Il Brasile è ben altro che Kakà e Ronaldinho
La Legge Costituzionale n. 1 del 23 gennaio 2001, che ha modificato gli articoli 56 e 57 della Costituzione, ha introdotto – com’è noto – il diritto di voto per i cittadini italiani residenti all’estero. I parlamentari eletti nelle circoscrizioni estere (12 deputati e 6 senatori) sono ripartiti in base al numero dei cittadini iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero presenti nelle quattro grandi aree nelle quali è stato suddiviso il globo.
Se da un punto di vista formale questa doppia condizione – la cittadinanza e l’iscrizione all’AIRE – è l’unico modo certo per determinare i cittadini residenti all’estero che possono esercitare il loro diritto di voto, è evidente che tale criterio non è in grado di rappresentare la reale presenza italiana nelle varie aree del mondo.
Un caso emblematico è rappresentato dal Brasile che, sebbene sia il Paese più «italiano» del mondo, a Roma è rappresentato solo da uno dei cinque parlamentari eletti nella Circoscrizione dell’America Meridionale (gli altri quattro sono tutti argentini).
I motivi di tale squilibrio sono molteplici, ma dipendono anche dalla malandata struttura organizzativa dei Consolati italiani in Brasile, se pensiamo che più di 500 mila pratiche per il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis giacciono da anni nei Consolati di Brasilia, San Paolo, Curitiba, Porto Alegre, Rio de Janeiro, Belo Horizonte e Recife. Solo sbrigando queste pratiche pregresse, il Brasile diventerebbe, anche sotto il profilo ufficiale, il maggior Paese italiano del mondo.
Parte proprio da questa considerazione il nostro colloquio con l’onorevole Fabio Porta, l’unico parlamentare chiamato a rappresentare gli italiani del Brasile. Quarantacinque anni, siciliano di Caltagirone, l’onorevole Fabio Porta è arrivato in Parlamento grazie a quasi 17 mila preferenze ottenute nella Circoscrizione estera del Sud America. Laureato in Sociologia a La Sapienza di Roma, dal 1982 al 1986 Porta è stato segretario nazionale dei giovani dell’Azione Cattolica iniziando subito dopo l’attività politica e sindacale nella Uil dove si è occupato, in particolare, di cooperazione internazionale e di assistenza. Il suo interesse per l’America Latina inizia nei primi anni Novanta quando guida un progetto di formazione sindacale promosso dal nostro Ministero degli Esteri. Qualche anno più tardi, si trasferisce definitivamente a San Paolo per dirigere e coordinare una serie di Enti fra i quali il Patronato Ital, la Uim (Unione degli italiani nel mondo), il Caaf (Centro di assistenza fiscale), l’Ong Progetto Sud, e l’Istituto di Formazione Professionale Armando Suffredini.
Meneghini. Onorevole Porta, per smaltire la montagna di pratiche ferme nei Consolati italiani in Brasile (ma la situazione è grave anche in altri Paesi dell’America meridionale), si era parlato dell’invio di una task-force di impiegati amministrativi. A che punto siamo?
Porta. Devo, purtroppo, constatare che l’organizzazione di questa tanto agognata task-force sta andando a rilento. Capisco che dal punto di vista burocratico ci voglia del tempo, perché si tratta di individuare diversi profili professionali, distaccare del personale, assumerne dell’altro a tempo indeterminato, ma siamo già in grave ritardo rispetto a quanto era stato promesso ai nostri connazionali. E adesso ci si mettono anche i pesanti tagli al bilancio del Ministero degli Esteri, che rischiano addirittura di mettere in forse tutta l’operazione.
È pacifico che stiamo, di fatto, negando a centinaia di migliaia di brasiliani d’origine italiana l’esercizio di un sacrosanto diritto sancito dalla legge, e le confesso che trovo questa assurda situazione un po’ strana. Non vorrei che qualcuno temesse che l’Italia possa essere invasa dagli italobrasiliani. Come sociologo, posso tranquillamente affermare che gli oriundi italiani in Brasile rivendicano la cittadinanza per motivi di cuore, di sentimento, di attaccamento alle origini; per una forma di riconoscenza nei confronti dei loro nonni e bisnonni per i quali emigrare rappresentò un enorme, estremo sacrificio.
Decurtare le risorse a disposizione del Ministero degli Esteri significa anche incidere pesantemente sulle nostre rappresentanze consolari e sull’attività degli Istituti Italiani di Cultura che svolgono una fondamentale attività di promozione, non solo culturale, per il nostro Paese. Che cosa ne pensate, al riguardo, voi parlamentari eletti all’estero?
Siamo molto preoccupati. Sia come membro della III Commissione permanente «Affari Esteri e Comunitari» sia come vicepresidente del Comitato Permanente sugli Italiani all’Estero posso dire che il problema è costantemente all’ordine del giorno. In particolare, da un lato mi preoccupano le ridotte risorse che saranno destinate all’assistenzialismo, dall’altro i minori fondi a disposizione per i corsi di lingua italiana, che proprio in Brasile stavano riscuotendo un enorme successo.
Cosa si può fare, allora, per continuare a promuovere il nostro Paese in Brasile e per sfruttare al massimo il rapporto privilegiato che abbiamo con quel Paese?
Credo che ci vorrà molta più fantasia da parte dei nostri operatori culturali. Sia per gestire al meglio le poche risorse economiche che arriveranno da Roma, sia soprattutto per cercare partenariati, collaborazioni e sponsorizzazioni in loco, magari andando a bussare proprio alle tante aziende di successo create dagli emigrati italiani e dai loro discendenti.
Dei 18 parlamentari eletti all’estero, ben 9 – fra i quali lei – appartengono all’opposizione, 7 alla maggioranza e 2 sono indipendenti. Nonostante i diversi orientamenti politici, riuscite comunque a trovare forme di dialogo e di collaborazione, o la netta chiusura che contraddistingue i rapporti fra maggioranza e opposizione, a livello nazionale, si ripercuote anche nella vostra attività?
Sugli argomenti che toccano da vicino le comunità italiane nel mondo, noi parlamentari eletti all’estero riusciamo spesso a mettere da parte le rispettive divergenze partitiche cercando di collaborare fattivamente. Credo che questo atteggiamento sia molto positivo. Certo, i tagli al bilancio sono imposti dall’attuale Governo di centrodestra, ma verosimilmente sarebbero stati adottati anche da un Governo di centrosinistra, vista la congiuntura sfavorevole che tutto il mondo sta affrontando. Credo, allora, che tutti assieme si possa lavorare sia per convincere il Governo a limitarli il più possibile, sia, soprattutto, per incanalarli nella maniera più opportuna.
La vita di un parlamentare eletto all’estero è molto più impegnativa di quella di ogni altro parlamentare. Come sta vivendo questo suo importante incarico?
La mia prima esperienza di parlamentare è entusiasmante, anche se svolta dall’opposizione. Tuttavia, se si vuole svolgere il mandato seriamente, costa molti sacrifici. Nel senso che bisogna stare a Roma per seguire i lavori parlamentari e delle varie Commissioni, ma al tempo stesso è necessario mantenere e incrementare i contatti con il proprio bacino elettorale che, nel mio caso, sta a 11 ore di volo da Roma. Per farle un esempio, sono tornato ieri dal Brasile e, dopodomani, riprendo l’aereo per Rio de Janeiro dove mi aspetta un’importante riunione dei Comites. Le ferie estive? Le ho passate tutte in Sud America, fra una riunione di lavoro e l’altra. Nonostante ciò, sono molto orgoglioso di servire la causa degli italiani all’estero.
In Italia, il Brasile non gode ancora di quella reputazione che meriterebbe. Ne ha avuto sentore anche fra i colleghi parlamentari?
Le racconterò questo simpatico aneddoto. In occasione del mio primo intervento alla Camera, qualche mese fa, ho parlato del Brasile di oggi, mettendo in luce gli aspetti che ne fanno uno dei Paesi emergenti più interessanti, sotto molti punti di vista. Alla fine mi si avvicinano un paio di colleghi chiedendomi notizie di Kakà e di Ronaldinho, gli assi del Milan. Non me la sono presa, ma ho capito che c’è ancora molto lavoro da fare perché l’Italia scopra il vero volto del Brasile che – posso assicurarlo – è molto lontano dall’idea che ne ha l’opinione pubblica italiana.