Il futuro del cristianesimo
Da qualche anno sono in netta crescita le analisi e le proiezioni sul cristianesimo. Molti esperti, sociologi, storici, filosofi, teologi, uomini di Chiesa ma anche studiosi non credenti, tastano il polso alla più grande tra le religioni del pianeta per verificarne lo stato di salute. Le domande sul futuro, a livello quantitativo e soprattutto qualitativo, sono incalzanti: che ne sarà del cristianesimo nei prossimi decenni? In un contesto di irreversibile pluralismo religioso, qual è la funzione specifica di questa religione tra altre? Ne abbiamo parlato con Carmelo Dotolo, docente di Teologia fondamentale presso alcune facoltà romane. Il professor Dotolo è laico e teologo, sposato con due figlie, e vive tra insegnamento, ricerca e scrittura, ricoprendo anche alcuni incarichi istituzionali di spicco. Tra l’altro è presidente della Sirt (Società italiana per la ricerca teologica), un’associazione che riunisce docenti di diverse discipline con la finalità di promuovere l’investigazione critico-scientifica in campo teologico, curando in particolare la comunicazione dei risultati ottenuti.
Msa. Alcuni mesi fa sui giornali italiani si è parlato con enfasi del fatto che l’islam avrebbe superato numericamente il cattolicesimo. Anche se quest’ultimo cresce, i ritmi di crescita dell’islam – anche solo per motivi demografici – sono maggiori. Cosa ne dice di questa «guerra dei numeri»?
Dotolo. È difficile poter controllare le statistiche, soprattutto se cercano di monitorare lo stato di salute di una religione. Tuttavia, esse pongono degli interrogativi e rinviano a una riflessione. Se l’islam cresce è perché, forse, risponde a un bisogno particolare di religione, capace di offrire identità stabili e certe rispetto alla pluralità delle fedi. Al di là dei numeri, la stessa religione cattolica sta vivendo una stagione di significativo rinnovamento, in un momento delicato di transizione. In particolare, sta emergendo una diversa comprensione dell’appartenenza credente che fa riferimento alla scoperta conciliare di essere popolo di Dio. Per questo, non è decisivo essere più o meno numerosi. Ciò che conta è la consapevolezza che il passaggio da una condizione maggioritaria a una minoritaria richiede di delineare meglio la propria identità.
La visita del Papa in Brasile, nel mese di maggio, ha messo in evidenza le difficoltà del più grande Paese cattolico del mondo, collocato a sua volta nel continente dove vive circa la metà dei cattolici, più di mezzo miliardo. Le sette avanzano e il cattolicesimo retrocede. È un problema solo latinoamericano?
Non penso sia solo un problema del continente latinoamericano. Il fenomeno delle sette esprime un desiderio di vivere l’esperienza religiosa in modo più immediato e affettivo. Soprattutto in risposta a un certo disagio, tipico dei nostri giorni, nei riguardi delle istituzioni religiose e dei loro ruoli tradizionali. Non entro nel merito delle modalità e delle strategie che sono alla base dei metodi con cui le sette convincono a entrare in un gruppo o nell’altro. Mi interessa sottolineare la provocazione che pongono alla fede cristiana, in particolare il modo in cui la percepiscono. Ebbene, una delle risposte ricorrenti è che la vedono lontana dalle domande della vita di ogni giorno, incapace di aiutare a superare la routine o le fatiche del quotidiano.
Veniamo al suo libro, più di 400 pagine per parlare del volto contemporaneo del cristianesimo. Perché il titolo Un cristianesimo possibile?
Una delle opinioni più comuni è che viviamo in un’epoca postcristiana. Vale a dire, in un tempo in cui il cristianesimo ha esaurito il suo compito. Non si tratta di una negazione, ma di una constatazione: il cristianesimo è una delle possibili opzioni e non la condizione necessaria perché l’uomo possa realizzarsi. La scoperta di una pluralità di religioni, la presenza di altre visioni del mondo e molteplici prospettive etiche, sembrano aver scosso l’immagine di un cristianesimo necessario. L’espressione «non possiamo non dirci cristiani» non è affatto evidente. A prima vista, una simile lettura può indurre scoraggiamento e smarrimento. Al contrario, penso che il cristianesimo abbia molto da dire rispetto alle domande di senso e in vista della costruzione di un’umanità differente. A condizione, però, di entrare in dialogo attento e critico con la cultura contemporanea.
Riprendendo il titolo di un libro del grande teologo canadese J. M. Tillard, che lei cita nelle prime pagine del suo volume, è vero o non è vero che siamo gli ultimi cristiani?
Forse siamo gli ultimi rappresentanti di un certo stile di cristianesimo. Senza dubbio l’ipotesi può sorprendere, ma non meravigliare. Ciò che costituisce il diventare o l’essere cristiano non è qualcosa che può essere definito una volta per sempre. Dobbiamo scrollarci di dosso l’abitudine a pensare che la fede cristiana sia nell’ordine naturale delle cose, un esercizio semplice e quasi immediato di religiosità. È quanto dice il documento della Conferenza episcopale italiana, L’iniziazione cristiana 3, n. 15. «“Cristiani non si nasce, ma si diventa”, attraverso un processo di conversione. Si nasce e si può vivere come uomini e donne religiosi; cristiani si diventa rispondendo a una chiamata della Parola di Dio, maturando uno stile di vita evangelico».
Lei parla della necessità, oggi più che mai, di ritornare a scrutare i segni dei tempi, consapevoli delle molte contraddizioni della storia e della necessità di entrare in dialogo con gli altri. Oggi, com’è impegnata la Chiesa in questo compito? Quali sono i segni dei tempi agli inizi del XXI secolo?
Vorrei ribadire un principio interpretativo. Leggere i segni dei tempi vuol dire prendere coscienza che la storia dell’umanità porta con sé luci e ombre, attese e disincanti. Se così non fosse, non ci sarebbe bisogno alcuno di comprendere il tempo in cui si vive. La Chiesa sa che dietro la ricerca dell’uomo si cela il desiderio di un’esistenza differente, migliore. E sa anche che il Vangelo è capace di intercettare e orientare tale desiderio. Per questo, con spirito profetico condivide le attese e le domande dei nostri contemporanei. La critica alle ingiustizie e violenze, la ribellione a un’ideologia del profitto e del mercato, il bisogno di una spiritualità au-tentica, lo sforzo per trovare un ethos comune sulle principali questioni della vita, non sono, forse, segni di quella liberazione cui aspira ogni persona?
Tra la prima parte del suo libro, in cui delinea gli orizzonti culturali, religiosi ed etici del mondo contemporaneo, e la seconda parte, dove organizza un percorso di risposta senza offrire soluzioni a buon mercato, c’è un capitoletto che fa da intermezzo: «Il cristianesimo tra crisi di identità e ricerca di futuro». Il cristianesimo è dunque in mezzo al guado? C’è futuro per il cristianesimo e quale?
C’è un futuro per il cristianesimo, perché è inscritto nel suo Dna: trasfigurare l’uomo e la vita nella lotta per la libertà e la felicità. È solo questione di qualità, che lo Spirito garantisce ogni volta che si è agli inizi di un tempo nuovo. Su questa certezza si innesta la possibilità del cristianesimo come dono che «dà da pensare». Esso testimonia l’irriducibile sorpresa del Dio che in Gesù Cristo ha aperto una «crisi diversa», perché non illude, né simula soluzioni a buon mercato, ma risveglia l’inquietudine e la passione della ricerca.
Così, a bruciapelo: il cristianesimo è ancora interessante per l’uomo secolarizzato della nostra Europa?
Sì, certamente. Non ho dubbi, per un semplice motivo: il cristianesimo è una religione che mostra il volto di un’umanità inedita, sul modello di Gesù di Nazaret. E l’uomo secolarizzato è attento a proposte che sanno far emergere un volto diverso del divino. Come non rimanere affascinati dall’incontro con l’umanità di Dio che si avvicina alla storia nel dono gratuito della vita fino alla morte?
In un mondo caratterizzato da un evidente e irreversibile pluralismo religioso, la proposta cristiana di una salvezza che viene dalla singolarità di Gesù Cristo Salvatore a volte infastidisce i credenti di altre religioni. Qual è la funzione delle religioni in un contesto multireligioso?
La questione è complessa e delicata. Si ha quasi la sensazione che una tale pluralità rappresenti più un ostacolo che un’occasione per interpretare il significato dell’esperienza religiosa. A mio avviso, siamo invitati a modificare il nostro sguardo. La riscoperta delle religioni indica che la cultura può aprirsi al riconoscimento del Mistero ultimo che è a disposizione del cammino dell’uomo. Diventa decisiva, dunque, la capacità di dialogo per scoprire la ricchezza delle altre tradizioni religiose e, al contempo, recuperare la singolarità rivelativa di Gesù Cristo.
La Chiesa, come lei scrive, è nel mondo segno di un’umanità differente e per molti aspetti alternativa. Da dove si vede oggi la proposta alternativa della Chiesa?
Dal fatto che non si percepisce come una setta, né un gruppo che si distacca orgogliosamente dal tessuto sociale comune. Piuttosto, essa è compagna di viaggio che mostra la passione per ogni cammino di speranza e solidarietà. Qui si coglie la sua alternatività: segno dell’Amore e spazio di relazioni nuove, in cui l’umano è custodito e promosso. Basta guardare alle diverse forme di presenza discreta, alla sua capacità di stare dalla parte degli ultimi, di denunciare i meccanismi ingiusti del mondo, di offrire una spiritualità critica e aperta.
Ci può riassumere le conclusioni del suo libro, in cui porta a sintesi, rilanciandolo, il suo discorso sulla costruzione di un cristianesimo possibile?
Il cristianesimo ha nella storia un compito prezioso: la notizia insperata, ma possibile, di un mondo nuovo. L’importante è non smussarne la singolarità, costringendo il Vangelo negli schemi dell’ovvio e del già inteso. Esso può rappresentare una nuova Pentecoste del senso se innesta l’interpretazione della vita nel progetto di Gesù Cristo.
la scheda
Testi e biografia
Carmelo Dotolo, nasce ad Ariano Irpino (AV) nel 1959. Professore straordinario di Teologia delle religioni nella Pontificia Università Urbaniana e docente invitato alla Pontificia Università Gregoriana, è attualmente presidente della Società Italiana per la ricerca teologica (Sirt). Tra le sue pubblicazioni: La teologia fondamentale davanti alle sfide del pensiero di G. Vattimo, Las 1999; La rivelazione cristiana: Parola, evento, mistero, Paoline 2002; Gesù Cristo, Figlio di Dio e Signore, Dehoniane 2004 (in collaborazione); L’ultima fatica: Un cristianesimo possibile. Tra postmodernità e ricerca religiosa, edito dalla Queriniana, è un testo ricco di stimoli, impegnativo e complesso allo stesso tempo.