Il figlio ritrovato

09 Dicembre 2000 | di

Gesù racconta la parabola del padre e dei due figli per rispondere ai farisei e agli scribi che lo criticano perché «riceve i peccatori e mangia con loro». Il racconto presenta una famiglia benestante di campagna dove c' è un padre, due figli e alcuni domestici.
Nel primo atto del dramma il protagonista è il figlio minore   che chiede al padre di avere subito - prima della sua morte - la parte di eredità  che gli spetta. Il padre, senza fare obiezioni, divide i beni della famiglia tra i due figli. Questo fatto consente al figlio minore di realizzare il suo progetto: avere subito i soldi per andare via di casa. Da questo momento inizia il suo progressivo degrado: dopo aver consumato tutto è costretto a fare il guardiano di porci al servizio di un padrone straniero. Per sfamarsi strappa le carrube che mangiano i porci. In questa situazione di massima degradazione egli «rientra in se stesso» e pensa come risolvere il problema della fame. A casa di suo padre i servi «hanno pane in abbondanza» mentre egli deve riconoscere: «Io qui muoio di fame!». Allora decide di tornare da suo padre. Ma quello che ha fatto gli impedisce di tornare come figlio. Allora dirà  al padre: «Trattami come uno dei tuoi garzoni». Con questo progetto egli si mette in cammino verso suo padre. In altre parole, il figlio minore ritorna da suo padre solo per poter mangiare, cioè per avere pane a sufficienza come i servi.

Nel secondo atto del dramma è il padre che prende l' iniziativa per superare la distanza che lo separa dal figlio: «Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Tutti i gesti del padre promanano dalla profonda commozione che lo prende alla vista del figlio. Questa figura del padre «commosso» nell' intimo richiama le parole che il profeta Osea mette in bocca a Dio di fronte a Israele, il figlio ribelle: «Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (Os 11,8). Questa compassione del padre cambia radicalmente il progetto del figlio. Mentre egli è tornato come un servo per poter mangiare, il padre lo accoglie come figlio e gli fa preparare un banchetto come per le grandi occasioni. La scena di accoglienza si chiude con una parola del padre che giustifica la festa così: «Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Nel terzo atto del dramma è ancora il padre al centro della scena, ma questa volta in dialogo con il figlio maggiore. Questi rifiuta di partecipare alla festa del padre per il figlio tornato a casa. Al padre, che esce a pregarlo, egli rinfaccia di non averlo trattato come doveva: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici». Il padre, a suo modo di vedere, è ingiusto perché ha organizzato una festa per il figlio che ha divorato i suoi averi con le prostitute. Di fronte a questa reazione del figlio maggiore, il padre riafferma il suo bisogno di far festa. Ma, nello stesso tempo, conferma la sua comunione con il figlio maggiore, nella quale egli può riscoprire la sua relazione con il fratello: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

In breve, ambedue i figli devono cambiare la loro immagine e la rispettiva relazione con il padre. Il figlio minore, che non ha il coraggio di tornare a casa come figlio, riscopre il padre che lo accoglie e lo riabilita perché si commuove alla sua vista. Il figlio maggiore, che si considera un salariato in casa, deve ritrovare la libertà  della comunione con il padre e con essa un nuovo rapporto con il fratello. Alla radice di questo cambiamento sta l' amore incondizionato di Dio Padre che Gesù rende presente e attivo nelle sue scelte di accoglienza dei peccatori.


   
   
IL PADRE MISERICORDIOSO      

«D isse ancora: 'Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là  sperperò le sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.
Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto  saziarsi con le carrube che mangiano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: 'Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni'. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora  lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: 'Padre, ho peccato contro il Cielo e contro te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio'. Ma il padre disse ai servi: 'Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l' anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato'. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: 'È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo'. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare.
Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: 'Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso'. Gli rispose il padre: 'Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato'».
(Lc 15,1-3; 11-32)

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Gesù presenta un'immagine singolare di Dio: un Dio che ama nella libertà , che rimane presente e fedele anche quando l'uomo percorre sentieri che lo portano lontano, che perdona nella più assoluta gratuità . Un invito per noi a testimoniare con la fraternità  verso gli altri uomini, la responsabilità  e la creatività  nel bene, il coraggio nelle prove.

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Nel catechismo degli adulti
Un Dio che fa festa

di Lucio Soravito

Fino a pochi secoli fa le autorità  pubbliche sostenevano tenacemente la religione. Essere dalla parte di Dio voleva dire avere una giustificazione in più della loro autorità . 'Se sei disubbidiente all' autorità  non vai solo contro la legge umana, ma anche contro quella divina'. Oltre alla prigione, anche l' inferno. Naturalmente, l' immagine di Dio che ne usciva era quella del Dio dell' autorità  e dell' ordine, il Dio giudice e governatore.
 Ma Gesù ci offre di Dio un' immagine assai differente, un Dio che pare perfino troppo debole. In realtà , Egli ha la più radicale delle forze: quella di farci cercare la nostra salvezza anche quando noi non ne vogliamo sapere, anche quando ce ne andiamo per le nostre strade, lontano da Lui, e accumuliamo fallimento su fallimento.
Il modo di agire di Dio verso di noi emerge con grande evidenza ed efficacia nella 'parabola del figliol prodigo'. Gesù la racconta per difendersi dalle accuse dei benpensanti: 'Costui va con i peccatori e mangia con loro'. Se va con i peccatori, è un peccatore anche lui. Proprio come dice il proverbio: 'Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei'. Gesù giustifica il suo modo di agire affermando che esso corrisponde a quello di Dio, che va in cerca della pecora perduta e che attende con le braccia aperte il figlio scappato di casa.

Il figlio che se ne va. La prima parte della parabola racconta la drammatica vicenda del figlio minore che se ne va da casa. 'Dammi la mia parte di autonomia, di indipendenza, di libertà '. Fuori di casa può finalmente realizzarsi, godere la vita. Fuori c' è un' altra concezione dell' amore, della morale, del piacere, della libertà . Fuori non ci sono i lugubri divieti di una morale oscurantista. Ma si sbaglia; è un' illusione. Dopo aver dilapidato tutto con le prostitute, si trova con il vuoto: col vuoto dello stomaco, la fame; e col vuoto del cuore, la perdita della dignità . Deve rassegnarsi a fare il mandriano di maiali e ne invidia perfino le ghiande. È a questo punto che matura la decisione, dura, difficile, ma necessaria: 'Mi alzerò, tornerò da mio padre e gli dirò: ho peccato contro Dio e contro di te; non sono degno che tu mi chiami figlio; trattami come un dipendente'.

Il figlio perbene. La seconda parte della parabola narra la reazione del figlio maggiore, del figlio perbene. È rimasto in casa, non ha avuto il coraggio di uscire; ma pensa che fuori si stia meglio, che si possa godere la vita; invidia, in cuor suo, il fratello minore. 'Cosa mi è servito stare tanti anni in casa? Lavoro da tanti anni per te; non ti ho mai disubbidito, ma tu non mi hai dato neppure un capretto. E ora che è tornato questo tuo figlio, hai fatto ammazzare il vitello più grasso'.
Il padre è costretto a squarciare il velo di un rapporto nuovo, diverso: 'Figlio mio, tu sei sempre stato in casa con me; quello che è mio è tuo'. È un figlio che non si è accorto della fortuna di avere un padre che gli vuole bene. Se avesse capito l' amore del padre, ne avrebbe condiviso anche l' ansia e il dolore. Avrebbe dovuto dire: 'Vado io a cercare mio fratello, perché non possiamo vivere senza di lui. Farò di tutto per riportarlo con noi'. Invece, rinfaccia al padre di essere troppo debole, lo rimprovera di non saper fare il padre.
La parabola rivela il volto di Dio. Un Dio troppo buono, troppo debole? Sì è vero: è un Dio debole, che soffre e che piange. Il Dio della speculazione filosofica è un Dio immobile, è un Dio impassibile. Ma il Dio della Bibbia è un Dio che si lamenta e che soffre una passione d' amore per l' uomo. Tutta la Bibbia è pregna di questa passione di dolore e di amore di Dio per l' uomo. Già  il libro di Osea aveva rivelato in maniera emblematica questo mistero della sofferenza del cuore di Dio. Dio aveva ordinato al profeta di prendersi una moglie infedele: Gomer. Osea dovette così sperimentare l' infedeltà  della sposa e la sofferenza del tradimento. Al profeta, che aveva il cuore lacerato, Dio disse: 'Osea, ora va e parla al mio popolo; adesso che hai capito cosa soffre il cuore di un uomo tradito nell' amore dalla sua sposa, sei in grado di parlare al mio popolo e di dire che cosa soffre il cuore di Dio, tradito nell' amore dal suo popolo'.

Un Dio troppo debole? Ma il Dio del Vangelo è anche un Dio che fa festa, come il padre della parabola, che esce due volte di casa: prima, per incontrare il figlio perduto, poi, per rivolgersi con parole accorate al fratello maggiore. E tutte due le volte sottolinea: 'Bisognava far festa, perché questo figlio era perduto ed è stato ritrovato'. Ecco la festa del cuore di Dio: la gioia del perdono è la più grande gioia di Dio. 'Si fa più festa in cielo per un peccatore che torna a penitenza, che per novantanove che si ritengono giusti e non bisognosi di perdono'.
Un Dio troppo debole? Ma è proprio questo il Dio che Gesù è venuto a rivelarci: un Dio che manifesta la sua onnipotenza - come dice un' orazione liturgica - soprattutto perdonando e usando misericordia.
È un Dio che in Gesù si manifesta nostro 'alleato', promotore della nostra libertà  e della nostra felicità . A ciascuno di noi, come a Gesù, il Padre dice, a partire dal nostro battesimo: 'Tu sei il mio figlio' (Lc 3,22). Grazie al battesimo, ognuno di noi è 'ricco' della vita di Dio; ognuno di noi diventa& un 'ben di Dio'! In ciascuno di noi egli pone una meravigliosa possibilità  di vita e null' altro vuole se non che cresca. Accompagna con premura paterna ogni umana avventura, anche la più umile e nascosta. Veglia perché tutto, anche il male e la sofferenza, possa concorrere al bene dei suoi figli (cf. CdA n. 823).
Dio, padre di tutti gli uomini, ha fatto di noi dei 'fratelli' e ci ha affidati gli uni agli altri, intrecciando le nostre esistenze nel tessuto di una storia comune. Siamo chiamati, dunque, ad accogliere gli altri come fratelli, senza discriminare nessuno, ad accettarli così come sono, a valorizzare la loro possibilità  di crescita umana e cristiana (cf. CdA nn. 824-825).

   
   
CON LA GIOIOSA CERTEZZA DI ESSERE AMATI      

R esi partecipi della vita divina, grazie all' azione interiore dello Spirito, e diventati fratelli tra di noi, perché figli dello stesso Padre, siamo invitati ad avvicinarci a Lui con la gioiosa certezza di essere amati. Con questa certezza nell' amore di Dio, Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti (cf. Ef 4,6), siamo chiamati a collaborare, insieme con tutti gli uomini di buona volontà , per costruire fin d' ora nel mondo quella comunione che sarà  piena quando tutti saremo con Lui nella sua 'casa'.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017