Il commerciante di schiavi

07 Giugno 2000 | di

Ufficialmente abolito da tempo, il commercio degli schiavi è ancora pratica diffusa in molti paesi. Un giornalista americano ha raccolto sconvolgenti testimonianze nel Sud Sudan, dove è in corso una feroce guerra civile, una pulizia etnica ai danni dei cristiani.

Era una calda giornata di sole nel villaggio di Malual Kon nel Sud Sudan. Il commerciante arabo si copriva la bocca con una sciarpa bianca e nascondeva gli occhi dietro un paio di occhiali scuri per non farsi riconoscere: stava consegnando 231 donne e bambini nelle mani di un discusso «Movimento svizzero per i diritti umani»; se fosse stato scoperto, la sua vita e quella di altri compagni musulmani che vivono nel nord del paese, sarebbero state in pericolo. Il commerciante, che indossava un copricapo bianco per proteggersi dal sole cocente, precedeva di una decina di metri una processione di sofferenza umana. Il primo della fila era un piccolo dinka nudo, sui 4 anni, con la pancia rigonfia. Dietro di lui 230, tra donne e bambini, la maggior parte scalzi e senza camicia. Croci pendevano dal collo di alcuni di loro. Avevano le gambe e i volti coperti di lividi, ferite e bruciature.
Per quanto feriti, affamati e stanchi, questi dinka - noti per la loro pelle nero carbone e l'alta statura - incedevano con la compostezza di una disciplinata classe di scolari. Sembravano ignorare sia me, giornalista americano che prendevo appunti freneticamente, sia il fotografo intento a catturare immagini. Ma quelli non erano scolari, e nemmeno prigionieri di guerra: erano schiavi dei giorni nostri.

Solidarietà  cristiana internazionale (Csi). Ho viaggiato ventidue ore in aereo dagli Stati Uniti per arrivare qui. Nell'ultima frazione di viaggio ho rischiato la vita: un temerario pilota, durante un temporale, per poco non finiva contro le montagne. Ora sono qui, in questa zona di guerra, priva di tutto, per documentare una liberazione di schiavi dell'era moderna.
La Csi, fondata in Svizzera, è da anni impegnata nel riscatto di persone ridotte in schiavitù. Secondo i loro calcoli, con questi, il numero di schiavi da loro liberati raggiungeva le 1400 unità . Però i gruppi di schiavi da liberare anziché diminuire aumentano: da qui l'ambiguità  dell'operazione.
Il governo di Khartoum nega che i prigionieri della guerra tra Nord e Sud siano stati ridotti in schiavitù, anche se il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e un investigatore speciale delle Nazioni Unite hanno verificato il contrario. Inoltre, il governo respinge la tesi che siano stati fatti prigionieri a motivo della loro religione. Di fatto però sono tutti cristiani e animisti del Sud, e sono obbligati a lavorare e a soddisfare sessualmente i loro padroni musulmani del Nord. Il governo giustifica i casi di schiavitù documentati con le usanze di alcune tribù di distruggere periodicamente i villaggi nemici e di fare razzie.
Alcune organizzazioni per i diritti umani non lesinano critiche alla Csi, perché compra (a volte ricompra) gli schiavi che i mediatori arabi acquistano o rubano ai loro proprietari del Nord. L'Unicef, ad esempio, ha definito intollerabile questo tipo di liberazione, perché pagando un prezzo per ogni schiavo liberato, la Csi di fatto ne alimenta il mercato. La soluzione ideale sta nell'eliminare alla radice le cause della guerra civile in corso dal 1956.
Questi discorsi mi sembravano lontani e irrilevanti mentre guardavo quei volti sfregiati e smarriti.

Pagamento e liberazione. Gli schiavi avevano preso posto all'ombra di un fico. Un bambino succhiava dal seno raggrinzito della mamma e una bimba, seduta sulle sue ginocchia, osservava le trattative che avrebbero determinato il suo futuro.
In passato il commerciante aveva ricevuto circa 50 mila sterline sudanesi a persona, l'equivalente di 73 dollari. A volte gli schiavi li rubava o s'accordava con mogli gelose che volevano disfarsi delle concubine. E quanto incassava era tutto guadagnato. Stavolta però - diceva - aveva dovuto comprare legalmente alcuni schiavi e non gli erano costati poco, il suo lavoro poi diventava ogni giorno più pericoloso, ci voleva un aumento.
Il negoziatore della Csi, John Eibner, rifiutò categoricamente: non poteva fare altrimenti, io ero lì a documentare lo scambio e con il mio articolo avrei potuto suffragare le accuse che comprare gli schiavi ne aumenta il mercato. «Se c'è una cosa che non possiamo fare - diceva Eibner - è aumentare il prezzo». Poi, rivolto alle donne e ai bambini: «Ora siete tutti liberi... Ma prima che ve ne andiate, voglio dirvi che ci sono moltissime persone che pregano per voi. Loro credono che Dio sia un Dio di amore e si preoccupa di voi. Per favore pregate per loro e per tutti gli altri che sono ancora in schiavitù».

Una grande beffa? Eibner disse poi che c'era un giornalista americano, che avrebbe potuto porre loro qualche domanda: rispondessero pure. Si trattava di una vera liberazione o era una colossale beffa, una messinscena pubblicitaria per raccogliere fondi? Ero determinato a scoprirlo. Seguito da un traduttore, ho avvicinato un ragazzo dalla faccia tonda e amichevole, Geng Kuack Athiang, 15 anni, e gli ho chiesto di raccontarmi la sua storia. Il suo calvario era cominciato tre anni fa, mi ha detto, quando lui e i suoi amici, mentre giocavano tra gli alberi, avevano sentito il crepitio dei mitra. S'erano dati alla fuga, ma Athiang era finito in mezzo a tre soldati a cavallo: governativi o ribelli? Athiang non lo sapeva. Intanto una dozzina di giovani sopra i 20 anni venivano giustiziati sul posto, un'esecuzione senza motivo e lui ne era stato testimone.
Ma aveva assistito anche ad altre inaudite atrocità . Lo sollecitai a raccontare perché il mondo sapesse. Trasalì nel ricordare: aveva visto bambini di età  inferiore ai cinque anni ammassati come bestie e i soldati con un attrezzo usato per pestare il sorgo spaccavano il loro cranio. Le urla di quei bambini, ha detto il ragazzo, le sentiva ancora nel sonno. Aveva visto altri soldati amputare braccia e gambe di una dozzina di ragazzi. Un soldato aveva ferito al polso Athiang che aveva ancora una vasta cicatrice.
Abusi fisici e sessuali. Athiang era stato fortunato. Fatto schiavo, era stato mandato a pascolare il bestiame. Ma il padrone lo picchiava di rado. E non è stato obbligato a imparare a memoria il Corano e le preghiere islamiche. Gli fu comunque dato un nome islamico, Ahmed Khalil. Da noi cambiare nome non significa nulla, in Africa in vece vuol dire cambiare religione e identità . E questo faceva parte della pulizia etnica, che è alla base della guerra tra Nord e Sud, proclamata guerra santa contro i non musulmani.
Bol Bol Makiew, 13 anni, mi ha detto di non ricordare molto del giorno in cui è stato catturato, ma ricordava il suo padrone, Mohammed. Non sapeva se i suoi genitori fossero ancora vivi, riteneva di essere nato a Bunkor, a due chilometri circa da dove ci trovavamo. Quando gli ho chiesto se era cristiano, Makiew si è fatto il segno della croce: l'aveva imparato prima di venir catturato. «Mio padre era cristiano - disse - , mia madre anche, dunque lo sono anch'io».
Anche per Achol Deng Ngong, 30 anni, il cristianesimo è parte della sua identità , identità  che i suoi carcerieri avevano tentato di cancellare. Un giorno venne ferita a una spalla dal padrone perché aveva respinto le sue avances sessuali.

Sono cambiate le cose? Questa liberazione di schiavi ha posto fine alla guerra civile? Ha eliminato le cause di uno dei conflitti più lunghi, brutali e tollerati del mondo? Certo che no. Ha contribuito in modo significativo ad accrescere il fiorente mercato di schiavi? La Csi ha detto di no. È difficile comunque anche affermare il contrario. Ma le storie raccontatemi erano troppo dettagliate per essere state inventate. Si inseriscono tutte nella stessa cornice, senza apparenti contraddizioni. Io ci credo. Un'orrenda schiavitù esiste ancora nel nostro pianeta, decenni dopo che gli abolizionisti avevano pensato di aver arrestato il fenomeno...
Ciò che ho visto in quella calda giornata in Sudan non ha posto fine alla guerra, ma ha segnato qualcosa per 231 ex schiavi, la maggior parte cristiani perseguitati che, come la pecorella del Vangelo, erano persi e sono stati ritrovati

   
       
GUERRA SANTA                  

C' è chi sottovaluta la componente religiosa nella guerra in Sudan tra Nord e Sud.
Nel 1983 il governo arabo del Nord ha imposto la legge islamica all'intero paese, cristiani neri e non, musulmani del Sud compresi. Nel 1989, il Fronte nazionalista islamico, di posizioni radicali e integraliste, ha conquistato il potere con un colpo di stato e nel 1992 ha emanato il fatwa, un decreto religioso che dava giustificazione teologica allo sterminio dei non musulmani.
Il conflitto tra la maggioranza musulmana e araba del Nord e i cristiani e gli animisti, neri, del Sud è stato proclamato jihad, «guerra santa». Gli studiosi islamici, fuori dal Sudan, sottolineano che il governo ha       travisato il significato della jihad, che sarebbe da intendersi come lotta contro il male. Ma è innegabile che la religione è stata invocata per eliminare i cristiani.
Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017