Il Liberty, uno stile di vita

A Palazzo Zabarella di Padova in mostra un periodo dell’arte poco conosciuto e un tempo anche snobbato, sul quale si e riaccesa l’attenzione. Con molte sorprese.
10 Gennaio 2002 | di

 A Palazzo Zabarella di Padova, è aperta una grande esposizione dedicata a un`€™epoca e a un gusto che vorremmo definire europei: «Il Liberty in Italia». Curata da Fabio Benzi, che si è avvalso di un comitato scientifico formato da Maria Grazia Tolomeo, Paolo Portoghesi, Anna Maia Damigella, Maria Teresa Benedetti, Giuliana Gardelli, Maria Paola Maino, Marino Barovier, Alberta Campitelli, Paola Pallottino, Claudio Crescentini, Arianna Antoniutti Bazzari, Anna Mattei Strinati e Johannes Streicher.

Li ricordo tutti, perché la prima caratteristica della mostra padovana, che viene dopo quella romana al Chiostro del Bramante, di cui costituisce l`€™ampliamento storico ed espositivo, è quella di percorrere tutte le arti, minori e maggiori, che furono il frutto di questo gusto, di questa vera e propria forma onnicomprensiva di rivoluzionare tutte le arti, che percorse l`€™Occidente dagli anni `€™80 del XIX secolo ai primi due decenni del XX. Il Liberty, infatti, come stile e come gusto, lo troviamo negli utensili, nei mobili, negli abiti, nei gioielli, nei libri, nella grafica e nella cartellonistica, come nei vetri e nell`€™architettura.

Che cosa sia stato il Liberty è, forse, abbastanza chiaro, perché, essendo un clima e un gusto, ebbe una diffusione capillare. Al contrario, non è proprio pacifico né chiaro né semplice identificare storicamente la sua traccia e circoscriverla rispetto alle arti e alla sua applicazione.

Le 350 opere in mostra a Padova vorrebbero dimostrare che c`€™è una traccia italiana che conduce al Liberty, soprattutto nelle arti cosiddette maggiori (pittura e scultura) e che anticipa, anzi, le altre forme europee.

Con tutto il rispetto che si deve per chi ricerca e lavora in un campo ambiguo e scivoloso come la critica e la storia dell`€™arte, il tentativo mi sembra destinato a fallire in partenza. Un po`€™ sfizioso, forse, perché, a mio avviso, parte da un presupposto storico precariamente probabile: che esista in pittura uno stile intimamente e propriamente Liberty prima della secessione viennese di Gustav Klimt, che fu, questa sì, il risultato di una cosciente e costante contaminazione delle arti, in quanto «contestazione degli stili storici e desiderio di ritornare ad aprire il dialogo tra le arti minori e le arti maggiori (`€¦) denominatori comuni`€¦ assimilabili per certi versi ai movimenti dell`€™Art Nouveau, dello Jugendstil, del Floreale, che vennero chiamati a volte stile Secessione» (Pansera-Vitta, 1986).

Come vedete vengono fuori altre sigle estetiche e artistiche note come Art Noveau, Jugendstil, stile Floreale, e aggiungerei Art Déco. Per cui, presentando questa interessantissima e affascinante mostra di pittura, scultura, e oggettistica varia che vi circonderà  in un`€™atmosfera ibrida, sempre in bilico fra il raffinato, il Kitsch, l`€™aristocratico e il piccolo-borghese, credo sia necessaria un breve precisazione storica dei tre termini Liberty, Art Nouveau, Art Déco; se mi permettete, accettando l`€™idea che una cosa è la pittura secessionista di Klimt e seguaci in tutto il mondo occidentale, un`€™altra è la pittura ottocentesca italiana, con fortissime anticipazioni certo, di un Boldini e di un De Nittis o quella divisionista di Segantini o Previati, Nomellini o Pellizza da Volpedo; e che, inoltre, una cosa è la scultura «impressionista» di Medardo Rosso e altra la scultura modernista di Wildt, Andreotti o Bistolfi: più o meno legate anche a forme Liberty, per quel tanto che il Liberty più maturo assimilò dalle lentissime risacche neoclassiche, da un lato, e neogotiche dall`€™altro.

 Arthur Liberty è un intelligente e colto mercante londinese che apre a Londra in Regent Street, a due passi da Piccadilly Circus e Trafalgar square, un negozio di giapponeserie (la moda era continuata dopo l`€™Expo del 1862), ma anche di cineserie e altre arti minori orientali o nordafricane: tutte opere che esaltavano la linea elegante e capricciosa, delicata come un fiore. Il successo del negozio, e, soprattutto, la frequenza di alcuni clienti di lusso come William Morris, Alma Tadema, Burne-Jones, Dante Rossetti e Oscar Wilde, lo spinsero a continuare in senso più originale la ricerca mercantile. Si rivolse per questo ad alcuni giovani designers fra cui Archibald Knox (che sta al mondo del design come Picasso sta a quello della pittura). Lo stile era quello celtico: la linea nomadica, senza fine, tutta un ghirigoro fitomorfico (a forma di piante e fiori) che stava un tempo a significare il mistero della vita (nel libro di Kells, ad esempio, codice benedettino irlandese dell`€™VIII secolo) che viene ora ripreso come pura e semplice forma esteriore (ed è già  questo un tipico atteggiamento kitsch, per cui l`€™effetto è scambiato per la causa).

Si può quindi affermare che Liberty, originariamente, non è propriamente uno stile, bensì la caratteristica comune di una serie sempre più complessa e completa di oggetti venduti dal signor Arthur Liberty, che, sull`€™onda del successo commerciale, ordina nuove ricerche a giovani designers: da questo momento (e siamo all`€™incirca negli anni `€™90 del XIX secolo) diviene uno stile di gusto europeo: il Liberty.

Anche Art Nouveau è il nome di un negozio; questa volta a Parigi in rue de Provence (via vicina all`€™Opera e ai nuovi quartieri borghesi della riva destra della Senna), aperto nel 1895 da un tedesco, Samuel Bing, che vende quello che vendeva a Londra Arthur Liberty e i suoi clienti avvertono come, appunto, Arte Nuova.

Ormai, però, questa fine secolo sta producendo uno stile di vita e di pensiero che è forse più una continua e costante contraddizione che un qualcosa di identificabile: positivismo e spiritualismo, umanitarismo e solidarismo e razzismo spietato, colonialismo e apertura alle altre civiltà . Tutto insieme, mescolando malinconia e ottimismi, industrialismo sempre più sfrenato e altrettanto sfrenato desiderio di ritorno alla natura: quel prodotto sociale e di gusto che va sotto il nome di Belle Epoque.

In pittura, in Italia, le recenti e ripetute mostre dedicate a Segantini e quella milanese dedicata a Previati dimostrano queste contraddizioni e questa continuità  con la ricerca post-impressionista (da Van Gogh ai Nabis) e le novità  viennesi secessioniste.

In Italia. Una continuità  interessante anche per l`€™Italia, dove sarà  possibile constatare come in questo clima caotico caratterizzato dal desiderio di uscire dal gusto piccolo-borghese identificato nel gusto accademico, per esaltare le dinamiche della comunicazione (dalla luce al telegrafo), si inseriscano le avanguardie del Futurismo. Non a caso l`€™humus futurista è sicuramente fecondato dalle idee secessioniste e dal generale gusto Liberty, europeo.

Del resto, la linea dolce e avvolgente del gusto Liberty, il «colpo di frusta» che caratterizza la sintassi delle sue composizioni, non contrastano con le idee futuriste; come il modernismo Liberty bene si sposa con le scomuniche al passato dei giovani fiorentini e milanesi, che si prendevano a cazzotti al caffè delle Giubbe Rosse di Firenze e creavano la più rivoluzionaria e anticonformista rivista europea del tempo: «Lacerba», del giovane neo editore Attilio Vallecchi.

Tutto un mondo, un`€™epoca, un gusto che tutto coinvolge, e prende circa un trentennio, dalla fine del XIX all`€™inizio della prima guerra mondiale: dentro questo tutto, alla fine, tutto si confonde e solo la tragedia della guerra gelerà  gli entusiasmi e le certezze baldanzose e inquiete della Belle Epoque.

Non a caso, l`€™erede del gusto Liberty sarà  il Déco, tanto reazionario quanto il Liberty era rivoluzionario, tanto borghese quanto il Liberty era aristocratico, tanto funzionale, quanto il Liberty dalla funzionalità  traeva la forma, e non viceversa. In fondo il Déco chiudeva un`€™epoca, non ne apriva un`€™altra come era accaduto con il Liberty e tutte le sue manifestazioni.

Il vero pioniere della modernità  contemporanea, per alcuni aspetti non così lontano come potrebbe sembrare, sarebbe stata la scuola del Bauhaus, aperta da Walter Gropius nel cuore dell`€™inquieta repubblica di Weimar. Non sarà  un caso, allora, se nelle nostre case ci siano diffusamente ancora i mobili Bauhaus: dalle sedie alle tavole, dai piatti alla posateria; e gli oggetti Liberty siano avvertiti come «antichi», da antiquariato.

È bene ricordare queste riflessioni per godersi (chi la può visitare) questa esposizione, liberandosi dal pregiudizio `€“ questo è a mio avviso - di voler dimostrare l`€™indimostrabile, che esista cioè uno stile Liberty italiano, un Art Nouveau italiana. Liberty e Art Nouveau sono stili europei, cui anche l`€™Italia ha dato il suo significativo contributo, con qualche ritardo fisiologico e qualche posticipo, questo meno fisiologico, dovuto proprio alle sue caratteristiche profondamente tradizionaliste e poco propense alle innovazioni, qualsiasi esse siano.

Basti pensare alle storia della Biennale veneziana, nata nel 1895 con lo scopo di promuovere, con le arti maggiori, le arti minori e l`€™artigianato, che si presenterà  al mondo intero fino al 1920 con cataloghi e decorazioni Liberty.

Il meglio della mostra. Per questo credo che dovremo continuare a gustare le belle opere in mostra per quello che sono e per come e dove sono nate: Salotto della principessa Matilde Buonaparte di De Nittis (1883) di evidente derivazione da Toulouse Lautrec. Abisso Verde di Giulio Aristide Sartorio (1892) raffinata pittura simbolista. Ninfa Rossa di Plinio Nomellini (1900-1991) memore delle esperienze viennesi come della più raffinata pittura simbolista francese. Girotondo (1906-1907) di Giuseppe Pellizza da Volpedo, così vicino alle ormai diffuse esperienze del pointillisme francese e del divisionismo italiano. La famosissima Piccola Russa di Mario Cavaglieri (1913) esposta con successo alla Biennale del 1914, chiaramente secessionista: da sola quest`€™opera vale una mostra e una visita a palazzo Zabarella. Come secessionista è la pittura L`€™ora nostalgica sul Me-Nam (1912) di Galileo Chini; klimtiani alla lettera i suoi due pannelli per il Salone d`€™onore della Biennale veneziana del 1914 con La Primavera classica. Le pitture di Chini, Zecchin, Trentini sono eleganti soluzioni grafiche della grande libertà  compositiva delle creazioni viennesi di Klimt. Una scelta che, prima della guerra mondiale, aveva coinvolto tutti i giovani pittori: da Casorati, a Boccioni, da Bonzagni, a Gino Rossi a Lorenzo Viani, a Guido Trentini, da Teodoro Wolf-Ferrari a Duilio Cambellotti (di questi sono esposte cose buone e belle) e un Angelo Zamboni, forse il più secessionista di tutti fino al 1914-15, di cui non è stato esposto nulla. Ed è una mancanza che si poteva facilmente evitare: bastava chiedere.

Direi, inoltre, che v`€™è più spesso gusto viennese che chiara esperienza Liberty anche nei vetri di Vittorio Zecchin (Vaso a murrine, 1914-19) o nel Piatto farfalla di Teodoro Wolf-Ferrari (1914).

Sono invece esempi di Liberty floreale due splendidi pezzi: Vaso a decorazioni floreali (Vetreria Artisti Barovier, 1920) e Medusa di Giovanni Buffa e Guido Zuccaro (1901).

Un discorso a parte merita dal presenza di Carlo Bugatti, i cui mobili furono la realizzazione in Italia del gusto Liberty, con un che di più massiccio e meno morbido, rispetto al disegno originario, con un certo recupero, ad esempio, di forme supposte egizie o genericamente orientali. E tuttavia Bugatti fu sicuramente un raffinato artista che seppe intervenire con continuità  nella ricerca stilistica che il gusto Liberty aveva inaugurata un quarto di secolo prima, contribuendo con le sue creazioni a diffondere quel clima decadente che è stato la cifra dominante, in Europa e in Italia, in tutte le arti, musica e poesia comprese fino allo scoppio della guerra.

La mostra è accompagnata da un poderoso catalogo pubblicato da Federico Motta, composto di ben quattordici saggi e curato da Fabio Benzi: centinaia di foto a colori per un totale di oltre 380 pagine. Una vera e propria monografia sul Liberty, da cui prendere spunto, per gli appassionati, per andare oltre nella ricerca.

Liberty: non significa «libertà » che in Inglese si dice freedom; è il cognome di un intelligente mercante londinese che nel 1875 aprì un negozio di oggetti orientali in Regent Street. L`€™oggettistica Liberty è caratterizzata dal gusto per una linee fluente, segnata con colori a plat e un disegno, oggi diremmo, squisitamente grafico. Presto, il successo del negozio convinse Arthur Liberty ad aggiungere altre offerte: mobili, tessuti, carta da parati, e a chiamare giovani designers che seppero imporre l`€™eleganza del Liberty sull`€™allora imperante gusto floreale, che tendeva a coprire pareti, strutture e oggetti con festoni di fiori e di foglie, tanto quanto il gusto Liberty esaltava la, apparente, semplicità  e scioltezza della forma: dinamica e altamente decorativa.

Art Nouveau: con questa definizione, oltre agli oggetti di gusto Liberty ormai diffusi per tutta Europa, si comprende l`€™arte della modernità  che stava nascendo nelle secessioni, da quella di Berlino del 1892 a quella più famosa di Vienna del 1897. È un`€™arte giovane `€“ Jugendstil, ma anche nuovo stile floreale `€“ che divenne famosa attraverso l`€™esperienza dei pittori Nabis (discepoli spirituali di Gauguin) interessati alle tematiche dei simbolisti, della pittura popolare e primitiva. Fra i più significativi pittori Nabis: Sérusier, Denis, Vallotton, Vuillard, Bonnard e lo scultore Aristide Maillol, cui molto devono gli scultori europei della prima generazione del XX secolo.

Art Déco: fu la mostra parigina del 1925 a lanciare questo stile, in cui predomina la linea «tracciata con un percorso continuo» per disegnare ed ornare l`€™immagine. «A differenza che nel Liberty `€“ scrive Rossana Bossaglia `€“ la linea non è fluida e ondulata, serpeggiante, bensì secca, piegata ad angolo `€“ sino al tipico andamento a zig-zag o al motivo a greca del labirinto, raccolta a ricciolo piatto o ricadente secondo moduli simmetrici, per lo più netta, perché spaziata». Il migliore esempio italiano di Art Déco potrebbe essere il palazzo delle Terme di Salsomaggiore, complessa opera (iniziata sul finire del XIX secolo e proseguita per qualche decennio) sempre in bilico fra Liberty e Déco.

Per chi voglia saperne di più:

Mervyn Levy, Liberty. Gli anni d`€™oro della Liberty & Co, Rizzoli.

Rossana Boscaglia, L`€™Art Déco, Laterza.

L. Vinca Masini, Art Nouveau, Vallecchi.

Gillo Dorfles, Il Kitsch, Mazzotta.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017