Il dilemma cruciale

La riuscita e intensa inchiesta televisiva "Credere, non credere" di Sergio Zavoli, approfondita e arricchita, è diventata un libro. In questa intervista affrontiamo con l’autore alcuni domande importanti: siamo un progetto di Dio o frutto del caos?
03 Maggio 1997 | di

Sergio Zavoli è giornalista e scrittore di successo (i suoi libri hanno incassato alcuni dei più noti premi letterari nostrani), ma al grande pubblico è più noto per i programmi televisivi, da lui preparati sempre con grande professionalità : dal più leggero Processo alla tappa, nel Giro d`€™Italia, alle grandi inchieste come Clausura, Nascita di una dittatura, Viaggio intorno all`€™uomo, La notte della Repubblica... E di recente Credere, non credere, che è all`€™origine del libro per il quale lo abbiamo intervistato.Si tratta di un`€™approfondita indagine su un fenomeno in crescita e inatteso, prodotto anche dalle insicurezze dei nostri tempi: il bisogno di spiritualità , di trascendenza, che alla fine ripropone i grandi e cruciali interrogativi di sempre, il rapporto tra noi e Dio, l`€™esistenza del male, l`€™esistenza di un aldilà , i percorsi della ragione e della fede... Uomini di cultura, di scienza e di chiesa offrono le loro certezze, i loro dubbi.

Msa. Un libro intenso, come intensa era stata l`€™inchiesta televisiva.Ma quali motivi hanno sollecitato questo lavoro?

Zavoli. Prima con la trasmissione e poi, in modo più approfondito, con il libro, Credere, non credere indaga le 'ragioni per credere', il posto di Dio e il nostro, nel caos o nell`€™ordine, secondo fede o ragione. Credere, non credere indugia sull`€™idea che Dio può entrare anche nella grande avventura antropologica della scienza e della fede con un ruolo dirimente, come non era mai accaduto prima. E poiché in questa concitata, travolgente modernità  tutto, con quello che abbiamo messo in moto, può avere un esito incerto e pericoloso, ogni scelta dovrà  fondarsi su una premessa fondamentalmente etica. Che sarà  laica, ma anche religiosa. Se non anche, e questa mi sembra la novità , laica e religiosa insieme. Il dilemma che questa modernità  ci pone sta nel dover scegliere se accettarci nel nostro modo di vivere, o no. E poi decidere se disperare o sperare. Lo studio e la certificazione, per dir così, della qualità  morale dei nostri atti dovranno costituire la disciplina con cui affrontare il domani. Scienza e profezia, per paradosso, potrebbero rivelarsi la grande storia del mondo dei prossimi tempi.

Credere, non credere: un dilemma. Che differenza scegliere o porsi dall`€™una o dall`€™altra parte?

È vero, il dilemma è cruciale. Culturalmente, anzitutto. La fine dell`€™ideologia, che aveva organizzato e sostenuto una umanità  in cerca di senso e di scopo, ha come ridestato la qualità  del problema religioso, liberando un gran numero di uomini dalla soggezione in cui le militanze li avevano tenuti anche in rapporto alla questione, per dir così, di Dio. Oggi credenti e non credenti sono tornati a vivere alla pari idee, speranze, dubbi, e in definitiva i loro rischi, senza più steccati, pregiudizi, ripulse. Forse è il momento di trovarci insieme almeno intorno al problema di capire perché Dio si lascia negare, oppure scegliere, senza che nulla cambi nel nostro modo di vivere la nostra storia. Ecco, io credo che prima o poi qualcosa di radicalmente nuovo scaturirà  da questa contraddizione.

È giusto chiedere alla fede certezze assolute?

Vorrei ripetere qui le parole del Vangelo di Luca rivolte a Gesù: 'Signore, io credo, ma tu aiuta la mia incredulità '. Mi è rimasta in mente, a questo proposito, una osservazione di Carlo Maria Martini: che anche l`€™uomo di Dio può subire la prova della fides infirma, cioè della fede incerta. Il terzo millennio, privo di ideologie, si nutrirà  di una speranza da mettere nella storia, che agisca dentro di essa. D`€™altronde, è qui, in questa unica, dolce, amara, santa vita, che ci giochiamo ogni cosa. Per chi crede, anche il dopo. La speranza dovrà  diventare qualcosa di provocante, dovrà  tornare a essere scandalosa; la stessa profezia dovrà  intendersi con una speranza ragionata, che abbia 'fondamento', come dice sant`€™Agostino.

Si parla di un rinnovato bisogno di Dio e della religiosità , secondo lei è una moda o qualcosa di più profondo?

Consapevolezza del confine umano `€“ in un tempo secolarizzato dalla praticità  e dalla convenienza, di fronte al quale cadono sogni e miraggi `€“, speranze senza illusioni, ideali spogliati di ogni assolutezza, sono i tratti distintivi che paiono emergere dalla rinascita spirituale di questo fine millennio. Il recupero di vita interiore per colmare il senso di precarietà  e il ritorno del trascendente che va incontro a un bisogno di rassicurazione non hanno suggerito scelte fatalistiche, ma generato un nuovo impegno. Ad esempio quello espresso dal volontariato, che coltiva e rilancia lo spirito di una carità  solidale, concreta, efficace. In altre parole, la rinascita dello spirito religioso prova a volgere uno sguardo più consapevole e libero a qualcosa che sta 'oltre'.

Si può vedere un desiderio di Dio, distorto o ambiguo, anche nei recenti suicidi di massa?

Dentro il dilemma, o la separazione, del 'credere, non credere' c`€™è spazio per tutto: per l`€™edificazione, l`€™eresia, persino la follia. Talune associazioni, che perseguono simulacri atroci di religiosità , stanno conquistando terreno e rinverdiscono antiche suggestioni superstiziose; 'nel deserto `€“ è la loro spiegazione `€“ degli animi spenti delle religioni tradizionali'. Tra queste forme di religiosità  `€“ stravaganti, e a volte diaboliche `€“ alcune sette si sono macchiate di crimini efferati. Le vittime erano i loro stessi seguaci. Così è stato nel suicidio rituale, per avvelenamento da cianuro, di novecentotredici adepti del 'Tempio del popolo', il 18 novembre 1978, a Jonestown, in Guyana; così nella strage di Waco, nel Texas, dove dopo un assedio durato cinquanta giorni, nel 1995 perirono ottantadue 'Davidiani' travolti dall`€™idea che l`€™apocalisse fosse imminente; così in Svizzera, Canada e Francia, dove, sempre nel 1995, si sono dati la morte settanta seguaci dell`€™'Ordine del tempio solare', il cui fondatore affermava di essere stato, al tempo delle crociate, cavaliere dell`€™ordine templare in Terra Santa e predestinato a guidare i suoi fedeli sul pianeta Sirio, il più brillante nel cielo notturno; e molto recentemente per il suicidio di massa di trentanove adepti della setta 'Heaven`€™s Gate', che si sono uccisi per raggiungere esseri superiori, extraterrestri nascosti dietro la coda della cometa di Hale-Bopp.

Da dove veniamo? chi siamo? dove andiamo? Le classiche domande cui cerchiamo risposta. Flores d`€™Arcais dice che, in verità , tutto questo lo sappiamo (cioè che nulla ha senso e tutto finisce con noi), solo che non lo tolleriamo e continuiamo a cercare: lei pensa che sia così facile liquidare la faccenda?

Il millennio è alla fine, e l`€™umanità  ha ancora motivo di temere che l`€™ingiustizia e l`€™egoismo, il dolore e la crudeltà , la violenza e la paura, l`€™abiezione e il rancore, continueranno. Ma al di là  delle grandi questioni teologiche e pastorali, istituzionali e politiche, si manifesta ovunque un bisogno di Dio che prende le forme più diverse. Al centro di esso, accanto alle certezze della fede, i dubbi della ragione: 'Se c`€™è, chi è? dov`€™è? e perché?'. Domande essenziali nella loro drammatica semplicità , e al tempo stesso così ferme nell`€™esigere una risposta. Mi ricordano le parole di un contadino della Val Marecchia, non saprei dire se più incredulo o credente, interpellato dal poeta Tonino Guerra: 'Per me, parlo per me, dire che Dio c`€™è può essere una bugia, ma dire che non c`€™è può essere una bugia molto più grande'.

Un capitolo è dedicato al dolore e al dolore dei bambini in particolare: una domanda angosciante, un motivo buono per tanti per dire che Dio non c`€™è. Ha trovato tra le tante risposte, argomentazioni sentite, qualcosa di convincente?

Nello scandalo dell`€™ingiustizia troppe volte trionfante l`€™ateo trova le ragioni del suo rifiuto, mentre il credente ne accetta il mistero assegnandogli un valore persino di salvezza. Le giustificazioni razionali del contrasto lacerante tra la bontà  del creatore e la pena delle sue creature, alla soglia del terzo millennio restano tutte opinabili. Anche l`€™argomento che sembra più forte, quello per cui Dio ha voluto rispettare la libertà  dell`€™uomo, è vulnerabile dal dubbio: ci si pone la domanda, infatti, se quella libertà  possa valere la vita di un bambino. Tanto male nel mondo rimane inspiegabile, ma non da essere un alibi per eludere la responsabilità  dell`€™uomo. La storia cammina spesso verso il buio, e non di rado vi precipita; solo per un credente la sofferenza `€“ facendosi carico del pianto, e fidando in Dio `€“ illumina quel buio. Ma qui, in modo arcano, vince la fede. E la ragione resta sola, a confrontarsi con un mistero.

Il libro è anche una galleria di personaggi, di esperienze. Chi e che cosa, fra tanti, l`€™hanno colpita in modo particolare nel testimoniare la propria fede o nel ribadire la propria non credenza?

Le parole del grande biologo Jean Rostand, fatte insieme di sofferenza e di canto, di scoramento e certezze. Una sorta di preghiera laica rivolta a quello in cui soltanto possono tutti dire di credere: cioè alle nostre stesse facoltà  umane, perché la nostra naturale capacità  di scegliere o di rifiutare si esprima, dia frutto. Quell`€™uomo ormai vecchio mi offrì una prova testimoniale dei dubbi del nostro tempo. Uno dei padri dell`€™epoca parlava come un figlio smarrito: accettava il futuro, ma difendendolo nel presente; credeva nella pura scienza, ma rivendicava il primato dell`€™etica; si affidava all`€™intelligenza, ma poi sceglieva l`€™amore.

Sono le parole di chi, con una scelta radicale, decide di amare gli uomini in Dio e si vota a una interpretazione, per così dire, verticale della fede. In un nascondimento totale, in dialogo con Dio, essendo nel mondo eppure al di fuori di esso. Molti anni fa entrai con un microfono nel monastero delle carmelitane scalze, a Bologna. Era la prima volta che una 'clausura' veniva, per così dire, violata. Restai, naturalmente, al di qua della grata. Non ho visto un viso, ho ascoltato e registrato voci. Con suor Maria Teresa dell`€™Eucaristia parlai per nove giorni, un paio d`€™ore al mattino e un altro paio nel pomeriggio. La voce le si incrinava, ogni tanto faceva una pausa, poi ricominciava con un sospiro: dovevo scusarla, mi disse, perché la regola del silenzio ha come cancellato le parole, e il conversare costa fatica. Le domandai il perché di questa estrema rinuncia ai beni del mondo. 'Non dipende tanto da noi, quanto da Dio. Perché farsi suora? Me lo sono chiesto tante volte e credo di non poter dare altra spiegazione che questa: Dio lo ha voluto da sempre per me. Il mio primo incontro con Dio avvenne perché Dio stesso mi si rivelò, rendendomi capace di questo dono. In quel momento d`€™eternità  ci scambiammo 'qualcosa'. Mi ritrovai mutata, totalmente nuova. Piccola sempre, ma immersa, perduta, dal di dentro, nell`€™infinito'.

Il benessere, la tecnologia hanno allontanato l`€™uomo da Dio, credendosi onnipotente. Questo momento di difficoltà  può aiutarci a ritrovare le cose che contano e quindi la religiosità , Dio?

Qualcuno dice che mentre ci si interroga sul valore ideale delle cose, sul loro senso profondo, e pretendiamo che il futuro si faccia annunciare e garantire dai significati che dovrà  assumere, vanno invece imponendosi le perentorie risposte scientifiche, la cui oggettività  parrebbe capace di dare certezze più di quanto, un tempo, cercava di offrirne la filosofia. Lo scontro frontale fra 'teoria dei valori' e 'verità  oggettiva' è all`€™origine di un dibattito che l`€™anima dei giovani sta volonterosamente combattendo.

Il Duemila: profezie apocalittiche ed eccessive attese.Che cosa aspettarsi?

Molte inquietudini continuano a segnare il futuro. In altri secoli un`€™ipotesi disastrosa provocava una speranza radicale, miracolista, che oggi per fortuna non si coglie; la speranza odierna non ha nulla, o ben poco, dell`€™attesa che ardeva negli annunci di altre epoche. Sperare non significa più consegnarsi a qualcosa che dovrà  accadere senza di noi. Ogni evento, dice soprattutto l`€™ultima generazione, dovrà  prendere il volto delle nostre azioni; carne e spirito, desiderio e progetto, saranno una cosa sola in qualunque luogo e momento; niente e nessuno potrà  separarci da una responsabile attualità . Andremo incontro al futuro, sembrano dirci i nostri figli, non nella disperazione di Sisifo e neppure nell`€™orgoglio di Prometeo, ma nella libertà  di amare i nostri sogni razionali, di volere un ottavo giorno in cui l`€™uomo non si specchierà  immobile nella violenza della creazione e della storia, e non invocherà  prodigi per vincerla, ma l`€™affronterà  nel segno di una speranza ragionata. Perché, lo dicevo all`€™inizio di questa intervista, è qui, sulla terra, che ci si gioca tutto: per chi crede, anche il dopo.l

 

   
   
Credere, non credere, di       Sergio Zavoli, Rai-Eri Piemme, pagine 432, lire 35.000.      

Un libro che, richiamandosi a varie culture e       religioni, tenta di dare risposte a ciò che tutti prima o poi ci       chiediamo: siamo un progetto di Dio o frutto del caos? perché il dolore?       c`€™è un aldilà  o tutto si risolve in queste vita? Un libro intenso, ricco       di dati, di testimonianze, di personaggi ognuno con le proprie       certezze.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017