio di Vivien e Tony. Il 18 agosto 2002, sempre nel medesimo santuario, Antonio Mellino porta all’altare Vita Bruno. Il 7 dicembre 2003 vi viene battezzato Alessandro Antonio Mellino. A celebrare le liturgie è sempre padre Luciano Rocchi. E questo quadro di famiglia non è un’eccezione nella comunità italiana di Melbourne. Anzi, illustra bene una situazione che si è creata con il passare degli anni, e che sancisce lo stretto legame tra il sacerdote, padre Luciano Rocchi appunto, e le famiglie italiane che vedono, in quel santuario, la loro «collina del gelsomino» ovvero la loro seconda casa: il luogo della preghiera e dei sacramenti, del rifugio e del ristoro, nel quale trovare la pace spirituale e il coraggio necessario per affrontare le difficoltà e le sfide della vita. Chi ha conosciuto padre Luciano, conserva di lui un ricordo prezioso che si traduce in amicizia sincera.
Padre Luciano, frate minore cappuccino, è nato il 10 marzo 1926 a Prignano sulla Secchia, in provincia di Modena. Quest’anno, alla «giovane» età di 85 anni, festeggia due ricorrenze di grande significato spirituale e pastorale: i 60 anni di ordinazione sacerdotale, avvenuta la vigilia di Natale del 1950, a Reggio Emilia, e i 60 anni di apostolato in Australia. Padre Luciano arrivò a Melbourne il 18 settembre 1951. Tutti ricordano ancora la storica foto pubblicata dal giornale The Age, oggi custodita al Museo dell’Emigrazione, in cui si vede padre Luciano che mostra il crocifisso, all’arrivo in porto, affacciato all’oblò della nave Toscana.
Sulle strade dell’Australia
I primi due anni, padre Luciano li trascorre a Melbourne dove la comunità italiana aveva bisogno di punti di riferimento precisi per mantenere vive le tradizioni religiose della patria lontana. Poi inizia il ciclo di impegni pastorali nell’immenso continente australiano: a Plumpton nel New South Wales, ad Adelaide nel South Australia, a Brisbane nel Queensland, a Perth nel Western Australia, prima di ritornare a Melbourne tra il 1972 e il 1978; per poi spostarsi ancora ad Adelaide e per un anno sabbatico a Ottawa, in Canada, dove segue corsi di giornalismo, psicologia e storia delle missioni. Rientra definitivamente a Melbourne nel 1980.
Nel corso degli anni padre Luciano ha affrontato parecchi viaggi estenuanti per visitare gli italiani. Il giornalista Pino Bosi de La Fiamma ha raccolto la testimonianza di padre Luciano quando, verso la metà degli anni Cinquanta, compì uno di questi viaggi memorabili. Con pennellate vivaci, scrisse sul suo taccuino di viaggio: «Su richiesta del vescovo di Darwin, sono stato invitato a visitare i nostri connazionali nel Territorio del Nord. La mia prima tappa è Alice Spring, nel cuore del continente australiano. I ragazzi delle scuole hanno organizzato un concerto in mio onore. (…) Ho incontrato tutti gli italiani. Sono circa 140. Mi hanno accolto con entusiasmo e cordialità. Nelle miniere di Liko lavorano 30 italiani. Sono sceso a 200 metri di profondità, nelle viscere della terra, armato di tuta e casco di ferro, batteria e lampada. Ho parlato con i nostri ragazzi che si sono raccolti attorno a me (…). Sono finalmente a Darwin, la capitale del Territorio del Nord, che conta 12 mila abitanti. Gli italiani sono dediti all’edilizia e all’estrazione di uranio nelle miniere. Li visito casa per casa, ma anche nei bar e nelle camerate. Predico un triduo per 200 italiani nella vecchia cattedrale. Visito le isole di Bathurst e Melville dove assisto alle danze corroborees, e dove mi mettono su una canoa, e vado a caccia di coccodrilli. Si parte alla sera con una lampada abbagliante, e si usa un fucile ad arpione. A Channel Island c’è un lebbrosario, e incontro un italiano che mi stringe calorosamente la mano. Da sei anni non aveva sentito parlare la sua lingua». Brevi annotazioni, che illustrano bene, però, la vita dura degli immigrati italiani di quegli anni. Incontri che hanno accresciuto nel cappuccino una sensibilità speciale nei confronti delle persone.
Antonio e Francesco i santi più amati
In tutto il suo lungo apostolato, nell’aspetto liturgico, ha saputo dare ampio spazio alle persone, ai simboli della bellezza della natura e al lavoro dell’uomo. Nella chiesa di San Francesco a Newton, la «Piccola Assisi» di Adelaide, ha introdotto la cerimonia della benedizione degli attrezzi del lavoro e dei macchinari agricoli. Porterà questa iniziativa anche a Melbourne nella ricorrenza di San Giuseppe Lavoratore, aggiungendone altre come la benedizione degli animali – l’ultima domenica di ottobre –, la benedizione delle auto e di ogni mezzo di trasporto. Luci, fiori, musica, bandiere e stendardi delle Confraternite e delle Associazioni d’Arma e di ex combattenti, processioni offertoriali in costumi regionali: sono tutti elementi che ravvivano la liturgia nella splendida chiesa madre degli italiani di Melbourne.
Due celebrazioni, in particolare, hanno un’intensa carica emotiva. La prima è quella in onore di sant’Antonio di Padova, con il pellegrinaggio dall’alba al tramonto. Le Messe si concludono con la benedizione del pane e la sua distribuzione a migliaia di fedeli. La seconda celebrazione è quella per la festa di san Francesco d’Assisi, patrono d’Italia. È quanto mai suggestiva l’accensione della lampada della fraternità da parte del console generale d’Italia e del sindaco mentre squillano le trombe d’argento, e viene letto il Cantico delle Creature.
Padre Luciano paragona il santuario di Sant’Antonio a una «sposa sempre vestita a festa». La vuole bella e splendente. Per questo si adopera alacremente per una profonda opera di restauro. Un Comitato formato da esponenti comunitari, architetti e uomini d’affari sta preparando il lancio di una grande campagna di sensibilizzazione presso la comunità, per raccogliere fondi e riportare il tempio al suo antico splendore. Con l’auspicio che tutto si realizzi in tempi brevi. La nostra comunità, nei momenti nei quali occorre confrontarsi con un’iniziativa che tocca il cuore, sa avere una generosità senza limiti. Il restauro sarebbe un regalo alla Chiesa, ai padri Cappuccini che svolgono da decenni una meravigliosa opera di apostolato in tutti gli Stati d’Australia, e anche a padre Luciano Rocchi nel 60° anniversario della sua missione.
«Vecchio mi piace vecchio è bello»
«La vita intera corre su un filo fragile e delicato, ed è bella e santa – dice padre Luciano, commentando il suo anniversario –. Vecchio mi piace, vecchio è bello. Permettetemi l’audacia di contraddire il poeta latino Terenzio quando scrive: Senectus ipsa morbus (La vecchiaia è una malattia, ndr). Sessanta è il diamante, e si spera inossidabile. Sessanta sono i miei anni di ministero in emigrazione, di cui quaranta trascorsi nella città di Melbourne. E dico Melbourne con gratitudine e con un po’ di campanilismo. Qui è la mia, la nostra famiglia italiana a cui va il mio saluto: Pax et Bonum!».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017