I cristiani messaggeri di speranza
Mentre scriviamo, è partita la guerra contro l`Iraq, dopo aver a lungo pesato più minacciosa che mai su un popolo la cui sola «colpa» è di avere per capo un dittatore crudele, la cui avidità si scontra con altri possenti appetiti. Solo un miracolo, sembra, potrebbe indurre il presidente americano a desistere dal dare il via alla guerra ` una guerra preventiva, moralmente inaccettabile ` «si assume una grave responsabilità di fronte a Dio, alla sua coscienza e alla storia», come ha dichiarato il Vaticano. Oppure convincere Saddam Hussein a farsi da parte.
La speranza è sempre l`ultima a morire, ma crediamo che anche i più ostinati ottimisti si stiano rassegnando al compiersi di questa tragedia, che la buona volontà dei contendenti avrebbe potuto evitare, risparmiando al popolo iracheno un`inutile strage.
Tra i più ostinati assertori della pace c`è Giovanni Paolo II, che ha trovato nei reconditi del suo spirito una forza che età e acciacchi sembravano avere spenta, per «urlare» al mondo il bene della pace, ribadendo quello che la Chiesa da sempre sostiene (nel suo ruolo profetico di istituzione «non pacifista ma pacificatrice»), e cioè che con la pace tutto è possibile e con la guerra tutto è perduto.
Guerra, dunque, dagli esiti magari scontati, ma dalle conseguenze imprevedibili. Che si combatterà lontano da noi, ma che in virtù dei mezzi di comunicazione entrerà nella nostre case. Anzi, è già entrata, provocando sgomento, ansia, paura e rabbia.
Lo verificavo dialogando con un`anziana lettrice che spesso sento al telefono. La guerra incombente si è insinuata nei nostri discorsi evocando fantasmi, soprattutto in lei che ha qualche ricordo già della prima guerra mondiale e ha vissuto con maggiore consapevolezza i disagi e l`orrore della seconda. Anche lei si associa a quel «No a tutte le guerre» che Giovanni Paolo II ha gridato con quel recuperato vigore, carico tuttavia dell`angoscia di chi, ventenne, ebbe la giovinezza rovinata da quella tragica esperienza. Grandi vecchi, capace ognuno a suo modo di ripudiare un evento crudelmente inutile e di sostenere con la saggezza acquisita dall`esperienza (solo i poveri a volte sanno trarre le lezioni della storia) il desiderio di un mondo in pace, di quella pace che Gesù risorgendo ha dato ai suoi discepoli e, in loro, al mondo intero.
Essendo in questo momento anche incamminati verso la Pasqua, mi chiedevo che senso potesse avere in questo clima di guerra il tradizionale augurio: un saluto segnato dall`angoscia della sconfitta o dalla gioia della risurrezione? E mi è venuto in mente l`inesausta speranza che sorregge il vecchio cuore del Papa e che egli vuole comunicare a tutti «gli smarriti di cuore». Speranza radicata nei fatti narrati dal Vangelo. E i fatti dicono che Cristo è risorto e ha dato a tutti la certezza che dopo la notte del dolore e della morte viene il giorno della risurrezione e della speranza.
Lo hanno capito bene i due discepoli che, frastornati, raccontavano la loro delusione al forestiero che s`era loro accompagnato: «Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo... i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l`hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute».
Come dire: tutto finito. Invece poi «nello spezzare del pane» riconobbero che quel forestiero era Gesù ed era davvero risorto. Tutto dunque poteva ricominciare nel segno della speranza. È la speranza che deve vivificare la vita di ogni cristiano, al di là di ogni tragico evento, collettivo e personale. In questo segno il mio cordiale augurio.