Il dialogo, una necessità
Il nostro Novecento è stato un secolo paradossale: allo stesso tempo è stato il secolo del dialogo e quello di grandi crisi di convivenza tra gente di religione diversa, tra cristiani e musulmani, tra ebrei e cristiani, tra musulmani e induisti e via dicendo. È il secolo del dialogo e dell' incomprensione, quello del dialogo e del divorzio tra genti differenti.
Il secolo del divorzio
Il Novecento ha registrato tante crisi di coabitazione tra popoli di culture e religioni diverse. Erano situazioni che duravano da molti secoli e sembravano consolidate attraverso un ricco vissuto e tante istituzioni. Il nostro secolo si conclude con la diffusa convinzione che la convivenza tra genti diverse non sia facile o addirittura sia impossibile.
Bisogna ammettere che lungo il Novecento sono crollate tante situazioni di convivenza interreligiosa, consolidate da secoli. Istanbul della fine dell' Ottocento, con quasi un milione di abitanti, contava musulmani e cristiani nella stessa percentuale, pur essendo la capitale del più grande stato musulmano del mondo e la sede del califfato. Oggi la grande Istanbul di più di sette milioni di abitanti, alla cui testa è stato eletto un sindaco islamista, conta qualche decina di migliaia di non musulmani. La presenza greca è quasi scomparsa. Il Novecento segna la fine delle comunità cristiane in Turchia: nel 1914 su 16 milioni di abitanti c' erano più di tre milioni di non musulmani (di cui 128 mila ebrei), nel 1991 su 57 milioni di turchi ci sono 145 mila non musulmani (di cui 20 mila ebrei). La proporzione dei non musulmani (quindi dei cristiani) è crollata dal 19,1 per cento allo 0,2 per cento.
Non si può dimenticare come in questa regione per quattro secoli si è intessuta una coabitazione islamo-cristiana, che ha conosciuto un sistema giuridico che garantiva ai non musulmani un' autonomia in tempi in cui i non cristiani facevano una vita difficile in Europa.
La storia novecentesca della Turchia mostra che l' eliminazione delle minoranze non avviene per l' islamizzazione dello Stato. È innanzi tutto il nazionalismo che mette in crisi la coabitazione tra gente di religione diversa, perché la religione diviene un elemento di identificazione dell' identità nazionale. Così avviene nella Turchia del Novecento. Questa è ancora oggi la storia dei Balcani, dove na-zione e religione finiscono per coincidere.
Una situazione analoga e differente allo stesso tempo si verifica in Palestina con la nascita e l' espansione dello stato d' Israele, dove due progetti nazionali si scontrano. D' altra parte, dopo la seconda guerra mondiale, le comunità ebraiche nei vari paesi arabi lasciano quelle terre che le avevano accolte spesso in fuga dall' Europa, sotto la pressione di un risorgente antisemitismo. Finisce un simbiosi arabo-ebraica, durata per secoli.
Un problema mondiale
Il divorzio tra gente che ha vissuto insieme da secoli e la ricerca di situazioni culturalmente e religiosamente più omogenee è un problema mondiale. Emblematica la storia dell' indipendenza dell' India che ha portato alla separazione di due mondi che avevano vissuto insieme anche da prima del dominio britannico. Con la nascita del Pakistan nel 1947, i musulmani si separano dagli indiani. La divisione costa dieci milioni di rifugiati e un milione di morti, assumendo l' aspetto di un tragico esodo. Quasi due terzi dei musulmani lasciano l' India, che pure resta ancora un mosaico di genti e religioni diverse. La tensione coinvolge pure la comunità sikh sino a giungere al conflitto armato degli anni Ottanta, con l' intervento sanguinoso nel tempio d' oro di Amritsar, l' assassinio di Indira Gandhi, e un numero complessivo di circa 20 mila morti.
Il mahatma Gandhi rifiuta la divisione dell' India e viene ucciso da un fanatico indù, dopo aver iniziato il «digiuno fino alla morte» per la pacificazione tra indù e musulmani.
Per lui la separazione del Pakistan e i conflitti interreligiosi sono il «buio assoluto». Nel crogiolo del dramma indiano della prima metà del Novecento si matura il messaggio di pace e dialogo interreligioso del mahatma, che era entrato a contatto con i cristiani (in particolare Tolstoj, di cui apprezzava la sottolineatura dell' amore nel cristianesimo), con l' islam (faceva recitare preghiere musulmane e leggere il Corano). Gandhi, maestro dell'ahimsa, la non violenza e l' amore, vede connesso il dialogo interreligioso alla pace. Egli sostiene, in base a un discorso religioso, l' uguaglianza degli uomini al di là della loro nascita e della loro appartenenza castale.
Il secolo del dialogo
D' altra parte, il nostro è il secolo che, nella storia del cristianesimo, ha registrato l' avanzamento più profondo sulla via del dialogo tra le chiese cristiane e le grandi religioni mondiali, tanto che può essere considerato il secolo del dialogo. La Nostra Aetate, la dichiarazione sul dialogo con le religioni non cristiane approvata dal Concilio Vaticano II, è divenuto il programma delle chiese cattoliche a stretto contatto con le religioni non cristiane e di tutta la Chiesa. Del resto non pochi papi del Novecento - in maniera diversa - hanno sentito il problema del rapporto con le religioni non cristiane. Lo stesso Pio XI (1922-1937) mostrò una sensibilità alle culture «altre» dal cristianesimo. Lui stesso affermò, rispetto all' antisemitismo, il senso di una comune filiazione, «noi siamo spiritualmente semiti».
Giovanni XXIII è stato l' unico papa che ha conosciuto a lungo e da vicino il mondo islamico, per il suo pluriennale soggiorno in Turchia, per i suoi viaggi in Medio Oriente e in Algeria. Per lui l' islam era un «mistero», come annota. Nel suo discorso ad Algeri, nel 1950, si rivolge a musulmani ed ebrei, evocando la comune filiazione abramitica: «Amo contemplarli tutti nella luce di Abramo, il grande patriarca di tutti i credenti».
Paolo VI dette un impulso notevole al dialogo, dopo il Concilio, in particolare con l' opera del Segretariato per i non cristiani, con il cardinale Pignedoli e monsignor Rossano. Questo papa ha dato un fondamentale contributo anche teorico alla collocazione del dialogo interreligioso nella vita della Chiesa.
Infine Giovanni Paolo II ha fatto del dialogo interreligioso una parte fondamentale della missione della Chiesa: basterebbe ricordare la storica giornata di Assisi nel 1986, o il suo discorso durante il viaggio in Marocco, o le sue parole, durante il viaggio in India, sulla figura di Gandhi. Il Novecento, in particolare la seconda metà , è stato quindi il secolo del dialogo. Il dialogo è divenuto, nella coscienza dei credenti, una dimensione sempre più importante del vivere cristiano. Non si tratta solamente del dialogo con i mondi religiosi, ma di una dimensione dell' incontro con l' altro. Il dialogo non è solo quello delle commissioni ufficiali, ma è anche il colloquio della vita tra gente che appartiene a mondi religiosi differenti. Questo «colloquio della vita» richiama il fondamentale comandamento evangelico dell' amore.
La convivenza
Tuttavia, di fronte al decomporsi di tante situazione di convivenza, il pessimismo su una possibile vita in comune trova tanti motivi. In questa stagione non pochi entusiasti del dialogo conoscono la delusione. Si fa notare, talvolta, come il dialogo sia un fatto troppo univoco e come non si riscontri un atteggiamento positivo dall' altra parte. Gli anni Ottanta e Novanta hanno segnato una forte ripresa di senso identitario da parte di altri mondi religiosi che talvolta rasenta il fondamentalismo. Come dialogare? Quali risultati ha il dialogo? Gli interrogativi e le incertezze si addensano. Ma la scelta del dialogo per la Chiesa cattolica non è una scelta congiunturale o tattica; è un modo di vivere la propria missione in mezzo alle genti. È un modo di essere della Chiesa nel mondo contemporaneo, nei quadri di una convivenza molteplice (che non è solo ereditata dal passato ma sarà quella di domani in modi diversi), sulle frontiere di un mondo globalizzato. Infatti la globalizzazione porta, almeno in modo virtuale, a vivere più da vicino con altri mondi culturali e religiosi. La scelta del dialogo interreligioso non può essere valutata solo alla luce della breve esperienza di qualche decennio dopo il Vaticano II. Anche se indubbiamente le difficoltà non mancano.
La condizione dei cristiani, anche laddove costituiscono più consistenti comunità , è ormai quella di vivere in un mondo pluralista da un punto di vista religioso. Questo pluralismo è anche il portato della globalizzazione e delle comunicazioni del mondo contemporaneo. Il dialogo interreligioso è prima di tutto una sfida interiore e spirituale alle chiese e ai cristiani stessi. Ci sono difficoltà al dialogo che vengono dall' interno della vita cristiana e del suo modo di viverla, non solo dai rapporti con gli altri mondi religiosi. Il dialogo non è facile cedimento al relativismo del nostro tempo o un' indulgenza a una specie di religione minimale che contenga frammenti di tutte le tradizioni religiose. Non sarebbe rispettoso non solo della fede cristiana ma anche - vorrei dire - di tutti i credenti. Per il cristiano, la vita in un mondo di convivenza interreligiosa richiede un' identità radicata e comunicativa.
Talvolta le resistenze cristiane al dialogo non vengono solo dalle difficoltà esterne a praticarlo, ma dalla fatica di interiorizzare il messaggio cristiano e dalla superficiale assimilazione del Vangelo, mentre si affida la propria identità solo alla ripetizioni di quadri di appartenenza etnici, sociologici o tradizionali. Questi quadri sono messi fortemente in discussione (e lo saranno sempre più) dalla realtà del mondo contemporaneo, dalla secolarizzazione e dalla globalizzazione.
Assisi 1986
Profondamente convinto della necessità del dialogo e della pace, nell' ottobre del 1986, Giovanni Paolo II invitò a Assisi i rappresentanti delle chiese cristiane e delle grandi religioni mondiali per pregare insieme per la pace. Il papa fece anche una proposta: in quel giorno avrebbero dovuto tacere tutte le armi nei paesi in guerra. Il 27 ottobre del 1986 fu effettivamente un giorno di tregua in tutto il mondo. L' incontro di Assisi avvenne quando lo scenario internazionale era ancora diviso in blocchi contrapposti, segnato dal clima della guerra fredda.
Ci si chiese se quella preghiera per la pace nella città di san Francesco rappresentasse una celebrazione in più o fosse un gesto per consolare gli uomini di religione dall' impotenza di fronte al difficile scenario internazionale? C' era chi vedeva in quell' incontro il rischio di tentazioni sincretistiche o la ricerca di confuse unificazioni. Affiorò pure la volontà di relativizzare l' importanza di quell' evento, vedendovi soltanto un' occasione celebrativa attorno al papa. Tuttavia l' invito a pregare gli uni accanto agli altri, nel rispetto delle diversità , nasceva invece dalla convinzione che la fede religiosa può sprigionare grandi energie di pace. A partire dalla «forza debole» della fede, l' incontro fraterno tra uomini di religioni diverse faceva emergere dal profondo di ogni tradizione religiosa il valore della pace.
Si venne così a creare un incrocio decisivo tra due percorsi paralleli: quello del dialogo interreligioso e quello dell' impegno dei credenti per la pace.
Oggi, forse più che in passato, si comprende come Assisi sia stato il frutto di tutta una stagione di dialogo interreligioso. Quel dialogo, iniziato negli anni oscuri del secondo conflitto mondiale e maturato nell' orrore per la guerra e per la Shoah, ha avvicinato i credenti, li ha fatti incontrare e parlare come non era mai avvenuto. Assisi è stato, dunque, il punto di convergenza di tanti percorsi di dialogo, ma anche un punto di arrivo rispetto alla dichiarazione conciliare Nostra Aetate, anzi ne rappresenta una ricezione creativa. In un clima di fraternità e di preghiera, ben diverso da quello delle controversie politiche e religiose, la preghiera mondiale per la pace ha rilanciato l' impegno nel dialogo e ha aperto una rinnovata stagione di solidarietà tra popoli e culture diverse. Da Assisi, dunque, è scaturita una prospettiva nuova e creativa, che ha immesso linfa vitale nel ceppo del dialogo interreligioso.
Ma la preghiera mondiale per la pace di Assisi apriva un itinerario che andava proseguito. L' idea di continuare il cammino iniziato fu della Comunità di Sant Egidio che l' anno successivo a quell' incontro decise di riunire a Ro-ma i rappresentanti delle diverse tradizioni religiose. Nacquero in questo modo i meetings internazionali dell' associazione «Uomini e Religioni», che sono giunti quest' anno alla loro tredicesima edizione che ha avuto luogo a Lisbona. Il percorso di questi incontri è ormai lungo e, dal 1987 a oggi, ha toccato diverse città italiane ed europee.
In questo tempo di globalizzazione, nascono nuovi fondamentalismi in cui mondi disorientati cercano rifugio. Non si tratta solo di fondamentalismi religiosi, ma anche etnici e nazionalisti. Tuttavia essi tentano una cattura della religione al fine di fondare con più forza la loro visione conflittuale del mondo. Anche per gli uomini religiosi si tratta spesso di un' attrazione fatale. Il messaggio di pace e dialogo di Assisi, all' alba di una nuova stagione della storia, ha avvertito questo pericolo e ha indicato una via diversa. Questo messaggio viene da una Chiesa, quella cattolica, che non ha rinunciato a comunicare il Vangelo al mondo. Anzi questo senso di responsabilità la rende capace di uno sguardo ampio, rivolto a tutti i popoli e a tutti i mondi religios
«La vera conoscenza della religione abbatte le barriere tra fede e fede. Coltivare la tolleranza per le altre fedi ci dà una più vera conoscenza della nostra». (Gandhi)
Il mahatma Gandhi si era opposto alla divisione dell' India in nome della convivenza, per questo è stato ucciso.
LE RELIGIONI, FONTI DI CONFLITTO O DI PACE?
L e religioni hanno la capacità e il dovere di costruire una pace vera. È il pensiero di Giuseppe Goisis, docente di Filoso-fia politica all' università di Venezia, intervenuto al convegno organizzato, lo scorso settembre, dall' Istituto «Niccolò Rezzara» sul tema: «Religioni fonti di conflitto e di pace» Msa. La fede acceca o migliora la comprensione degli eventi?Goisis. Io trovo che ci aiuti a capire meglio la realtà , che sia principio di illuminazione nei riguardi della storia. La paura dell' altro nasce dagli stereotipi, dalle incomprensioni, dall' ignoranza premeditata, dalla pigrizia. Ma si radica se manca la speranza nella vita. Una persona che ha una visione brutale del realismo e non il realismo della speranza, è portata a vedere nell' altro una minaccia e non un' integrazione della sua persona. L' altro va inteso come avvenimento che accade nella vita. Mancando la speranza, non si crede nel futuro e, quindi, non si apre un credito di fiducia nei confronti del prossimo. Il fattore religioso integra tutti gli aspetti che compongono la personalità umana. Ad esempio: non si fa nulla di buono nella vita se non si è spinti da una profonda emozione. Pertanto, non si inaugura una strategia di pace se non si ha una vera passione nel cuore, se non si è convinti che solo la pace genera il bene. Come giudica le chiusure nei riguardi dello straniero che serpeggiano in Europa e in Italia: sono mali passeggeri o preludono a guai ben più seri? Temo sia una prima febbre che in futuro degenererà in un fenomeno epidemico più ampio. La questione non verte tanto sulla generosità da usare nei confronti degli immigrati, ma sulle prospettive da offrire loro. Purtroppo, nelle società europee non vedo una linea culturale di progetto, non colgo un ragionamento condiviso per affrontare le emergenze che le grandi migrazioni stanno ponendo come sfida alla nostra epoca e alle nostre società . Non si può immaginare di ospitare indiscriminatamente tutti, sempre, senza alterare equilibri e senza procurare frizioni. A maggior ragione, se l' economia europea, dopo una fase brillante, si sta avviando - come sembra - verso una stagione certamente meno florida. Nel contesto di questi scenari, occorre realisticamente porsi la questione delle compatibilità della nostra società , togliendo così la punta ai vari estremismi, offrendo una linea di governo politico, incentivando l' interculturalismo di progetto a scapito dell' attuale multiculturalismo di fatto. In caso contrario, le nostre società diverranno ingovernabili e la parola passerà ai demagoghi, a coloro cioè che cavalcheranno queste esigenze per i loro fini politici. Crede che le religioni monoteiste storiche sentano il peso delle loro responsabilità nella costruzione di un mondo in pace? In modo straordinario. Pensiamo al cattolicesimo e all' esempio che continuamente offre al mondo questo grandissimo Papa, che sprona i suoi fedeli a fare altrettanto. Chiudendo fenomenali contenziosi storici, ha mostrato per primo la strada da seguire. Penso, ad esempio, alla storica visita alla Sinagoga di Roma, o alla preghiera davanti al Muro del pianto a Gerusalemme, o all' ormai celebre Giornata della purificazione della memoria. E con il Papa anche l' episcopato ha chiesto perdono e ha perdonato, in un mondo dove ancora vige, più o meno dichiaratamente, la legge del taglione: se uccidi, non avrai un' altra chance , ma sarai ucciso! Si tratta di riscoprire quel Dio che ci ha visti nel peccato e ci ha soccorso nella misericordia, ci ha visti atterrati. E noi siamo chiamati a imitare questo straordinario atteggiamento: in definitiva dobbiamo rileggere e ripensare al peso che ha il Vangelo nella nostra vita. Silvio Scacco |