Il focolare ha una nuova voce
Arrivo a Rocca di Papa nel primo pomeriggio. Il tempo di una passeggiata in questo delizioso borgo adagiato sulle colline laziali, nella zona dei Castelli, e mi appresto a varcare il cancello bianco che mi introduce nel centro internazionale del Movimento dei Focolari. L’appuntamento con Maria Voce, la nuova presidente, è fissato per le 15.30. Prima, però, ricevo un dono inaspettato: posso visitare la casa di Chiara Lubich, che proprio qui trascorreva i suoi giorni quando non era impegnata in qualche zona del mondo. La casa («nella quale nessuno ha toccato nulla dopo la morte di Chiara» confida Anna Paola, suo angelo custode negli ultimi ventidue anni di vita e mia guida in questa visita) è una piccola villetta su due piani, arredata con gusto ma in modo essenziale («i mobili e le suppellettili le erano stati tutti regalati», spiega ancora Anna Paola). Tutte le stanze ruotano architettonicamente attorno a una piccola cappella, vero e proprio cuore dell’abitazione. Sul tavolo dello studio ci sono i suoi ultimi appunti: in una cartelletta è raccolto il materiale per il libro che si apprestava a scrivere («voleva parlare della “notte dei santi”» prosegue ancora Anna Paola, quell’apparente silenzio di Dio con il quale anche i santi si trovano prima o poi a fare i conti). Alle pareti alcune fotografie e due lettere autografe di Paolo VI e Giovanni Paolo II. In camera, una stanza piccolissima, solo due quadri, proprio di fronte al letto: un Cristo crocifisso e l’Addolorata (che Chiara chiamava familiarmente la «Desolata»), le ultime cose che guardava prima di addormentarsi alla sera e le prime cui rivolgeva lo sguardo al mattino, appena sveglia. È in questa stanza che il 14 marzo scorso Chiara si è lasciata andare tra le braccia del Padre, circondata dall’affetto e dalla preghiera di numerosi Focolarini con i quali, dopo aver condiviso tutta la vita, ha voluto condividere anche la morte. All’uscita dalla casa ne incontro un gruppo: sono arrivati da lontano per visitare il luogo in cui Chiara è vissuta. È il loro modo di dimostrare l’intensità di un legame che nemmeno la morte ha interrotto. Ancora immersa in questi pensieri, incontro Maria Voce, per tutti «Emmaus» come l’ha «ribattezzata» nel 1964 Chiara Lubich. È lei che lo scorso 7 luglio ha raccolto il testimone di Chiara alla guida dei Focolari.
Maria Emmaus Voce, 71 anni, avvocato, è entrata nel Movimento dei Focolari nel 1963. È stata una delle più strette collaboratrici di Chiara Lubich. Ha trascorso dieci anni a Istanbul, in Turchia, dove si è occupata in particolare di dialogo ecumenico (con il Patriarcato ortodosso di Costantinopoli e con le altre Chiese cristiane) e interreligioso (con il mondo musulmano). È tra le promotrici di «Comunione e Diritto», rete internazionale formata da avvocati, magistrati, docenti e altri operatori impegnati nel rinnovamento del mondo della giustizia. Dall’ottobre 2007 è membro del Consiglio Generale, lo stesso che ora è stata chiamata a presiedere.
Msa. La prima domanda è d’obbligo: non la spaventa dover raccogliere l’eredità di un gigante della fede come Chiara Lubich?
Maria Voce. Nessuno può sostituire Chiara: a spaventarmi è il pensiero che qualcuno possa credere il contrario. La vera eredità di Chiara – il carisma che lei ci ha lasciato – è racchiusa nell’idea evangelica che quando due o più sono uniti nel nome di Gesù, Lui è con loro. E allora so bene di non essere sola in questo compito: il messaggio di Chiara lo porta avanti tutto il Movimento da lei fondato, anche se poi ci vuole una persona che faccia da perno dell’unità. Ma in questo caso che sia io o un’altra non conta: adesso tocca a me.
In un’intervista rilasciata subito dopo la sua elezione a «Città Nuova», il periodico del Movimento, ha affermato che durante il suo periodo di presidenza presterà particolare attenzione ai rapporti. Che cosa intendeva dire?
Che in ogni istante voglio ricordarmi che la persona vale più di ogni altra cosa. Voglio riuscire ad avere attenzione per chiunque. Ogni mattina chiedo a Dio di aiutarmi ad amare veramente tutte le persone che incontrerò nel corso della giornata e poi, momento per momento, cerco di farlo.
Lei è entrata nel Movimento giovanissima. Com’è stato l’incontro?
Avevo 21 anni. Ero all’ultimo anno di studi quando, durante un’eucaristia nella cappella dell’università, notai un gruppo di ragazzi. Non stavano facendo nulla di particolare, eppure c’era qualcosa tra di loro che mi colpì, anche se non riuscii a decifrare bene che cosa fosse. Incuriosita, cominciai a frequentarli finché un giorno non trovai il coraggio di chiedere a bruciapelo: «Spiegatemi chi sono i focolarini». In risposta uno dei giovani mi consegnò un biglietto con l’indirizzo del Focolare femminile di Roma, invitandomi ad andarlo a visitare. Cosa che puntualmente feci. Ma prima entrai in una chiesa e mi ricordai di una richiesta che un giorno avevo fatto alla Madonna: poter incontrare qualcosa o qualcuno che riempisse totalmente la mia vita. A quella preghiera ne aggiunsi in quel momento un’altra: «Se la tua risposta sono questi giovani, non permettere che io non me ne accorga». Nel Focolare venni accolta da una ragazza che mi raccontò la storia del Movimento. Al termine del suo racconto dissi solo: «Voglio essere anch’io come voi, che cosa devo fare? Mi date un distintivo, devo pagare una quota…». Ma lei mi rispose: «Il nostro è un modo di vivere. Devi solo cercare di mettere in pratica il Vangelo, non c’è nulla da pagare». Da allora cercai concretamente di vedere Gesù in ogni persona che incontravo. E la mia vita cominciò davvero a trasformarsi: prova ne era la gioia che sentivo crescere in me giorno dopo giorno, una gioia mai provata prima, nonostante avessi sempre cercato di vivere in modo cristiano.
Qual è il più caro ricordo di Chiara, che lei custodisce nel cuore?
È molto difficile scegliere. Mi ricordo le tante piccole attenzioni che ha sempre avuto nei confronti di chiunque. Per esempio, ricordo un episodio che mi riguarda, avvenuto in Svizzera un bel po’ di anni fa. Era un giorno di festa, ma Chiara mi aveva chiesto di preparare dei documenti che le sarebbero serviti durante un incontro con alcuni vescovi. Al termine della riunione aveva stappato con questi vescovi una bottiglia di champagne e me ne volle mandare la metà, dicendo proprio: «Portatela a Emmaus». E poi il ricordo forse più toccante riguarda le sue ultime ore di vita, il vedere la fila quasi ininterrotta di persone che entrava nella sua stanza per salutarla. Avrei voluto urlare: «Basta! State violando un’intimità che in questi momenti è sacra». E invece lei era contenta: ha sempre dato tutto, fino alla fine. Ha condiviso la sua vita e ha voluto condividere anche la sua morte. Questo amore senza misura mi ha lasciato un ricordo indelebile.
Per espressa volontà di Chiara lei sarà aiutata da un gruppo di persone che avrà il compito di guidare insieme con lei il Movimento…
Il nostro è un carisma comunitario, una spiritualità che è essenzialmente collettiva e quindi non si può esprimere in una struttura monocratica. Chiara stessa si faceva consigliare, sin dai tempi di Trento, quando era attorniata dalle prime compagne e poi scegliendo via via i suoi collaboratori.
Dal carisma dell’unità deriva l’impegno del Movimento per il dialogo: tra le differenti realtà presenti nella Chiesa, ecumenico, interreligioso, con i non credenti e con il mondo della cultura. Ma oggi è ancora possibile dialogare?
Oggi dialogare è più difficile perché si vive in un clima di paura, mentre il dialogo richiede fiducia. Ma questa nasce se si è capaci di andare al di là del difetto, della chiusura dell’altro. Se si è in grado di aprirsi per primi, dimenticando le proprie certezze, mettendo tra parentesi le abitudini, i propri costumi per accogliere quelli degli altri. Purtroppo la situazione politico-economica del mondo d’oggi favorisce l’individualismo, l’egoismo, la chiusura. Le leggi sembrano pensate solo per aiutare le persone a difendersi, non a vivere insieme.
Si è appena concluso il Sinodo sulla Parola di Dio, realtà che Chiara ha sempre posto al centro della sua vita personale e di quella del Movimento. Che cosa significa vivere la Parola oggi?
Per me oggi significa «date e vi sarà dato», perché questo è il passo del Vangelo che in questo mese il Movimento si impegna a vivere in modo particolare. E che poi si concretizza davvero nella vita di ogni giorno. Un esempio? Qualche giorno fa al mercato una persona ha confidato quasi in lacrime a una di noi di attraversare un momento difficilissimo dal punto di vista economico, tanto da non riuscire a far fronte alle necessità quotidiane della famiglia. Appena saputo di questa situazione abbiamo messo in una borsa quanto avevamo in casa e glielo abbiamo portato. Poco dopo qualcuno ha suonato alla nostra porta e ci ha portato una borsa che conteneva esattamente quello che noi avevamo dato alla persona in difficoltà. Ecco, questa per me è la Parola del Vangelo: una sfida alla quale devo credere. Se io mi fido davvero del Signore e vivo quello che Lui mi dice, vedo la sua opera.
Il prossimo primo dicembre, per volontà di Chiara, sarà inaugurato nella cittadella mariana di Loppiano l’Istituto universitario Sophia. Di che cosa si tratta?
Sì, Chiara aveva sognato quest’università sin dagli inizi, quando aveva intuito che la luce del carisma dell’unità avrebbe illuminato anche scienza e arte, economia e politica e avrebbe fatto nascere una nuova scuola di pensiero. Proprio nell’ultimo anno di vita, Chiara ha dato un forte impulso alla sua nascita. Ora quel sogno è diventato realtà. Le lezioni sono iniziate il 13 ottobre scorso. Gli studenti sono quaranta, e provengono da quattordici Paesi di quattro continenti. Nasce quindi internazionale. In questo momento di crisi culturale, nel quale i saperi sono spesso frammentati e in conflitto, l’Istituto Sophia vuole dar vita a una comunità accademica all’interno della quale la relazione tra studenti e professori sia alla base della relazione tra le discipline, e studio ed esperienza siano strettamente coniugati. Altri atenei ci hanno già offerto la loro collaborazione. Chissà che il nuovo Istituto non rappresenti un punto di convergenza del sapere umano, dal quale scaturisca una nuova luce per l’umanità!
La promozione dell’unità e del dialogo, l’evangelizzazione, il sostegno alla famiglia, la formazione dei giovani: sono tanti i campi nei quali il Movimento è impegnato. Ma qual è, secondo lei, la sfida prioritaria per la Chiesa del futuro?
Ho avuto il privilegio di vivere l’esperienza del Sinodo dei vescovi come uditrice. Ho potuto far mie le esigenze più profonde della Chiesa e dell’umanità che sono risuonate nell’aula vaticana. Di fronte a tante insicurezze e drammi, la sfida più grande della Chiesa oggi – è la voce di tanti – è mostrare la certezza che Dio ci ama, che Lui guida la grande storia del mondo, come la nostra piccola storia. Mostrare, prima di tutto con la testimonianza, che la Parola di Dio è viva e ha una grande forza trasformante.
la scheda
Il Movimento in breve
Il Movimento dei Focolari (denominato anche Opera di Maria) è un movimento di rinnovamento spirituale e sociale, fondato da Chiara Lubich il 7 dicembre 1943. Diffuso in 182 Paesi, si profila con la fisionomia di un piccolo popolo composto da persone di diverse razze, culture, categorie sociali. Il suo carisma è l’unità. Lo scopo, contribuire a comporre nella fraternità la famiglia umana attraverso i dialoghi (interreligioso, ecumenico, con persone senza una fede religiosa, all’interno della propria Chiesa e con i vari ambiti della cultura contemporanea). I membri effettivi sono oltre 140 mila; gli aderenti circa 2 milioni. Quali modelli di convivenza sociale ispirata al Vangelo sono nate nel mondo 33 cittadelle, alcune delle quali in fase iniziale. La prima e più sviluppata sorge a Loppiano (Firenze).
Info:
Centro Internazionale Movimento dei Focolari, via Frascati 306 - 00040 Rocca di Papa (Roma), tel. 06 947989; e-mail: sif.press@focolare.org
Sito: www.focolare.org
Zoom
In ricordo di Chiara
Un giorno – di tanti anni fa – un compagno di liceo mi mise tra le mani un foglietto invitandomi a leggerlo e a «vivere» quel che vi era scritto. Il minuscolo foglio, sotto la scritta «Parola di vita», conteneva una frase del Vangelo con un essenziale commento spirituale redatto, mi informò poi l’amico, da Chiara Lubich, una giovane di Trento che, dopo aver vissuto gli orrori della guerra, s’era convinta che per evitare il ripetersi di quell’inferno fosse necessario ristabilire tra le persone e nella società rapporti nuovi, ispirati all’amore fraterno predicato da Gesù, e perciò cemento di un’unità difficile da incrinare. Con un numero crescente di amiche e amici, costituitisi poi nel Movimento dei Focolari, Chiara stava provando a ristabilire quei rapporti.
La lettura della «Parola di vita» per qualche tempo diede tono alle mie giornate. Fu così che degli amici mi convinsero che dovevo conoscere di persona l’autrice di quegli scritti. Andai con loro a uno degli incontri che chiamavano «Mariapoli», e lì la sentii parlare: convincente, appassionata ma senza forzature, raccontava il suo sogno di unità e di pace, a partire dal Vangelo. Un sogno che la gioia e l’amore che sentivo vibrare intorno rendevano credibile e possibile. Tornai a casa entusiasta. Ma non mi spinsi oltre, pur continuando a seguire il Movimento e a registrarne da giornalista il prodigioso radicarsi in ogni parte del mondo, spargendo semi ed esempi di unità e di speranza. Mai avrei pensato che un giorno il mio cammino si sarebbe incrociato con quello di alcuni familiari di Chiara e di persone che avevano fatto proprio il suo sogno: il fratello Gino, che mi è stato amico e maestro nel difficile mestiere dello scrivere, Piero Pasolini, Spartaco Lucarini, Claudio Mina, Lalla Castellani, Guglielmo Boselli. E altri ancora, tutti giornalisti che, sotto la guida di Gino (caporedattore), hanno contribuito con la loro esperienza e professionalità a costruire il «Messaggero di sant’Antonio» in uno dei momenti più delicati del suo sviluppo (anni Settanta), portandovi la ricchezza spirituale, la sensibilità e l’apertura ai problemi delle persone e del mondo che condividevano con Chiara, e che bene si innestavano nella tradizione della rivista. Focolarini della prima ora, persone straordinarie, ricche di umanità, capaci di attenzioni e di amicizie profonde che creavano unità e che ti facevano dire: se questi sono i frutti, l’albero, cioè Chiara e il Movimento, deve essere davvero buono.
Gino era molto restio a parlare di Chiara. Nutriva per lei grande stima, ma una forma di pudore e di rispetto per sé e per la sorella lo ha sempre fatto apparire quasi lontano, estraneo, orgogliosamente attento a non far ricadere su di sé meriti o favori a motivo di quel legame di sangue. Nel tempo in cui è stato caporedattore della nostra rivista, ad esempio, non ha chiesto alla sorella un’intervista, per essere, magari, il primo a svelare qualcuno dei tanti e importanti progetti cui lei stava lavorando nella Chiesa, e non le ha mai dedicato più dello spazio necessario a riportare una notizia, tra le altre, sulle iniziative del Movimento.
Parlava volentieri di lei quando l’argomento erano le grandi aperture di Chiara ai lontani, ai non credenti, alle altre confessioni cristiane e alle altre religioni: un ecumenismo globale, a volte profetico, per rispondere alle richieste sempre più diffuse di dialogo, di ponti di pace, unità e giustizia. Allora gli occhi di Gino brillavano: era quello il terreno nel quale le loro esperienze di vita, che per un tratto erano andate in opposte direzioni (lei fervente cattolica, lui militante del partito comunista, fino all’invasione russa dell’Ungheria), si incontravano. In fondo si battevano per gli stessi ideali: Chiara con la spirituale certezza che le veniva dalla fede, e Gino, con slancio e sincerità, ma anche con tutti i dubbi di un laico sempre alla ricerca.
Piero Lazzarin