Il fascino del Lucky Country

Sono oltre cinquemila i giovani italiani che ogni anno vanno in Australia per «vacanze-lavoro» o come «assistenti linguistici».

Melbourne

Lucky Country: «Paese della Fortuna», così veniva descritta e conosciuta l’Australia della metà dell’800, epoca della scoperta dell’oro. L’appellativo le è rimasto anche durante il secolo scorso, ad invogliare il flusso migratorio del dopoguerra per ripopolarla e portarla a modelli di sviluppo occidentale.

L’emigrazione italiana è stata la più numerosa di quelle non anglosassoni, ma negli ultimi trent’anni si è ridotta ad un rivolo sottilissimo. Fino ad un paio di anni fa, quando è iniziato il «boom» delle vacanze-lavoro, con i permessi di soggiorno di un anno.

L’Australia offre settantadue differenti «visti» di entrata nel Paese. Tra questi il Working Holiday Visa per giovani dai diciotto ai trent’anni, grazie a un accordo raggiunto con diciotto nazioni, tra cui l’Italia, firmato nel 2002. Da un rapporto della società «Eurispes» sembra che un italiano su tre desideri trasferirsi all’estero per vivere o almeno per fare un’esperienza di lavoro. La percentuale tra i giovani è del cinquantacinque per cento. Ecco aprirsi le porte dell’Australia! Un click su www.australia.com e si entra in possesso di ogni informazione utile. Si scopre che l’Australia al momento gode di buona salute dal punto di vista economico. La disoccupazione è al 4,5 per cento, la più bassa degli ultimi trent’nni. I mezzi di informazione pubblicizzano ogni settimana 150 mila nuovi posti di lavoro. Sono richiesti in particolare meccanici, elettricisti, idraulici, tappezzieri, cuochi, parrucchieri e altri lavori specializzati.

I giovani sono attratti dalle opportunità che offre il visto «vacanza-lavoro»: un anno durante il quale si può soggiornare in Australia come turisti, o lavorare per un periodo di sei mesi in un posto, e altri sei mesi in un altro. Chi sceglie di lavorare nelle campagne (raccolta di frutta e ortaggi, semina, dissodamento delle terre, ecc.) può rimanere per due anni. Se questi giovani poi trovano uno «sponsor» che dimostra d’avere bisogno del lavoro del giovane, allora questo può procedere nella richiesta di residenza permanente.

Si calcola che siano circa cinque mila i giovani italiani che vengono in Australia con il visto «vacanza-lavoro». Ad essi si aggiungono quelli che vengono come «assistenti linguistici» per iniziativa del Co.As.It. (Comitato Assistenza Italiani), scelti in cinque università di due Regioni (Lombardia e Lazio) che affiancano gli insegnanti di italiano in alcune scuole di Melbourne e città di provincia; quelli che fanno domanda tramite il Ministero degli Affari Esteri per uno «stage» volontario presso l'ambasciata, i consolati, gli Istituti Italiani di Cultura. Cosa si aspettano questi giovani dall’Australia? Ecco una carrellata di nomi e situazioni diverse.

Manuela Barone, ventisette anni, milanese. «Ho completato uno “stage” volontario di tre mesi presso l’Istituto Italiano di Cultura, e adesso cerco di prolungare il mio soggiorno a Melbourne fino a completare il periodo di un anno, in regola con il visto vacanza-lavoro. Vorrei tanto visitare il centro dell’Australia e il nord percorrendola da Adelaide a Darwin. Sarebbe un’esperienza da vivere e da raccontare. Ma ho bisogno di lavorare, e non è facile. Siamo al punto che anche per fare il cameriere o il lavapiatti ti chiedono se hai esperienza».

Un giudizio su Melbourne: «Natura splendida, gente cordiale. Qui c’è la cultura della vita all’aperto. Credo che questo senso di relax, che noto a Melbourne, sia dovuto al benessere materiale e al fatto che l’Australia sia lontana e si senta al riparo dalle grandi tragedie della guerra, della sovrappopolazione, delle crisi sociali che investono l’America e l’Europa».

Linda Di Virgilio di Torino di Sangro, in provincia di Chieti in Abruzzo. Laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’universitàGabriele D’Annunzio di Pescara è venuta per la prima volta in Australia nel 1996 per vacanza, a trovare parenti. «Quel che mi colpì maggiormente era il linguaggio italo-australiano, che poi divenne l’argomento della mia tesi di laurea linguistico-glottodidattica. Per fare delle ricerche sono venuta nel 2000 a Melbourne, Sydney e Perth con un visto di tre mesi (vacanza studio). In quel periodo ho conosciuto Michael, con il quale ho poi corrisposto dall’Italia per anni (migliaia di telefonate e e-mail). Nel 2005 ho deciso di venire in Australia “con un visto turistico” cambiato in Working Holiday Visa (mi sono recata in Nuova Zelanda per cambiare il visto poiché bisogna inoltrare la domanda da fuori del territorio australiano). Ho tirato un respiro di sollievo quando ho fatto la cronista alla stazione “Rete Italia”. Ma non è finita. Dovrò dimostrare all’Ufficio Immigrazione che la mia relazione con Michael è seria e, dopo i fiori d’arancio, dovrò attendere altri due anni per avere un visto di residenza permanente».

Eleonora Pessina laureata in Lingue alla Cattolica di Milano, con specializzazione in inglese e tedesco (punteggio massimo 110 cum laude) ha fatto il suo bel tirocinio all’estero, soprattutto all’Istituto Italiano di Cultura di Stoccarda, prima di venire a Melbourne. Terminato l’anno di lavoro è rientrata in Italia da dove ha fatto nuovamente richiesta di venire in Australia con un «visto per studenti» della durata di un anno e mezzo. Ha ottenuto anche un borsa di studio che le faciliterà il soggiorno a Melbourne. Frequenterà la Monash University per ottenere un master in Publishing & Editing. Poi si vedrà. Intanto ha difficoltà a trovare alloggio.

Riccardo Abet con una laurea in filosofia e un lavoro a livello dirigenziale con una compagnia automobilistica, ha scelto di venire in Australia come «assistente linguistico». «Il mio sogno australiano si è realizzato dall’oggi all’indomani, complice un piccolo annuncio dell’università La Sapienza di Roma (campus di Cassino)». Riccardo ha collaborato per nove mesi con gli insegnanti di una scuola superiore, meritandosi la stima del preside e degli insegnanti. Nel frattempo ha fatto di tutto per rimanere in Australia. Ma quando è arrivato il momento della scadenza del «visto» ha dovuto fare le valigie e ritornare in Italia. Anche Riccardo ha tentato la carta della «Nuova Zelanda» come rimbalzo per tornare in Australia.

Silvia Duravia studentessa di Commercio Estero presso la Facoltà di Economia  di Ca’  Foscari con sede a Treviso che è collegata alla Swinburne University of Technology grazie a un programma sponsorizzato dalla Cassamarca di Treviso. «Lavorare nell’ambiente universitario – afferma – è stato certamente molto stimolante. Vivendo lontano dall’Italia ho imparato ad essere autonoma e ad appoggiarmi solo a me stessa quando qualcosa non va (e credetemi che per una ragazza italiana è una cosa non così scontata). Per quanto riguarda Melbourne beh, me ne sono innamorata! Adoro la sua multiculturalità, il modo in cui tutte queste persone con usi, costumi, e religioni diverse abbiano trovato il proprio spazio e la propria realizzazione».

Per i giovani di oggi alla ricerca di un lavoro sicuro, una sistemazione, possibilmente anche una carriera e il matrimonio in Australia, le possibilità sembrano rosee, almeno finché questi giovani sono ospiti di istituzioni italiane e lavorano sotto l’egida di un ente che garantisce uno stipendio e un periodo di attività volontaria ma educativa e utile per il «curriculum», un domani, in Italia.

Ma gli ostacoli sono tanti e, quando si tratta di concedere i visti permanenti, il governo stringe con forza le maglie. Chi viene con l’idea: «L’Australia è grande», è bene che prenda le misure prima di partire da casa.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017