Il deposito dei talenti

Esistono banche speciali dove non si scambiano soldi né merci, ma tempo, servizi, relazioni tra le persone. Sono le 250 Banche del tempo, nate in Italia dal 1991, oggi riunite in un’Associazione nazionale.
24 Maggio 2010 | di

In comune mettono quello che per molti è il bene più prezioso: il tempo. Perché in banca depositano le ore di cucito e cucina, computer e medicina, falegnameria e pianoforte, lingue e hobbies. Chi ha bisogno di essere accompagnato a sostenere un esame medico, per esempio, può mettere a disposizione la sua competenza da commercialista; chi conosce le lingue e ha bisogno di un idraulico «deposita» la sua ora di inglese allo sportello insieme alla richiesta di servizio, e sa che prima o poi il rubinetto sarà riparato e la lezione di inglese verrà svolta. Insomma, nelle banche del tempo trovi un mondo fatto di persone che alla logica del mercato hanno sostituito, almeno per certi aspetti della loro vita, quella antica del baratto. Dove scambi ciò che hai e le competenze che hai acquisito alla scuola dei libri e a quella della vita.


La prima Banca del tempo, per esempio, è stata creata a Parma, nel 1991 a opera della segreteria della Uil pensionati, con l’idea di venire incontro da una parte agli anziani e ai pensionati, che avevano una grande quantità di tempo, e dall’altra alle mamme lavoratrici.

Nel giugno del 1995, è partita la progettazione e la sperimentazione della Banca del tempo di Ivrea (TO), grazie a dieci esponenti del Centro Lilith-Casa delle donne. Per il primo anno di attività la Banca è stata aperta solo alle donne. Contemporaneamente si veniva organizzando la Banca del tempo di Santarcangelo di Romagna (RN), per iniziativa della presidente della Commissione pari opportunità del Comune, nonché del sindaco della città. Una realtà che fin dall’inizio è stata caratterizzata dalla forte presenza femminile e da un’età media abbastanza elevata, anche se − come fanno osservare dalla stessa associazione nazionale − da un po’ di tempo va registrata una maggiore presenza maschile e l’interesse da parte dei giovani.


Un circolo virtuoso

Due i segnali che rivelano l’interesse dei giovani: la nascita di alcune banche del tempo nelle Università – punto di riferimento importante soprattutto per gli studenti fuori sede – e la richiesta di poter svolgere il periodo di servizio civile presso una Banca del tempo, inseriti dunque in una realtà in cui le persone diventano attive rispetto al territorio e alla propria vita. Giovani che chiedono di entrare non solo in contatto con i coetanei ma anche con fasce generazionali diverse.

Va comunque sottolineato che gli scambi non avvengono soltanto tra persone, ma pure all’interno delle associazioni e con le istituzioni, municipi, comuni, cosa che contribuisce a rendere il territorio più ricco. Se all’inizio l’attenzione delle amministrazioni era stata forte, negli anni questa è scemata per poi riprendere con la nascita della Rete delle amministrazioni amiche, le quali, in concreto, puntano a intrecciare le competenze di più soggetti che vivono sul territorio per fare scelte che migliorino la qualità della vita. La Rete si è costituita nel 2008 e comprende piccole e grandi realtà come Torino e il Piemonte, la provincia di Roma e la Regione Lazio, ma anche la Puglia.

Le Banche, gestite spesso da associazioni di volontari, sono però una cosa diversa dal volontariato, poiché il criterio che anima l’iniziativa non è il volontariato ma la reciprocità. Chi si iscrive alla Banca del tempo, se riceve, deve dare e viceversa.

Per capire come funziona in concreto una Banca del tempo, si può citare l’esperienza «Tempo prezioso», nata a Palermo nel febbraio 2009 e raccontata dall’agenzia «Redattore sociale», che all’argomento in generale ha dedicato numerosi lanci. A Palermo oggi gli associati sono 120, e hanno dai 17 agli 83 anni. Il 60 per cento sono pensionati, due su tre sono donne, ma ci sono anche giovani impiegati e studenti delle scuole superiori. Tra gli associati anche un non vedente e una decina di persone con problemi di salute che offrono il loro servizio di intrattenimento telefonico. Il lavoro della Banca, secondo il fondatore, Enzo Molinelli «consiste nella triplice azione del dare, ricevere, ricambiare. Ci sono molte persone che hanno tempo a disposizione, non sanno come utilizzarlo e cercano i canali giusti per farlo. Il bisogno di mettersi in relazione con qualcuno a cui potere donare parte del nostro tempo è sempre più sentito e forte a Palermo. A iscriversi sono anche coloro che fanno parte di altre associazioni».

A ogni iscritto vengono dati un tesserino e un libretto degli «assegni-tempo». Dal momento in cui la persona ha offerto il suo tempo scatta il debito/credito con la banca. Tra gli associati emergono le esigenze più varie: da una consulenza automobilistica in seguito a un incidente stradale al bisogno di scambiare qualche parola con qualcuno. Tra i servizi che vengono messi a disposizione ci sono ore gratuite di lingua italiana e lingue straniere, lezioni di cucina, riparazioni di elettrodomestici, consulenze automobilistiche, organizzazioni di feste per bambini, lezioni di lavoro a maglia, taglio e cucito, servizio di babysitter, dog/cat sitter. Tra le richieste è ricorrente quella di essere accompagnati con la macchina in alcuni centri per esami medici o in uffici pubblici ma, su tutti, prevale il bisogno di avere una compagnia, soprattutto per molte persone anziane.


L’interesse delle amministrazioni


La realtà della Banca del tempo non è solo italiana, dunque, anche se varia da Paese a Paese e spesso anche all’interno dello stesso Paese. Quelle inglesi, per esempio, nate nel periodo della Thatcher, calcolano lo scambio di merci oltre che di tempo, anche se si stanno evolvendo sul modello italiano nello scambio di tempo paritario. Quelle spagnole sono nate direttamente sull’esempio di quelle italiane. In alcuni casi il tipo di scambio è calcolato in base alla valutazione dell’attività sul mercato: se considero che una lezione di computer costa quindici euro, la trasformo in ore e su questa base procedo allo scambio. Un computo che in Italia non si fa, visto che l’ora è considerata uguale per tutte le attività.

Comunque, al di là delle differenze, l’iniziativa sembra avere successo a ogni latitudine. La spiegazione va cercata forse più in profondità, oltre l’utilità: è in fondo una vittoria sulla fretta che non lascia assaporare il tempo, è la trasformazione del Kronos (il tempo dell’orologio) che coviamo dentro di noi – il mostro che la mitologia greca rappresenta come un padre che divora i figli –, in Kairos, il momento giusto, opportuno, quello che viene definito «il tempo di Dio».


L’intervista

L’identità del dare e del ricevere



Ha sempre lavorato nel sociale. Da quando, giovane maestra, a Roma, ha chiesto di andare a insegnare al Laurentino ‘38, quartiere allora in embrione dove arrivava l’umanità difficile delle periferie. «L’idea di costruire una scuola che fosse protagonista della vita del quartiere mi ha sempre attirato». E così, una volta andata in pensione, Maria Luisa Petrucci si è lanciata in un’avventura diversa, ma animata dagli stessi ideali, l’Associazione nazionale delle Banche del tempo, che presiede sin dalla costituzione, nel 2007.

Msa. Oggi registrate circa 15 mila soci e 250 realtà. Come sono cambiate le Banche del tempo in questi anni?

Petrucci. La Banca del tempo è un’espressione di quello che avviene nei territori e dei rapporti tra le persone. Quindi sono certamente cambiate rispetto alla loro nascita, ma le due principali caratteristiche – lo scambio del tempo paritario e la reciprocità – restano immutate. Oggi si è fatta più forte l’esigenza di lavorare, oltre che con i cittadini, anche con le amministrazioni, per essere uno dei soggetti da valorizzare per un welfare di comunità. Abbiamo visto che nei momenti di crisi ci si avvicina alla Banca maggiormente per usufruire dei servizi, anche se rimane forte come connotazione la voglia di conoscere nuove persone.

Cosa rappresenta l’esperienza della Banca del tempo da un punto di vista economico?

A Roma nel 2009 sono state scambiate 115 mila ore. Se valutiamo ogni ora almeno 12 euro capiamo che il valore economico è molto rilevante per qualsiasi amministrazione. Questo aspetto è più evidente nella crisi attuale: le persone che non possono pagarsi un corso di computer o di lingua o semplicemente hanno bisogno di fare l’orlo ai pantaloni si avvicinano alla Banca del tempo. Sono piccoli aiuti alle famiglie che nessuna amministrazione locale può dare.

E sotto il profilo culturale che cosa ci dice oggi questa esperienza?

Esprime la possibilità di un’economia alternativa. Non considerando il valore di mercato di ciò che si scambia, diamo importanza alla persona: da chi aiuta a mettere in ordine l’armadio a chi fa una lezione di pianoforte. Il valore sociale è elevato, perché entra in gioco il riconoscimento dell’altra persona. Inoltre quando scambi ti devi fidare, devi entrare in relazione con l’altro. E questo oggi è importante, in un momento di forte individualismo, in cui sembrano meno sentiti certi valori come la solidarietà e il rispetto, l’accettazione dell’altro senza paure. Lo dico anche in riferimento al fenomeno dell’immigrazione.
La Banca è fuori dalla logica dei partiti, anche se fa politica perché è attenta alla qualità della vita e quindi fa delle scelte ben precise. Inoltre pensiamo che tutte le persone abbiano dei bisogni e, contemporaneamente, qualcosa da dare. Dopo la legge Basaglia, le Banche del tempo sono andate nei centri di salute mentale, con i quali stanno continuando a collaborare, e questo è stato molto importante per noi e per gli utenti. Da un punto di vista culturale, il valore principale della Banca del tempo è la possibilità di trasmettersi storie, di conoscersi al di là della cosa scambiata. Penso per esempio alle ore di cucina, in cui la persona mette un pezzo di sé, il suo hobby e mentre dà una ricetta della nonna racconta qualcosa della sua vita. E poi è interessante anche per l’aspetto psicologico.

In che senso è interessante da un punto di vista psicologico?

Perché non è semplice entrare nella logica dello scambio. Per esempio noi donne siamo abituate sempre a dare. In famiglia non c’è quasi mai nessuno che ci dica: «Questa cosa è fatta bene» e noi stesse non ci valorizziamo. Quando alla Banca del tempo qualcuno si complimenta per come cuciniamo, si attiva un’autostima, una promozione del sé alimentata dal clima che si respira, in cui nessuno si sente in obbligo con l’altro. Se qualcuno mi dà qualcosa, io farò altrettanto con gli altri. Si costruisce un’identità che deriva dalla Banca del tempo.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017