Il germoglio di Mbarara
Quando nel marzo scorso il Papa si è recato in Africa, prima in Camerun e poi in Angola, ha parlato di noi e di loro. Di noi che in Occidente abbiamo scatenato una crisi economica senza precedenti, soprattutto a motivo di un deficit di etica, e di loro, vale a dire dei Paesi africani che – in gran parte già duramente provati – subiscono i contraccolpi di una situazione che sembra difficile da controllare e da contrastare. Come si sa, quando tira aria di crisi i soggetti svantaggiati – sia a livello individuale che collettivo – diventano ancor più l’anello debole del sistema, e su di essi si scaricano tensioni e contraddizioni scaturite altrove. Nel discorso pronunciato martedì 17 marzo all’arrivo nell’aeroporto Nsimalen di Yaoundé, capitale del Camerun, il Papa ha sottolineato con forza questo scandalo: «In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di modelli disturbati di cambiamenti climatici, l’Africa soffre sproporzionatamente: un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà, della malattia. Essi implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro». Situato in Africa centrale, il Camerun, essendo patria di più di duecento etnie (con ottanta lingue diverse) che vivono tra loro in armonia, viene anche definito come un’«Africa in miniatura». Perciò le parole di Benedetto XVI hanno da lì risuonato in modo del tutto particolare.
Affinché il panorama non appaia troppo carico di pessimismo e di negatività, come purtroppo lasciano intendere troppi e unilaterali discorsi sul continente africano, bisogna subito dire che il Papa ha disseminato tutti i suoi interventi di luminosi segnali di speranza, declinando al futuro potenzialità e risorse. Quella dei giovani, ad esempio, che sono per le nazioni africane un capitale prezioso e quasi unico, un vero e proprio anticipo dell’avvenire; l’apporto di antichissime culture ricche di valori umani e spirituali, con una religiosità profonda e aperta al dialogo; l’impegno educativo della Chiesa che intercetta un’esigenza fondamentale per il domani di queste terre; i passi verso la democrazia, pur con lentezza e a volte con involuzioni, da parte di molti Stati… Non soltanto il «continente oscuro» dunque, quasi isolato e immobilizzato nelle sue condizioni di arretratezza atavica, ma un vivace mosaico di razze e culture, in sintesi «una terra di vita, di pace, di giovani»: sono ancora le parole del Papa. Tutti ci auguriamo che sia davvero scoccata l’«ora dell’Africa», che cioè un circolo virtuoso sostenuto da tutti si attivi per far cambiare di segno la situazione, per permettere a promettenti germogli di sbocciare e di crescere.
Anche noi frati, con la Caritas Antoniana, vogliamo prenderci cura di uno di questi germogli con un progetto che coinvolge bambini e mamme malati di Aids. In Uganda oltre due milioni di bambini sono rimasti orfani a causa dell’Aids e molti di loro sono già contagiati dalla malattia. Molte mamme si trovano nelle medesime drammatiche condizioni, e l’impossibilità di accudire i propri figli è causa di disturbi psichici devastanti. La malattia si trasforma così in isolamento dalla comunità, in vera e propria emarginazione, e il dramma si dilata.
Che fare? Innanzitutto, la prima scelta è quella di non rimanere spettatori. È poi necessario scegliere un punto di partenza, piccolo ma realistico, che incarni lo stile di un fare solidale. Concretamente vi proponiamo di essere con noi nella costruzione di una casa-famiglia (a Mbarara, in Uganda) in grado di ospitare settanta bambini e quindici mamme, ma anche un ambulatorio, aule, laboratori per avviamento al lavoro, ecc. Un piccolo grande segno di condivisione, di vicinanza ai più poveri, di speranza per tutti.