I nipoti dell’Uomo Qualunque

11 Gennaio 1998 | di

Il disprezzo per la politica ha in Italia radici lontane. Ecco perché Di Pietro non è più un mito.

Da quando il dottor Antonio Di Pietro è diventato senatore, politologi e politici, amici e avversari s`€™interrogano ansiosi su quello che farà  e su ciò che converrebbe fare con lui. Nelle ovattate sale di Palazzo Madama il neosenatore appare come un alieno, o addirittura un 'intruso', per citare l`€™ultimo libro che ha scritto su di lui Luigi Ferrarella, informatissimo cronista giudiziario milanese.

Ma chi è davvero l`€™ex contadino di Bisaccia, l`€™ex emigrato in Germania, l`€™ex poliziotto, l`€™ex PM, l`€™ex ministro dei Lavori pubblici? Uno nessuno o centomila? Forse la definizione più azzeccata è quella del sindaco filosofo Massimo Cacciari: 'Lui è un fenomeno assolutamente caratteristico della situazione italiana... Era facile prevedere che avessero un peso molto forte personalità  carismatiche plebiscitarie, come Di Pietro ma anche come Berlusconi e Bossi'. E il parlamentare di Alleanza Nazionale, Mirko Tremaglia, che l`€™ha coccolato a lungo sperando che entrasse a far parte del suo stesso partito, dice: 'Quello che è più sconsolante non è che Di Pietro abbia ingannato me, ma che Di Pietro abbia tradito Di Pietro, tradito il suo popolo agli occhi del quale non rappresenta più l`€™uomo che andava contro i partiti, ma l`€™uomo che proprio in essi si è collocato...'.

Qualcosa incomincia ad apparire chiaro: proprio nel momento in cui l`€™ex magistrato, superati i tentennamenti che ne hanno caratterizzato il comportamento dopo l`€™abbandono della toga, diventa un senatore dell`€™Ulivo, lo si accusa di fare politica, come 'tutti gli altri' e non come Bossi, che usa della Lega come strumento dell`€™antipolitica, o Berlusconi, eletto plebiscitariamente perché non era un politico ma un imprenditore.

Per capire il disprezzo per la politica che caratterizza le epoche di transizione, basta riandare agli anni di 'Mani pulite', quando il pool milanese macinava 'fame' consolidate, poteri che sembravano indistruttibili, personaggi fino a poco prima intoccabili: il pubblico che affollava l`€™aula del processo, si annoiava quando comparivano imputati provenienti dal mondo industriale, ma si faceva attento, ostile, sprezzante, non appena spuntava un politico, anche di secondo piano; 'Tonino, facci sognare!', gridavano le scritte sui muri. Gli anonimi scrivani avrebbero voluto che Di Pietro continuasse a mettere alla gogna i Craxi, i Forlani, i Citaristi, i Tognoli, i Pillitteri.

Sembrava un fenomeno inedito nella storia d`€™Italia, e di fatti lo è nella modalità  processuale ma non nell`€™ostilità  verso la politica e chi la pratica.

Il precedente più antico risale a oltre mezzo secolo fa. Il 27 dicembre del 1944 a Roma già  liberata dagli angloamericani, mentre il Nord era ancora occupato dai tedeschi, uscì il primo numero di un settimanale 'L`€™Uomo Qualunque', destinato a raggiungere rapidamente le 800 mila copie. Direttore e factotum era il commediografo Guglielmo Giannini. Dalla madre inglese aveva ereditato l`€™aplomb di un lord, dal padre napoletano il colorito turpiloquio partenopeo. Il settimanale diventò lo sfogo permanente contro tutti i poteri. Nella testata, dentro la grande U di 'Uomo', un torchio stritolava un omino; la vignetta più attesa era intitolata 'P.d.F' (Pezzo di fesso), e se la prendeva ogni volta con un uomo politico.

Il successo del settimanale antipolitico convinse il suo fondatore a darsi alla politica e il 2 giugno del 1946, giorno in cui gli italiani tornarono a votare per eleggere l`€™assemblea costituente e scegliere fra monarchia e repubblica, 'L`€™uomo Qualunque' mandò Giannini a Montecitorio con una pattuglia di altri 32 deputati. Fu facile per lui trasferire il suo linguaggio, che sembra la traduzione napoletana di quello di Bossi, dal settimanale ai banchi della Camera.

Anche se qualche volta il presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, utilizzò i suoi voti, nessuno lo prese sul serio, con l`€™eccezione di Togliatti, attento ai fenomeni di massa, benché Giannini ce l`€™avesse con lui, come ce l`€™aveva con i democristiani, i liberali e i fascisti. Ma dopo l`€™espulsione dei comunisti dal governo e la nascita del Msi, il giornale e il movimento persero vigore: alle elezioni del 1948, Giannini fu eletto con appena 6 deputati in una lista liberale.

Poco dopo, dell`€™'Uomo Qualunque' restò soltanto una traccia nel linguaggio come 'qualunquismo'. Il vocabolario del Devoto-Oli lo definisce 'critica svalutatrice dei sistemi democratici e scettica opposizione alla democrazia'. Niente di nuovo sotto il sole d`€™Italia.

Guglielmo Zucconi, bolognese emigrato a Milano, ha diretto alcune tra le più note testate giornalistiche italiane, come 'Il Giorno', 'Amica', 'Corriere dei piccoli', 'Domenica del Corriere', 'Tempo illustrato'... Dal 1997 è direttore editoriale di 'Il Giorno', 'Il resto del Carlino' e 'La Nazione'. Fine scrittore, ha scritto numerosi libri per l`€™infanzia, per l`€™adolescenza, romanzi e saggi. Ricordiamo:

'La smortina',

'Il compromesso preistorico', 'L`€™Italia s`€™è desta alle 14.10', 'Quell`€™estate di San Martino', 'La paga del deputato',

'San Francesco' ... Da questo numero inizia la sua collaborazione al 'Messaggero di sant`€™Antonio'.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017