I nuovi vizi degli italiani. Individualismo e consumismo

24 Marzo 2009 | di

Per cominciare

«“Se vuoi arrivare primo, corri da solo. Se vuoi camminare lontano, cammina insieme”. È un missionario di passaggio in Italia a segnalarmi questo bel proverbio del Kenya. Vediamo profilarsi, nella prima parte del detto, l’immagine della nostra società, modulata sull’individualismo aggressivo e competitivo. (…) Ma c’è la seconda parte di quel proverbio ad ammonirci di un rischio che è sempre in agguato. (…) Raggiunto il successo, ci si accorge subito che è breve e fragile (…). L’importante, infatti, per la creatura umana non è primeggiare ma attuarsi in pienezza. Come dice l’aforisma keniota, non è arrivare primo ma giungere lontano, fino alla perfezione. Ed è per questo che è necessario essere insieme. Nel tempo della caduta, se hai vicino l’altro che ti vuol bene, egli ti solleva e ti sostiene».
G. Ravasi, Mattutino, da «Avvenire» 7/11/2006
 
 
La provocazione
 
La corsa infinita nel cinodromo della vita
 
di Umberto Folena
 
I consumisti sono in perenne competizione tra di loro. L’obiettivo? Arrivare primi, consumare di più, cambiare più velocemente automobile, telefonino, televisore, scarpe, abiti...
 
Il cinodromo sta all’ippodromo come i levrieri stanno ai purosangue. Corrono, i cani, mentre gli umani scommettono su chi arriverà primo. Per convincerli a correre, gli si mette davanti una lepre, finta. I levrieri si gettano entusiasti all’inseguimento per acchiapparla. I levrieri sono convinti che proprio quello sia lo scopo del gioco: acchiappare la lepre, possibilmente per primi. Solo così saranno soddisfatti, in attesa di poterne acchiappare un’altra. Non sanno, i poverini, che non l’acchiapperanno mai. Infatti lo scopo del gioco è farli correre. In altri termini: per loro la corsa è un mezzo e la lepre il fine. Ma nella realtà è tutto il contrario: la lepre è il mezzo e il fine è farli correre.
Il consumismo funziona esattamente così. I consumisti pensano che il denaro sia uno strumento per impossessarsi di quelle merci sulle quali si è posato il loro desiderio. In realtà le merci sono strumenti per raggiungere il vero fine: far loro spendere denaro. Questo è lo scopo della consumerist society, la società dei consumatori: non accumulare beni ma consumarli, ossia cambiarli di continuo. Lo scopo è far circolare il denaro, tanto e vorticosamente.
Proprio come i levrieri nel cinodromo, i consumisti sono in perenne competizione tra di loro e l’obiettivo è arrivare primi, consumare di più e cambiare più velocemente: automobile, telefonino, televisore, scarpe, abiti… Sono spinti da un forte desiderio che, se irrisolto, genera in loro insoddisfazione e ansia; per placarle, occorre spendere e possedere l’oggetto del desiderio. Ma il sollievo sarà di breve durata; presto subentreranno nuovi desideri e nuove ansie; come per i levrieri nel cinodromo, avranno sempre una lepre da inseguire.
Questo è il destino della nostra società che, come osserva acutamente il sociologo Zygmunt Bauman, si è tramutata da società di produttori in società di consumatori. Siamo ricchi di mezzi e poveri di fini, ossia abbiamo smarrito il senso profondo di ciò che facciamo e non sappiamo esattamente dove stiamo andando. Come levrieri nel cinodromo, scambiamo un miserabile mezzo (la lepre) per il fine. I consumisti, a poco a poco, si convincono che tutto sia consumo e che il desiderio individuale sia l’unico principio cui restare fedeli. Se perfino la moglie o i figli intralciano i desideri, nessun problema: si cambia, secondo l’implacabile logica consumista in base alla quale nulla è per sempre, neanche un affetto.
Il consumista è talmente intriso di individualismo che gli è impossibile costruire legami stabili e solidi. Nessuna comunità nel suo orizzonte. Tranne quelle finte. Ad esempio il reality show, come il Grande Fratello o l’Isola dei famosi, formidabili icone della consumerist society. Viene costituito un gruppo, i cui membri sono incoraggiati a stabilire relazioni, a dialogare, a flirtare, a collaborare. Sembra davvero che lo scopo sia appunto creare una «comunità». Quando l’amico viene eliminato, si versano lacrime… Ma fin dall’inizio lo scopo del gioco è invece rimanere soli, dopo aver fatto fuori tutti gli altri. Il reality è lo specchio di una colossale ipocrisia sociale.
Se oggi il consumismo individualista è riconosciuto come vizio grave da quattro italiani su cinque (ossia anche da molti consumisti individualisti!), già ieri il pericolo mortale dell’«ognun per sé» era ben individuato dagli spiriti più lucidi. Scriveva Thomas S. Eliot (Assassinio nella cattedrale): «Qual è il significato di questa città? Vi ammassate, o vivete insieme perché vi amate l’un l’altro? Cosa risponderete? Siamo insieme per cavare denari l’uno dall’altro o risponderete: questa è una comunità?».
 
 
E noi cristiani?
 
Nuovi passi contro l’individualismo
 
di Vittorio Nozza, direttore Caritas italiana
 
Essere consapevoli della destinazione universale dei beni. Costruire un nuovo «territorio», che favorisca relazioni e tutela dei diritti. Sono questi i passi di un vero cammino di conversione personale e comunitaria.
 
Due gli eventi principali che oggi fanno da cornice alla nostra riflessione sul vizio dell’individualismo e del consumismo: la crisi dilagante e la Quaresima che, nonostante sia ormai avviata alla fine, ci esorta a intraprendere sempre nuovi percorsi di conversione.
Qual è l’atteggiamento che il cristiano deve avere? Quello di chi, mentre la folla si dirige in un senso, va invece in tutt’altra direzione. E però, mostrando il volto alla folla controcorrente, ridesta in coloro che lo osservano qualcosa di grande. Mentre tutti parlano di crisi economica, di difficoltà a guadagnare abbastanza e rischiano di ripiegarsi sempre più su se stessi, ecco che il Papa si mette a parlare di digiuno ed elemosina. Ci invita a una relazione più serena, sobria, essenziale con noi stessi. Non perché restiamo lontani dalla gente, ma perché sappiamo immergerci nel mondo che ci circonda con azioni di comunione, di fraternità, di servizio e di carità. Ci prende in contropiede, ma rammenta a tutti qualcosa di essenziale. Senza l’essenziale, infatti, ogni preoccupazione rischia di trasformarsi in ansia quasi patologica degli individui e della società.
Perciò, mentre tutti si preoccupano dei soldi, il Papa ci parla di gesti di aiuto per rammentarci che non siamo padroni della vita e dei beni. Per ricordarci che la natura umana è fatta per amare, è fatta per la gratuità.
Per invitarci, in definitiva, a vivere l’ordinarietà a partire dalle persone ultime: da chi manca di tutto, da chi non ha lavoro, da chi soffre, da chi non ha una famiglia, da chi è ferito in tanti modi, per riordinare la comunità nel segno della fraternità e della solidarietà. È questa la carta vincente contro l’individualismo, ed è un gesto realista perché prende atto che il bisogno dei poveri attorno a noi è tale che tante nostre pretese e lamenti suonano spesso addirittura indegni. La carità ricevuta da Dio – nella sua gratuità ma anche espressa dai nostri gesti e dalle nostre parole – diventa carta vincente in una società che ha bisogno soprattutto di cogliere dei segni.
D’altro canto la crisi in atto può essere il momento del «fermiamoci e ragioniamo». Proviamo a individuare i passi di un vero cammino di conversione personale e pastorale.
In primo luogo i passi dell’utilizzo dei beni rispetto al bene della persona e della comunità. Sono i passi della destinazione universale dei doni che Dio ci elargisce, che chiede l’uscita da ogni forma di mercato e di spreco quotidiano di alcuni beni essenziali: l’acqua, la terra, l’energia…; e relazionali: la pace, l’istruzione, l’informazione, la salute… per arrivare a una condivisione diffusa nel rispetto dell’ambiente, nella moderazione e sobrietà nell’uso delle risorse naturali, e nell’attenzione alla qualità della vita contro uno sviluppo disordinato. Proviamo a individuare nei nostri consumi e stili di vita, anche se apparentemente innocui, abitudini da superare perché sia possibile una giustizia vera, equa per tutti. Ricerchiamo comportamenti e scelte coerenti, che non si accontentano della denuncia, né del singolo gesto benefico; aderiamo a proposte quali il «commercio equo e solidale», il «consumo critico», l’operazione «bilanci di giustizia», le varie forme di «finanza etica».
Inoltre i passi della costruzione di nuovo «territorio», chiamato a favorire incontri, relazioni, confronto, tutela dei diritti. Un territorio aperto che sa gestire il passare delle persone in una logica di prossimità più che di invisibilità. Un territorio che rende accessibili i suoi beni più che farli diventare strumento di differenza e di nuovo protezionismo.
Sono passi che ci allontanano dal vizio dell’individualismo e del consumismo, ma che esigono concreti impegni di cambiamento nella vita delle singole persone e di ogni comunità parrocchiale e hanno anche bisogno di essere sostenuti da percorsi educativi che possono dare voce e futuro a queste attenzioni.  
 
 
Chi punta il dito
 
Abbasso l’ego smisurato
 
 Preoccupati per il diffondersi di individualismo e consumismo? Siete in buona compagnia: infatti, ben quattro italiani su cinque hanno dichiarato agli intervistatori dell’indagine realizzata per il «Messaggero di sant’Antonio» da Astra Ricerche di considerare questi vizi come gravi e diffusi. Il pensare disordinatamente solo a sé, ovvero il mix di individualismo e consumismo, è quindi, nella percezione comune, ben presente nella nostra società. Vediamo chi è l’accusatore-tipo, grazie ad alcuni dati desunti dalla ricerca. Vive di preferenza nelle aree urbano-metropolitane, e dunque nei Comuni dai 30 mila abitanti in su, e a maggior ragione nelle grandi città (86 per cento). Come zona geografica si distingue il Nord – con esclusione dell’Emilia Romagna – e ancor più il Lazio: a Roma si è registrato il record, con ben l’85 per cento dei residenti che ha puntato il dito contro questi vizi. Per quanto riguarda l’età, ci collochiamo nella fascia adulta, con un’accentuazione maggiore nel decennio 35-44 anni (l’85 per cento di persone in questa fascia di età ritiene grave questo vizio) seguito a ruota dalla fascia a cavallo dei cinquant’anni (84 per cento). Le differenze per titolo di studio appaiono assai modeste, anche se emerge che a essere più coinvolti nel fenomeno sono i laureati (84 per cento), diversamente dai cittadini con la sola licenza elementare o nessun titolo di studio. Questo dato è confermato dall’analisi per ruoli socio-professionali: il problema è avvertito maggiormente dal ceto impiegatizio, e in particolare dagli insegnanti (83 per cento). In definitiva è la classe media che rigetta al massimo l’individualismo consumistico, che risulta soprammedia anche nelle famiglie numerose con quattro o più componenti, dove in egual misura papà e mamme biasimano questo neovizio.      
A. F.
 
 
Di che vizio sei?
 
Consumisti subdoli cioè avari
 
di Giovanni Ventimiglia
 
Andate al lavoro in bicicletta, non vi interessano i beni di consumo e avete fatto del risparmio la vostra legge? Potreste essere comunque dei consumisti, così attaccati ai beni materiali da rasentare l’avarizia.
 
Come siete andati oggi al lavoro? Da soli in automobile, magari con il fuoristrada? E avete mandato a quel paese l’extracomunitario che al semaforo voleva lavare il vetro della vostra auto in cambio di qualche spicciolo? Bene! Siete nella media degli italiani: individualisti e consumisti. Non mi sembra, infatti, ci sia immagine migliore per descrivere insieme questi due difetti: un individuo solo in un bene di consumo come un inutilissimo fuoristrada, fermo in coda in mezzo a tanti altri individui soli in altrettante costosissime auto, tutti rigorosamente irritati dagli extracomunitari che gironzolano supplichevoli in cerca di denaro per sopravvivere.
Fino a qui il test del vizio è semplice. Ma passiamo a domande più difficili: siete andati al lavoro in bicicletta, non vi interessano i beni di consumo e siete tanto ma tanto altruisti? Bene! Non è detto che non siate comunque individualisti e consumisti. Prendiamo per esempio coloro che evitano i beni di consumo perché parchi e risparmiatori. Qualche volta non si tratta di non consumisti ma di semplici avari. I quali, proprio perché ossessionati dalla paura di perdere ciò che hanno, rivelano un attaccamento ai beni materiali uguale, se non maggiore, a quello che anima i consumisti semplici. Li chiamerei «consumisti subdoli».
Vi sono poi persone, soprattutto giovani, contrarie al consumismo e alla globalizzazione, rispettose dell’ambiente e perennemente collegate in rete tramite iPhone. Li chiamerei «generazione wireless». Non più attratti, forse anche complice la crisi economica, dal consumismo di beni materiali, mi sembrano però ammalati di consumismo di quel bene immateriale che è la privacy altrui. Youtube, facebook, myspace, reality show, google latitude: è un ininterrotto sistema di consumo di vita privata non loro, da divorare con la stessa voracità con cui si consumano i sorbetti della pubblicità.
Consideriamo adesso una categoria che sembra opposta a quella degli individualisti: gli altruisti. Anche in questo caso non è sempre oro quello che luccica.
Vi sono altruisti che non riescono a trattenersi dal bisogno di aiutarvi. Anche quando non ne avete affatto bisogno e, anzi, vorreste finalmente affrancarvi da loro. Penso ad esempio ad alcuni genitori che inseguono i loro figli con un atteggiamento forzatamente altruistico («Che cosa hai fatto ieri sera?» «Perché non parliamo, sono qui per te!») che in realtà non è altro che desiderio, individualistico, di trattenerli ancora presso di sé, proprio quando sarebbe bene, invece, tagliare finalmente il cordone ombelicale. Quante volte il nostro altruismo altro non è che l’individualismo di chi pretende di essere sempre indispensabile?
Vi sono, infine, gli altruisti educatori. Alcuni concepiscono la loro missione con un tale zelo da trasformarsi in plagiatori. Piuttosto che il bene e la libertà dei loro figli, dei loro studenti, dei loro figli spirituali, hanno di mira la conquista della loro anima, cioè l’imposizione, seppure con forme suadenti, della propria visione del mondo e del proprio modello di vita. E si placano solo quando vedono studenti o figli spirituali trasformarsi in loro fotocopie. Come li definiamo? Altruisti o individualisti in incognito a piede libero?
Forse, il contrario dell’individualismo non è un altruismo morboso e zelante ma un amorevole rispetto del sé degli altri, della loro libertà, della loro privacy, della loro irripetibile, e inviolabile, interiorità. Che poi è il luogo, scriveva Agostino, in cui abita la Verità: in interiore homine habitat Veritas.      
 
Spunti di catechesi
 
«E il bene, lo hai fatto?»
 
«Beneditemi, padre!».
«Il Signore sia nel tuo cuore e nelle tue parole. Quali sono i tuoi peccati?».
«I soliti. Qualche preghiera dimenticata, qualche bugia, qualche atto di impazienza, qualche parolaccia. Bestemmie, però, no».
«E il bene, lo hai fatto?».
«In che senso?».
«Nel senso che il cristiano non è chi non fa i peccati, ma chi si preoccupa del bene degli altri. Il cristiano deve essere come il sale e la luce. Deve portare dovunque qualcosa in più, una qualità di vita più alta».
«Padre, io cosa posso portare in più? I soldi mi bastano sì e no per tirare avanti. Non mi avanza niente da dare agli altri. Qualche volta, però, un po’ di spiccioli agli extracomunitari glieli ho dati. Ma se dai retta a tutti…».
«Spiccioli a parte, ti interessi degli altri? Sei attento alle loro esigenze? Nel condominio per esempio…».
«Questo proprio no. Io mi interesso ai fatti miei e non mi curo di quelli degli altri. Nel condominio, per esempio, buon giorno e buona sera, e ognuno a casa sua. Altrimenti si finisce per litigare. E poi i pettegolezzi, le rogne, i fastidi…».
«Già, i fastidi. Eppure san Paolo raccomanda di portare ciascuno i pesi degli altri, di piangere con chi piange e gioire con chi gioisce».
«Lo so, san Paolo dice bene. Ma la vita di oggi non è più come una volta. Mamma mi racconta che quando era giovane, tutti lasciavano la chiave sulla porta. Lasciacela un po’ oggi, che non basta più nemmeno l’antifurto. Scusi, padre, ma lei non la vede la televisione? Non vede tutto quello che succede, tutto l’egoismo che c’è?».
«Proprio perché è così, noi cristiani abbiamo il compito di portare più solidarietà, più altruismo, più generosità».
«Ah, se è per questo, io di solidarietà ce n’ho tanta. A me la gente che sta male, mi fa tanta pena. Ma io cosa ci posso fare? Ci deve pensare il governo».
«Ho capito. Senti, stai attento a non fare spese inutili, a non seguire la pubblicità in modo passivo, a non fare sprechi? Stai attento, per esempio, a risparmiare l’acqua?».
«Padre, non mi racconterà anche lei la barzelletta che l’acqua che risparmio a casa mia finisce in Africa, e quelli non muoiono più di sete?».
«Certo che no! Ma se contribuiamo a creare una mentalità di sobrietà, pian piano le ricchezze del mondo verranno distribuite in modo più giusto».
«Figurati se il mondo diventa più giusto se io mi faccio qualche doccia in meno. Senta padre, abbiamo faticato tanto per arrivare ad avere queste comodità, adesso non possiamo privarcene perché in Africa non ce l’hanno. Si diano da fare! Quelli piangono la miseria, ma i soldi per le armi li trovano sempre. Non ho ragione, padre? A proposito, quante Ave Maria devo dire per penitenza?».
Tonino Lasconi
Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017