Il custode del tesoro
Fra Daniele siede dietro un grande tavolo ingombro di fascicoli colorati, sul quale piove, riflessa, la luce di tre grandi nicchie illuminate. Siamo nella Cappella delle Reliquie dove fanno bella mostra di sé i «pezzi» più pregiati del «tesoro del Santo»: vasi sacri, ex-voto donati alla Basilica nel corso dei secoli da illustri personaggi, e reliquie di varia provenienza, tra le quali spiccano la lingua incorrotta, il mento e l’apparato vocale di sant’Antonio, custoditi in reliquiari di metallo prezioso finemente lavorati, capolavori dell’arte orafa di ogni tempo. Mente lucida e memoria tenace, fra Daniele racconta, con voce sommessa ma sicura, di sé e del suo lavoro, mentre i pellegrini con gli occhi dilatati dalla meraviglia per quanto ammirato, sfilano davanti al tavolo, fermandosi per prendere un dépliant o per attendere risposta alle loro domande, cui gentilmente il frate risponde.
Tutto questo sotto gli occhi immobili di splendide statue scolpite da Filippo Parodi, issate sulla balaustrata di marmo che fronteggia le nicchie, e degli angeli svolazzanti che fanno cornice a un sant’Antonio rapito nell’estasi della gloria celeste.
Tutto normale, se non fosse che a pesare sulle spalle un po’ curve di fra Daniele ci sono ormai novant’anni, undici dei quali, gli ultimi (per ora), trascorsi qui, a «custodire» uno dei luoghi più preziosi – per l’arte e la devozione – della Basilica. La Cappella delle Reliquie, capolavoro dell’architettura barocca, è stata realizzata nell’ultima decade del Seicento da Filippo Parodi, allievo del Bernini, proprio per raccogliere in un solo sito le reliquie di sant’Antonio e altre importanti testimonianze della devozione antoniana, che prima erano collocate qua e là nel santuario.
Di tale meraviglia, fra Daniele Ceccon, padovano di Massanzago, non distante da Camposampiero, è il «custode». Da non intendersi alla lettera, perché sul «tesoro» oggi vigilano moderni sistemi di allarme, mentre un tempo, prima che la «mala del Brenta» di Felice Maniero osasse l’inosabile trafugando (ottobre 1991) la reliquia del mento del Santo, vegliavano la devozione e il rispetto. Racconta il custode: «Dopo essere stato in diversi conventi, sono ritornato alla Casa-madre, a concludere il mio cammino terreno e raggiungere la casa del Padre».
Tra le varie destinazioni, c’è anche un anno, agli inizi della sua esperienza religiosa, al «Messaggero di sant’Antonio», del quale era direttore padre Placido Cortese, il frate poi massacrato dalle SS, reo di avere nascosto e aiutato a fuggire ebrei e perseguitati politici. Di padre Placido, martire della carità, è in corso la causa di beatificazione, nella quale fra Daniele è stato sentito come testimone. «Le successive destinazioni – ricorda ancora – sono state la parrocchia di Sabaudia, nell’Agro Pontino da poco sottratto ai miasmi delle paludi: un’esperienza importante, segnata nei primi anni dalla guerra, che ci ha costretto a rifugiarci per otto mesi in montagna; Elizondo, in Spagna, dove sono stato rettore di un seminario di aspiranti alla vita religiosa; il Villaggio sant’Antonio di Noventa Padovana; la parrocchia a Catanzaro e, infine, la Basilica del Santo». Ora il suo compito è di essere a disposizione dei pellegrini che vengono a pregare sulla tomba del Santo, per rispondere alle loro richieste e ascoltare le loro confidenze.
«In verità – osserva fra Daniele – quando giungono qui sono già stati alla tomba del Santo, dove hanno dato pieno slancio alla loro devozione. Se si fermano, è per saperne di più sulla vita di Antonio, sul mistero della sua lingua incorrotta, sui reperti della ricognizione del 1981 della tomba, qui collocati. Cerco di soddisfare le loro richieste, nei limiti delle mie conoscenze. Passano anche molte scolaresche, alcune in bell’ordine e preparate, altre chiassose e svagate. Mi sorprende spesso “l’ignoranza” di tanti, che mi chiedono di spiegare loro il significato di parole non rarissime, lette sulle targhette che illustrano la natura degli oggetti, come “spoglie”, riferito ai resti mortali del Santo: “guanciale”, cioè cuscino, che per Antonio era il sasso esposto in una delle nicchie; “cilicio”, una cordicella con tanti nodi, che i santi stringevano ai fianchi per far penitenza. E altro ancora, che la dice lunga sulle loro lacune».
Il grido del bambino
Le domande a volte richiamano altri contesti, che fra Daniele mi illustra con un ricordo fresco di giornata.
«Proprio stamattina due giovani, preso al volo un paio di fascicoli, si sono allontanati, ma uno è subito ritornato per dirmi: “Preghi per me. Ne ho bisogno. Sto aiutando alcuni amici, che non credono in niente, a ritrovare Colui che può dare senso e pienezza alla loro vita”. Richiesta non nuova, in verità: altri, e in tempi diversi, me l’avevano rivolta, confermando la certezza che non tutti i giovani sono perduti nell’apatia».
Più spesso sono i problemi della vita a indurre la gente a chiedere l’aiuto del Santo, e ai suoi confratelli una parola di conforto e di speranza. I casi sono infiniti, provocati dalla fatica di vivere, dalla malattia, ma anche dalla perdita di riferimenti e valori, che crea vuoti spaventosi nel cuore e nella mente. Ma a fra Daniele piace ricordare una domenica davvero particolare: «Quel giorno ben tre giovani, e la mamma di un altro, mi hanno avvicinato per confidarmi di essere stati abbandonati dalla fidanzata, così, di punto in bianco, senza un motivo, dopo tanti progetti fatti insieme. Avevo un bel dire che è meglio succeda prima che dopo il matrimonio. Il dolore era forte, lacerante. Non restava che confidare nell’aiuto di Dio e… nel tempo, che è quasi sempre una benefica medicina. Non posso dimenticare, però, un’altra domenica, con la Basilica colma di gente per la messa. In una pausa del rito, la voce disperata di un ragazzino lacera il silenzio: “I miei genitori si vogliono separare, io non voglio, io non voglio…”. E il piccolo guardava me, come se io potessi fare il miracolo. Quel grido mi ferì il cuore, insieme alla mia impotenza. Pregai sant’Antonio che provvedesse lui, esperto in casi impossibili».
È ancora vivo il ricordo dell’esposizione dei resti mortali di sant’Antonio, nel febbraio dello scorso anno, avvenuta proprio qui, sotto la cupola della cappella barocca. Ma l’evento, dice fra Daniele, non gli ha offerto incontri significativi. La necessità di consentire a tutti – ed erano decine di migliaia – di vedere il Santo, ha imposto soste di pochi attimi. È stata però una testimonianza formidabile di quanto sia ancora viva la devozione ad Antonio, che ha fedeli anche tra i non cristiani. Racconta fra Daniele: «Qualche giorno fa è passato un gruppo di pellegrini di Hong Kong. Erano felicissimi di trovarsi alla sorgente di una devozione che tanto li coinvolgeva e che ha testimonianze significative pure nella loro regione, dove c’è una chiesa dedicata a sant’Antonio, frequentatissima anche da fedeli non cristiani, inspiegabilmente affascinati da un santo la cui memoria non conosce l’usura del tempo e i limiti dello spazio».
Appuntamenti in basilica
La Settimana Santa
Lunedì, martedì e mercoledì, al termine della Santa Messa delle ore 17.00, è prevista la preghiera dell’adorazione eucaristica;
giovedì 21 la Santa Messa in coena Domini e il rito della lavanda dei piedi, alle ore 18.00, saranno presieduti da padre Gianni Cappelletto, ministro provinciale della Provincia patavina;
la liturgia del venerdì santo sarà presieduta, alle ore 18.00, da padre Giorgio Laggioni, vicario della fraternità del Santo;
la Veglia pasquale del sabato santo, celebrata dal rettore padre Enzo Poiana, avrà inizio alle ore 21.00;
nel giorno di Pasqua le Eucaristie solenni delle ore 11.00 – celebra padre Gianni Cappelletto – e delle ore 17.00 saranno animate dalla Cappella musicale del Santo.