I nuovi nemici della NATO

Finita la guerra fredda, i russi sono diventati «quasi» alleati contro terrorismo e calamità naturali. L'Italia vanta un ruolo di primo piano nell'organizzazione, soprattutto nel Mediterraneo, nei Balcani e in Medio Oriente.
15 Febbraio 2007 | di

Bruxelles

La NATO, l’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico costituita a Washington DC nel 1949 all’indomani della fine della Seconda Guerra mondiale, come deterrente alle minacce, vere o presunte, che sarebbero potute venire dall’allora Unione Sovietica, ha un programma ambizioso: quello di adeguare la propria azione ai nuovi assetti geopolitici internazionali, in particolare nell’ambito della sicurezza interna degli Stati membri e della difesa da potenziali attacchi terroristici portati anche con armi di distruzione di massa. Un processo di trasformazione cui contribuisce anche l’Italia con l’ingente numero di forze che destina alla NATO, come dimostra lo spiegamento di 2 mila uomini in Afghanistan, di 900 in Bosnia-Erzegovina, del personale nel Quartier generale di Tirana e Skopje, di 70 persone impegnate nel Mare Mediterraneo, di più di 2.300 uomini in Kosovo, del supporto logistico nel Darfur e in Iraq. Inoltre, l’Italia è attiva in molte iniziative riguardanti i rapporti in seno all’Europa, nella promozione della stabilità dell’area occidentale dei Balcani, del dialogo nel Mediterraneo, della collaborazione con la Turchia, e dei rapporti con la Russia. Ne abbiamo parlato con il portavoce della NATO, James Appathurai.

Bettero. La NATO ha iniziato un progressivo cambiamento, almeno a partire dalla fine della Guerra fredda. Oggi a che punto è questo processo?

Appathurai. L’adattamento della NATO alle nuove sfide lanciate alla sicurezza degli Stati membri, ha raggiunto un nuovo livello dopo l’11 settembre 2001, com’è emerso nei summit della NATO tenutisi a Praga nel 2002, a Istanbul nel 2004, a Riga nel novembre del 2006. Il principio che muove l’azione della NATO si basa sul consenso dei suoi 26 Stati membri circa la necessità di affrontare queste sfide in qualsiasi momento esse si presentino, di assicurare un livello adeguato di stabilità e di consolidare il nostro impegno politico attraverso lo strumento della partnership, all’interno e fuori dell’Europa. Al recente summit di Riga, la NATO ha sottolineato nuovamente il suo impegno per raggiungere il successo militare e politico anche oltre i confini tradizionali della regione euro-atlantica: inclusi il Kosovo, il Mare Mediterraneo, l’Afghanistan, l’Iraq e il Darfur. Inoltre, ha dichiarato la piena capacità operativa della NATO Response Force (Forza d’Intervento Rapido) che comprende 25 mila unità dispiegabili in breve tempo, e capaci di ricoprire un’ampia gamma di ruoli. Ha poi offerto la propria collaborazione per riportare la pace in Serbia, nel Montenegro e in Bosnia-Erzegovina. E ha ribadito l’intenzione di dare supporto agli sforzi di Macedonia, Albania, Croazia affinché possano completare il processo d’integrazione nella NATO.

La NATO diventerà sempre più, in futuro, un’organizzazione capace di operare nell’ambito del peace keeping oppure manterrà il suo prevalente carattere di alleanza militare di difesa?

La mission della NATO rimane quella prevista dall’articolo 5 del Trattato firmato a Washington, cioè quella di dispiegare un dispositivo di difesa in caso di attacco militare. La solidarietà politica che traspare dalle decisioni unanimi del Consiglio della NATO e l’articolo 5 sono le due motivazioni principali che giustificano le domande di adesione alla NATO da parte dei Paesi dell’area euroatlantica. Poiché lo scenario della sicurezza è in rapido mutamento, la NATO sta rinforzando anche la sua capacità di affrontare situazioni di crisi, com’è dimostrato dallo spiegamento di oltre 50 mila uomini in tre diversi continenti.

Se la Guerra fredda è finita, oggi chi sono i nemici della NATO?

Il concetto di nemico è cambiato molto nel tempo. Oggi la vecchia definizione di «nemico», inteso come grande esercito sul campo, non può essere applicata perché non riflette l’attuale quadro internazionale. Le sfide alla sicurezza hanno forme ben definite. E non hanno più solo una connotazione squisitamente militare, anche se non si può prescindere da questo approccio. Hanno anzi conseguenze a livello internazionale, e ben oltre i confini territoriali entro cui si sviluppano. E sono soggette ad una rapida escalation. In questo contesto possiamo affermare che la NATO, così come altre organizzazioni, si confronta con quattro grandi sfide: nazioni instabili, conflitti regionali, terrorismo internazionale e proliferazione di armi di distruzione di massa.

Nell’ottobre del 2005, la NATO Response Force fu impegnata nell’aiuto alle popolazioni del Pakistan, colpito da un devastante terremoto. Ciò significa che tra i nuovi compiti della NATO c’è anche quello della protezione civile? Oppure si è trattato di un evento estemporaneo?

Il fatto che la NATO si sia impegnata nell’aiuto alla popolazione del Pakistan ha dimostrato che l’organizzazione è un valore aggiunto anche in situazioni di emergenza grazie al fatto che tutte le decisioni vengono prese attraverso l’uso integrato del dispositivo militare, e grazie all’accordo di tutti gli Stati membri. La NATO non aspira ad avere un ruolo di leader nella protezione civile, sebbene possa e debba continuare a giocare un ruolo di supporto.

Fino a quando la NATO resterà in Afghanistan?

Al momento è difficile discutere un eventuale disimpegno in Afghanistan dove la NATO ha perso una settantina di uomini. Ci vorrà molto tempo prima che il Paese possa farcela a camminare con le proprie gambe, e ciò richiederà un grande impegno da parte della comunità internazionale. L’Italia ha avuto, e continua ad avere, un ruolo importante per il successo della missione. È stata a capo della Forza Internazionale di Assistenza e Sicurezza con il generale Del Vecchio. Attualmente l’Italia guida il Comando regionale occidentale in Afghanistan. Inoltre, l’Italia è un pilastro nel Settore per le riforme della sicurezza, cioè del sistema giudiziario afgano.

Dopo il summit di Pratica di Mare, nel 2002, durante il quale è stata resa pubblica la partnership con la Russia, quali sono gli impegni della NATO nella promozione dei rapporti con Mosca?

Uno dei paradigmi essenziali della NATO, nel XXI secolo, è costituito dallo sviluppo delle relazioni con la Russia. Il Consiglio NATO-Russia, costituito in occasione del summit di Pratica di Mare, è un passo avanti nella direzione giusta perché attribuisce a Mosca la possibilità di prendere decisioni congiunte con gli altri 26 Paesi membri. Da allora la Russia ha preso parte a missioni della NATO. È stata attivamente coinvolta in esercitazioni di protezione civile e in altre forme di cooperazione militare. Rimane ancora molto da fare prima che l’accordo di Pratica di Mare sviluppi tutto il suo potenziale. Il summit di Riga ha comunque ribadito l’intenzione di approfondire la partnership con la Russia, soprattutto in considerazione del fatto che quest’anno si celebra il quinto anniversario della nascita del Consiglio NATO-Russia.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017