I partigiani "bianchi" cattolici nella Resistenza
La storiografia ufficiale, nel corso di questi anni, ha sempre dato un'immagine univoca della Resistenza, quasi mitizzata, ma non ha mai chiarito il ruolo che in essa svolsero le varie componenti politico-partigiane e, fra esse, anche quelle cattoliche. I drammi della guerra accrebbero nella popolazione la fede religiosa, specialmente del mondo contadino che costituiva il fulcro della forza lavoro dell'Italia nella prima metà del XX secolo.
Allora si comprende il ruolo che, nel corso del conflitto, assunse la figura dei parroci i quali divennero una guida non soltanto spirituale, ma anche civile e politica. Don Primo Mazzolari ricordava come centinaia di giovani si rivolgevano ai loro padri spirituali per orientarsi sulla difficile questione di aderire o no alla chiamata alle armi della Repubblica di Salò. Don Mazzolari nella saggia Risposta a un aviatore scriveva nei riguardi della guerra e dell'obbedienza: Come si può riconoscere se una guerra è giusta o ingiusta? A chi spetta il compito di procedere a tale decisione? Tale ruolo è affidato all'autorità costituita, ma se questa, invece di rispondere al suo scopo, ossia il conseguimento del bene comune, si trova a operare contro di esso, l'individuo acquista il diritto alla rivolta come verso chi usurpa un diritto. E quindi così approfondiva il suo concetto: Ove comincia l'errore, o l'iniquità , cessa, con la santità del dovere, la sua obbligatorietà e incomincia un altro dovere: disobbedire all'uomo per rimanere fedeli a Dio.
Questi stessi ideali si riconoscono anche nelle parole di un giovane capo partigiano lombardo, Giancarlo Passavalli Puecher, che fu passato per le armi il 22 dicembre del 1943: L'amavo troppo la mia Patria; non la tradite, e voi tutti giovani d'Italia seguite la mia via, e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire la nuova unità nazionale. Si verificava una situazione un po' critica. Difatti - mentre la gerarchia ecclesiastica doveva restare in una posizione di distacco, e questo nel timore che la stessa Sede di Pietro potesse finire sotto le bombe naziste e il Papa venisse deportato nella fatale Germania - il clero di provincia aveva, invece, mano libera nell'esercitare in modo diretto o indiretto una positiva azione a favore dei gruppi partigiani, soprattutto quelli di ispirazione religiosa o liberale.
Il clero apre le porte delle canoniche
Le parrocchie divennero un rifugio per esuli e perseguitati, centri di appoggio della Resistenza in cui si tenevano le riunioni clandestine delle varie espressioni del Comitato di liberazione nazionale, e persino depositi di armi. Scriveva don Andrea Ghetti il quale, insieme a don Aurelio Giussani, era un promotore del gruppo partigiano Oscar: La Resistenza fu per noi un moto dello spirito, un gesto di solidarietà , di ricerca di giustizia nella libertà . Quasi per istinto, i preti, le suore, il laicato cattolico si prodigarono nei soccorsi. Si assistevano gli sbandati, si accompagnavano in Svizzera gli ebrei e i militari alleati che, fatti prigionieri, erano evasi. Si prestava asilo ai ricercati, si riforniva di viveri chi era senza la tessera, si fabbricavano documenti falsi e si diffondeva capillarmente la stampa clandestina antifascista d'ispirazione cattolica.
Giorgio Bocca annota nel suo saggio sull'Italia partigiana: Senza l'aiuto del clero tre quarti della Pianura padana - il Piemonte, la Lombardia, il Veneto - sarebbero rimasti chiusi e difficilmente accessibili alla ribellione antifascista. E così prosegue: La maggioranza è amica, quasi ogni parrocchia è un possibile rifugio, un sicuro recapito.
Sulla base di una stima del leader democristiano Enrico Mattei, redatta in occasione del primo congresso della Dc, le forze messe in campo dai cattolici durante la Resistenza ammontarono a 65 mila uomini suddivisi in 180 brigate. La più attiva di esse era la Brigata del Popolo che agiva prevalentemente in ambito urbano e che svolgeva un importante ruolo nelle azioni logistiche e di sabotaggio a danno dei tedeschi.
Una forte presenza di partigiani bianchi si ebbe anche nel parmense dove su ventidue brigate, più della metà erano costituite da cattolici. Altre formazioni di ispirazione cristiano-liberale erano le Fiamme Verdi, organizzate dal tenente degli alpini Gastone Fianchetti e operanti in Lombardia, Emilia, Veneto e Piemonte. Questa struttura poteva contare su un giornale clandestino, Il Ribelle, che ispirò anche l'omonima e famosa preghiera dovuta alla penna dei partigiani Teresio Olivelli e Carlo Bianchi.
Strage di Porzus e Repubblica Ossolana
Sarebbe impresa ardua ricordare le numerose esperienze della Resistenza cattolica, e pertanto ne citiamo soltanto un paio fra le più significative: quella della divisione Osoppo, che operava nell'udinese, e quella della Repubblica dell'Ossola.
Nel Friuli Venezia Giulia fin dal primo momento la convivenza fra partigiani cattolici (bianchi) e partigiani comunisti (rossi) si rivelò assai ardua, e ciò perché i due gruppi non condividevano né gli stessi ideali né perseguivano i medesimi obiettivi. La situazione si deteriorò ulteriormente quando le divisioni della brigata rossa Garibaldi, per ordine di Togliatti, divennero collaborazioniste delle truppe titine che avevano invaso il territorio italiano per annettere alla Iugoslavia le città dalmato-istriane.
Uno degli episodi più drammatici della conflittualità che intercorreva fra comunisti e cattolici si ebbe fra i boschi di Porzus, nelle vicinanze di Udine. Operava in quest'area una divisione della brigata Osoppo, comandata dal giovane capitano degli alpini Francesco De Gregori - zio dell'omonimo cantautore romano - e dal commissario politico Gastone Valente. Del gruppo faceva parte anche il ventenne Guido Pasolini, fratello dello scrittore Pier Paolo.
Mediante uno stratagemma, il partigiano comunista Mario Toffanin - da tempo legato alle forze iugoslave di Tito - e altri militanti della formazione garibaldina riuscirono a ingannare gli onesti partigiani della Osoppo e, dopo averli lungamente seviziati, li uccisero a tradimento con raffiche di mitra. Ventuno furono le vittime della carneficina.
Nella Val d'Ossola, dopo la liberazione dalle truppe nazi-fasciste, si impose la volontà di un combattivo sacerdote, don Luigi Zoppetti, il quale diede vita a una piccola repubblica indipendente da cui si sarebbe dovuto irradiare in tutta la penisola un moto rivoluzionario e democratico. Accanto a don Zoppetti operò anche l'arciprete don Luigi Pellanda che, grazie a un'efficace mediazione, riuscì a evitare un cruento scontro armato fra i tedeschi che occupavano Domodossola e le truppe partigiane.
La Repubblica dell'Ossola ebbe vita assai breve - dal 10 settembre al 23 ottobre del 1944 - ma, per la sua vicinanza alla Svizzera, ebbe una grande notorietà anche all'estero. Il suo territorio comprendeva trentacinque comuni con oltre ottantamila abitanti, e il capoluogo era Domodossola. A presiedere la giunta governativa fu chiamato il chirurgo Ettore Tibaldi che nel dopoguerra ricoprirà l'incarico di vicepresidente del Senato. Fra i ministri nominati dal Tibaldi merita di essere ricordata Gisella Floreanini, la prima donna italiana a ricoprire un incarico di governo. Si accreditò persino un ambasciatore a Berna, avendo la Comunità elvetica riconosciuto ufficialmente il nuovo Stato autonomo dell'Ossola.
Triste fine di un sogno
L'esperienza indipendentista finiva, tuttavia, tristemente. Da un lato, la scarsità di mezzi impedì all'apparato amministrativo di funzionare nel migliore dei modi, per cui si ebbero continui contrasti nella stessa compagine statale; dall'altro lato, le forze dell'Asse, ancora molto agguerrite, assediarono la Valle dell'Ossola per mano del terribile prefetto di Novara Enrico Vezzalini. L'attacco venne sferrato all'alba del 10 ottobre del 1944, e già alle ore 17,00 una colonna armata fascista guidata da Vezzalini in persona entrava vincitrice in Domodossola. Stando alle critiche lanciate dai partigiani comunisti, che erano stati esclusi dalla gestione della Repubblica ossolana, la colpa della di-sfatta era da imputare alle negligenze di don Zoppetti e di Tibaldi, rifugiatisi in Svizzera per non cadere vittime delle rappresaglie fasciste. Eppure, fra le repubbliche partigiane quella dell'Ossola resta una delle esperienze più stupefacenti e fruttuose in quanto a capacità organizzativa e pacifica dei partigiani bianchi.
La Repubblica dell'Ossola cadeva pochi mesi prima della fine del secondo conflitto mondiale. Nell'aprile del 1945 morivano Hitler e Mussolini. Il primo si toglieva la vita in uno dei tuguri del suo bunker berlinese insieme alla fedele compagna Eva Braun, il secondo veniva fucilato con l'amata Claretta Petacci davanti al cancello arrugginito di una villa di Giulino di Mezzegra nelle vicinanze del lago di Como. L'era dei folli tiranni che avevano sognato di dominare l'Europa (e oltre) si spegneva, ma come un furioso incendio essa lasciava dietro di sé morte e distruzione. Spettava alle giovani generazioni l'arduo compito di ricostruire ciò che era stato spazzato via dalle armi e dall'odio, e restituire nuova speranza a un Paese avvilito e umiliato. Però i semi gettati dalla Resistenza avrebbero favorito la nascita di una rinnovata nazione italiana, repubblicana e democratica.
Il ruolo svolto dai cattolici durante la Resistenza merita di essere sempre più studiato e approfondito per superare giudizi che spesso soggiacciono a una distorta e faziosa lettura storiografica. Particolare attenzione va rivolta all'azione politica di De Gasperi il quale, in forza della sua capacità di mediare fra diverse anime, riuscì a creare un diffuso consenso fra le parti politiche, che nella Costituente collaborarono insieme per scrivere la Carta Costituzionale della nuova Italia.
A differenza di ciò che era avvenuto al termine del Risorgimento, quando i cattolici si erano sdegnosamente astenuti dal partecipare alla vita politica, durante e dopo la Resistenza la fermezza del clero contribuì a trasformare il moto antifascista in una rivolta popolare il cui cuore pulsante era costituito dalle masse contadine da sempre escluse dalla guida del Paese.