Il dublinese

10 Ottobre 1998 | di

Da Padova a Gangi. Il giornalismo e il cinema. Un giovane italoirlandese parla dei suoi interessi culturali, di un'Italia ritrovata, dei coetanei europei: nuove speranze del vecchio continente.

Padova

Ho conosciuto Gioacchino Farinella mentre frequentava i corsi di scienze politiche e di storia del giornalismo presso l'Università  di Padova. Con papà  Enzo e mamma Patricia, ha voluto visitare la nostra redazione, e da allora ho imparato a chiamarlo con l'amichevole diminutivo di Joe.

Joe è nato il 13 dicembre 1976 a Dublino, in Irlanda, e dopo aver frequentato le scuole primarie e superiori si è iscritto alla facoltà  di Lettere dell'Università  di Dublino, specializzandosi in Storia dell'arte e in Italiano.

 

Msa. Perché hai scelto la lingua e la cultura italiana come materia universitaria?

Farinella. Innanzitutto perché sono per metà  italiano: mio padre è nato a Gangi (Palermo), in Sicilia; mia madre, anche se è nata a Dublino, insegna italiano in una scuola della città . In famiglia i legami con l'Italia sono vissuti con intensità , non solo da parte dei genitori ma anche da parte mia e delle mie due sorelle: Santina, di 24 anni e Aisling di 20 anni. Oltre all'inglese, parliamo anche l'italiano, possediamo la doppia cittadinanza e manteniamo un buon rapporto con la comunità  italiana di Dublino formata da circa mille persone.

 

Che rapporti hai avuto con l'Italia?

Fin da piccolo mio padre mi portava in Sicilia nei mesi estivi, tanto che la casa dei nonni a Gangi, con il passare degli anni, è divenuta una seconda casa dove, oltre i rapporti familiari con i parenti, ho scoperto le bellezze e le caratteristiche dell'isola. I ricordi della casa dei nonni e degli zii di Gangi, l'amicizia con i cugini e le bellezze del territorio sono tra le memorie più belle della mia fanciullezza.

 

Quali benefici hai ricavato dalla frequenza universitaria in Italia?

Ho conosciuto il nord d'Italia, molto diverso dal sud e ugualmente ricco di centri e di interessi culturali. Sono venuto a Padova grazie al «Progetto Erasmus»: ho potuto approfondire i miei studi ma anche un mio particolare interesse: il rapporto tra giornalismo e cinema italiano. La vita universitaria mi hanno offerto l'occasione di vivere un'esperienza unica. Oltre a frequentare i corsi mi sono recato, con amici italiani e non, in qualche ristorante per sperimentare la gioia di «sedersi a tavola», vivendo momenti in cui la comunicazione è stata molto più intima e più facile che nelle discoteche. In Italia ho scoperto il senso di «stare insieme»: un'espressione e un'esperienza di rapporto che in Irlanda non avevo ancora conosciuto. La gente italiana mi piace soprattutto per la spontaneità  con cui instaura rapporti di amicizia con gli altri. In Sicilia mi aveva colpito l'attaccamento alla famiglia e il rispetto verso i parenti e le loro cose: sono tutti sentimenti e valori che ho assorbito e che ora fanno parte della mia vita irlandese.

 

Cosa significa possedere la doppia cittadinanza e due culture? Non provoca due «sensi di appartenenza»?

È una situazione che è stata più volte motivo di discussione in famiglia. Io stesso, in diverse occasioni, mi domandavo se ero più italiano o più irlandese. L'esperienza universitaria fatta a Padova, ha maturato la mia identità  e il mio rapporto con l'Italia, cogliendo tutti i suoi aspetti positivi, ma anche quelli negativi. Oggi, considerando l'evoluzione che sta avendo l'Unione europea e la situazione che stiamo vivendo in Irlanda, sento il valore di essere innanzitutto cittadino europeo. Il «Progetto Erasmus» come i programmi «Socrates», sono un'occasione privilegiata per incontrare tanti giovani, provenienti da Paesi diversi, condividendo con loro valori e interessi culturali. Oggi sono circa centomila i giovani europei che chiedono di fare questa esperienza, e io credo che ci troviamo di fronte a un'Europa che ha delle prospettive che si differenziano dai modelli legati ai parametri di Maastricht.

Noi giovani siamo cresciuti con una cultura che non ha frontiere; abbiamo esperienze che promuovono modelli di rapporti universitari e interscambi nei settori delle nostre future professioni, totalmente distinti dai modelli della vecchia Europa. Il nostro continente sta divenendo sempre più piccolo a livello di distanze, e per noi giovani la conoscenza di altre genti e culture europee, oltre a rendere la nostra mentalità  molto più aperta, facilita la ricerca di un lavoro anche in Paesi diversi.

 

Come hai vissuto le ultime vicende politiche che hanno interessato il tuo Paese?

Con la speranza che non diventino, come troppo spesso è successo, motivi di tristezza. Ultimamente sono stati fatti grandi passi avanti sulla via di una pace duratura. Ora è necessario che in Irlanda del Nord questo accordo oltre che essere accolto dai gruppi contrapposti, diventi stile democratico di vita. Personalmente ho conosciuto tanti protestanti e sono a contatto con tanti giovani cattolici, e non ho riscontrato nei loro rapporti nessun motivo di divisione ideologica. Anche nella mia esperienza universitaria a Padova, ho avuto per amici cattolici e protestanti dell'Irlanda del Nord, e altri universitari inglesi che studiavano e vivevano insieme, senza mai sentirsi separati né coinvolti dalle divisioni politico-religiose fomentate nell'Irlanda del Nord.

 

Che rapporti hai con la comunità  italiana di Dublino?

Conosco gli italiani che lavorano nella mia città : sono circa un migliaio. Tantissimi provengono dalla stessa regione e dagli stessi paesi italiani, e lavorano quasi tutti nel settore della ristorazione. Sono tra loro collegati da un'associazione che programma iniziative e incontri ai quali purtroppo ho potuto partecipare poche volte a motivo dei miei studi e dei miei diversi interessi culturali.

 

Qual è l'esperienza vissuta durante il tuo soggiorno in Italia, che maggiormente ricorderai?

È un fatto curioso, avvenuto in occasione delle ultime votazioni siciliane. Qualche giorno prima di partire per l'isola per le votazioni regionali, ad alcuni amici del «Progetto Erasmus» avevo detto - quasi per scherzo e sicuro che l'avrebbero colta come una battuta - che se volevano venire con me, dovevano partire il giorno seguente dalla stazione ferroviaria di Padova. Invece di due o tre amici, ad aspettarmi erano in venti, tutti pronti a partire con me per la Sicilia: erano universitari olandesi, spagnoli, inglesi, tedeschi, francesi e un sudamericano. Sono stati un viaggio e un'esperienza indescrivibili, per la cordialità  con cui li abbiamo vissuti e per la calorosa accoglienza delle gente. Raggiunta Cefalù, dopo diciotto ore di treno, siamo saliti su una corriera che ci ha condotto a Gangi lungo strade ripide e scoscese, e attraversando uno dei territori più tipici della Sicilia. Erano tutti affascinati dal panorama e dalle bellezze del Paese anche se, per l'alloggio, hanno dovuto accontentarsi di quanto i miei zii e cugini erano riusciti a provvedere per tanti inaspettati ospiti. Non avevo portato mai nessuno dei miei amici a Gangi perché, fino a quel giorno, era come il luogo delle mie memorie più intime e mi ha stupito che tutti quei giovani, di diverse culture, giunti per la prima volta in Sicilia, abbiano colto le sue bellezze e si siano innamorati di Gangi, posto sulla cima di una montagna, nel cuore delle Madonie, a mille metri sul livello del mare.

Prima di ritornare in Irlanda, in occasione dell'ultimo Natale, mi sono ritrovato con tutti i venti amici che erano venuti in Sicilia. Era il giorno del mio compleanno, e come segno di gratitudine per la mia iniziativa, mi hanno regalato un grande quadro in cui c'erano delle foto scattate in Sicilia e tutti i loro volti sorridenti: un dono che rimane come il più bel ricordo della mia esperienza in Italia, a testimonianza del valore dell'amicizia.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017