Il lavoro del futuro
Energia pulita è la parola del futuro. In Italia lo ha decretato il 90,5 per cento delle persone intervistate nel corso di un recente sondaggio Demo-Cop. E, a livello planetario, lo ha pure suggerito il nuovo film sbanca-botteghino della Disney, Cars 2, centrato su un complotto internazionale ordito da un vecchio magnate del petrolio proprio per boicottare gli investimenti nella ricerca di fonti di energia pulite e rinnovabili.
Sondaggio e film, immaginario collettivo e fantasy, rimandano a un tema caro agli economisti già da qualche anno, vale a dire la cosiddetta green economy, che oggi sembra essere la risposta più efficace, e inevitabile, alla somma di due crisi, quella economica e quella ambientale.
Sfruttare con efficienza l’energia e le materie prime, intervenire sugli ecosistemi senza danneggiarli, guardare ai rifiuti come a una fase del continuo divenire delle merci e non come a un elemento da espellere dal ciclo produttivo sono le coordinate su cui corre la rivoluzione verde che sta cambiando il mondo, come scrivono Antonio Cianciullo e Gianni Silvestrini nel libro La corsa della green economy (Edizioni Ambiente). Da settore di nicchia delle economie e politiche mondiali, le tematiche ambientali stanno diventando temi «pesanti» a cui guardano con interesse, tra gli altri, anche aziende e sindacati, i primi sperando negli incentivi governativi per produzioni e investimenti eco-compatibili (la Cina, nel 2009, ha riconosciuto aiuti fiscali «verdi» per 221 miliardi di dollari, gli Usa per 94 e l’Unione europea per 61) e i secondi puntando sulle possibilità di nuove occupazioni.
In realtà le stime sui futuri nuovi posti di lavoro sono delle più varie, anche perché l’ambiente costituisce potenzialmente un bacino immenso, dove, oltre a nuovi lavori, sono soprattutto le vecchie professioni che possono «ripulirsi» e darsi così una nuova eco-identità: dalla difesa del suolo all’utilizzazione delle acque; dalle aree protette al turismo sostenibile; dalle energie rinnovabili all’architettura a basso impatto ambientale; dalla gestione integrata dei rifiuti urbani alle biotecnologie sostenibili; dall’acquacoltura ecocompatibile all’agricoltura biologica allo sviluppo partecipato: sono ben nove i macrosettori in cui investire per creare eco-professioni, secondo quanto riportato da uno studio del programma «Leonardo da Vinci» dell’Isfol (www.programmaleonardo.net).
Pensando a questi temi, infatti, il primo settore che viene alla mente è quello delle professioni relative alle energie rinnovabili – e quindi esperti nel trattamento dei rifiuti, nell’eolico e nel solare… – ma dietro il grande buco dell’ozono si nascondono centinaia di altre possibilità per lavorare e dare una mano al pianeta: dalla guida ambientale turistica al tecnico degli impianti a basso impatto ambientale, all’agricoltore biologico, al parrucchiere attento a ridurre consumo di acqua ed energia, allo chef che usa solo prodotti biologici, agli stilisti con un occhio all’estetica e un altro a filati e tessuti bio.
È dunque tutto roseo il futuro green? A smorzare eccessivi entusiasmi ci pensa Marco Frey, economista, docente alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e alla Bocconi di Milano, consigliere nazionale del Wwf, che si occupa di ambiente da venticinque anni. «A mio parere le opportunità della green economy sono molto enfatizzate: in un momento come questo abbiamo bisogno di un’alternativa a un modello economico che ha mostrato le sue criticità. Individuando i vari livelli è difficile valutare quanti posti di lavoro si creeranno in futuro: in un quadro complessivo l’aumento sarà, comunque, significativo, ma non bisogna considerarla una panacea ai nostri problemi perché, contemporaneamente, assistiamo a una riduzione dei posti di lavoro nei campi tradizionali.
Uno studio svolto da una Fondazione indipendente, e citato anche di recente in alcune comunicazioni della Commissione europea, prevede, entro il 2050, un consistente effetto positivo dal punto di visto dell’occupazione in Europa: oltre 500 mila nuovi posti di lavoro che possono diventare 5 milioni a livello mondiale». Anche il recente rapporto dell’agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), Towards a Green Economy: Pathways to Sustainable Development and Poverty Eradication (www.unep.org), mostra, a macchia di leopardo, quali opportunità potranno crearsi nei differenti Paesi investendo sulla green economy.
La sfida dell’acqua
Ma quali sono i settori più importanti cui guardare? «Ultimamente si è parlato tantissimo della low carbon economy, (vale a dire l’economia a bassa emissione di carbonio ndr) perché i temi del cambiamento climatico e dell’effetto serra in primo luogo vengono associati all’emergenza energetica: la grande attenzione istituzionale ha fatto sì che, anche nel nostro Paese, in questo campo ci siano stati degli spostamenti significativi di imprese, risorse e investimenti per eolico e fotovoltaico. Ma questa è solo la punta dell’iceberg – spiega Frey –. La partita più importante è quella dell’acqua, risorsa più contesa dell’energia perché vede tanti utilizzatori in potenziale conflitto gli uni con gli altri. È una risorsa scarsa, ed è un nodo complicato su cui si sono espressi anche i referendum.
Una gestione che comunque va regolata, anche perché la nostra rete in alcuni casi è capace di perdere anche il 30 per cento dell’acqua che trasporta». Gli altri campi citati da Frey sono il ciclo dei rifiuti, la cura delle biodiversità («Se si vuole ritornare a stili di vita più naturali, la ricchezza che la natura è capace di dare sotto forme diverse è fondamentale») e la chimica: «Cercando di recuperare alcune delle difficoltà, anche di accettabilità sociale, che si sono create in passato, oggi alcune imprese hanno cominciato a offrire prodotti innovativi e la chimica verde è una componente molto importante della nostra ricerca industriale».
Formazione necessaria
Investire in green economy, dicono gli esperti, significa prima di tutto spendere nel campo della formazione. Ma qual è il curriculum di studi migliore? «Nelle Università ci sono tante discipline nelle quali ci sono stati o ci saranno aggiornamenti in questo senso – afferma Frey –. Chi invece preferisce un corso di studi più veloce, potrà rivolgersi a uno dei corsi tecnici per progettisti, installatori, o per acquisire competenze nel ciclo dei rifiuti o dell’acqua». La ricerca dell’Isfol riporta che nel censimento sull’offerta formativa 2008-2009 in Italia sono stati rilevati 2.033 percorsi formativi ambientali (1.129 percorsi di formazione professionale, in prevalenza al Nord; 696 corsi universitari, per lo più al Sud; 208 percorsi post-laurea, in maggioranza al Centro).
Infine, negli anni, sono aumentati i corsi offerti dai privati e sono diminuiti quelli con finanziamento pubblico. In generale, per quanto riguarda la formazione, «lo sviluppo di un’economia a bassa emissione di carbonio dipende dal miglioramento delle competenze esistenti anziché da specifiche competenze verdi» afferma una Nota informativa del Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop). In parole povere, se la specializzazione in alcune professioni «verdi» sarà indispensabile, è pur vero che la maggior parte degli investimenti riguarderà la conversione delle vecchie professioni: l’installatore di impianti elettrici che aggiorna la sue competenze e progetta impianti nell’energia solare; l’operatore industriale che impara a usare le turbine eoliche e così via.
«I lavoratori dei settori della costruzione navale, del comparto dell’olio e del gas sono molto ricercati nel campo delle energie rinnovabili per le loro competenze in saldatura, trattamento delle superfici e allestimento – dice Peter Szovics, del Cedefop –. La richiesta di competenze verdi è specifica per determinati settori e società, ma vi è una crescente domanda di professioni nell’ambito delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica. E in alcuni Paesi europei mancano le competenze tecniche e di gestione per determinate professioni, molte delle quali relative a scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Questo aspetto è più preoccupante della carenza di competenze “verdi”».
Tornando all’Italia, al di là dell’impatto economico e lavorativo, il professor Marco Frey sottolinea ancora come alcune esperienze che stanno maturando siano anche lo specchio di «una logica che fa qualche passo indietro rispetto a un orientamento – il consumo esasperato –, che forse è la ragione primaria per cui in questo momento ci troviamo ad avere tanti scarti, a partire da quelli alimentari». Il riferimento è, per esempio, a quanto sta succedendo ad alcune cooperative e imprese sociali, che operavano tradizionalmente a supporto delle pubbliche amministrazioni e oggi «si occupano proprio del riciclaggio dei rifiuti, andando al recupero originario nella logica dei mercatini dell’usato: ancora prima che un rifiuto entri in una discarica si trova un modo per riaggiustarlo o riutilizzarlo».
Il ciclo del riciclo
È il caso de «Il ciclo del riciclo», un progetto che a Bologna, nel settore della raccolta, trattamento e recupero dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche è diventato l’ambito di formazione e inserimento lavorativo per persone in situazioni di difficoltà e a rischio emarginazione. Altri esempi, racconta Frey, «sono le botteghe che aggiustano e riutilizzano pezzi di vecchi computer, le piccole botteghe sartoriali di quartiere dove i vestiti vengono portati per un rammendo. Si tratta di negozi specializzati che cercano in qualche modo di allungare la vita dei nostri prodotti. Questo, dal punto di vista culturale, è una svolta importantissima: non dobbiamo aspettarci che le imprese e una serie di settori vadano oltre un certo livello di efficienza e attenzione allo stile di vita: ciò che è fondamentale è l’impegno dell’individuo».
Insomma, il paradigma dell’efficienza energetica è un’ottima rappresentazione di che cosa si può fare per l’ambiente e per il proprio portafoglio: utilizzo di lampadine a basso consumo, attenzione alla coibentazione degli ambienti, perché non ci sia dispersione di calore, correttezza nell’uso dell’acqua e nella gestione rifiuti, sono tutti fattori che «possono portare a un vantaggio per il singolo e per la collettività. Il problema – dice ancora Frey – sono gli incentivi. Se un individuo raccoglie in maniera differenziata dovrebbe esserci una differenza significativa anche nella sua tariffa per l’asporto dei rifiuti. Ma ancora una volta entrano in gioco il settore pubblico e l’incapacità di premiare i comportamenti virtuosi».
Cosa altro chiedere, dunque, all’autorità pubblica? «In primo luogo una pianificazione a lungo periodo, perché è da trent’anni che attendiamo un piano energetico nazionale. Quindi, un’attenzione nel campo dei rifiuti, meccanismo lasciato ai localismi. Infine, una politica industriale che identifichi, oltre ai servizi essenziali da garantire ai cittadini, quei settori in cui possiamo essere competitivi».
Giornata per la salvaguardia del creato.
Educare all'accoglienza
Il primo settembre si celebra in Italia la sesta Giornata per la salvaguardia del creato, sul tema «In una terra ospitale, educhiamo all’accoglienza». Nel messaggio dei vescovi italiani dedicato alla Giornata si dice: «Educare all’accoglienza a partire dalla custodia del creato significa condurre gli uomini lungo un triplice sentiero: quello, anzitutto, di coltivare un atteggiamento di gratitudine a Dio per il dono del creato; quello, poi, di vivere personalmente la responsabilità di rendere sempre più bella la creazione; quello, infine, di essere, sull’esempio di Cristo, testimoni autentici di gratuità e di servizio nei confronti di ogni persona umana».
La Commissione Ceiper i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace e quella per l’ecumenismo e il dialogo hanno curato un sussidio in preparazione all’evento, dove, tra l’altro, vengono proposte alcune iniziative da prendere e segnalati alcuni siti dedicati ai temi ambientali:
l Database di testi sulla salvaguardia del creato:
www.progettoculturale.it
l Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro:
www.chiesacattolica.it/lavoro
l Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee):
www.kath.ch/ccee/italiano/ambiti/ambiente.htm
l Consiglio ecumenico delle Chiese:
www.wcc-coe.org
l Convocazione ecumenica «Gloria a Dio e pace sulla terra»:
www.overcomingviolence.org
l Rete ambientale cristiana europea:
www.ecen.org
l Rete interdiocesana Nuovi stili di vita:
www.reteinterdiocesana.wordpress.com