Il mio sant’Antonio

Una figura di riferimento, un maestro, un testimone, una parte di me: così il cardinale Martino, Presidente emerito del Pontificio consiglio giustizia e pace, parla di sant’Antonio.
15 Luglio 2011 | di

Andare per il mondo e incontrare anche nei luoghi più lontani e insospettabili un altare di sant’Antonio, una statua col giglio e il bambinello in una nicchia sperduta, un’immaginetta nelle mani di un’indù o di un musulmano. A raccontarci un prodigio che si ripete da otto secoli non è uno qualsiasi, è il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente emerito del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, alle spalle un passato da diplomatico vaticano di lungo corso.
Msa. Chi è per lei sant’Antonio di Padova?
Martino. Sono terziario francescano da più di sessanta anni e può bene immaginare quanto i santi francescani siano importanti per me. La devozione a sant’Antonio è cresciuta con me perché frequentavo a Salerno, la mia città natale, la chiesa dell’Annunziata, dove uno degli altari laterali è dedicato al Santo. Proprio in quell’altare ogni anno si celebrava solennemente la festa del 13 giugno. Nel tempo ho imparato a conoscere e venerare sant’Antonio più in profondità, nelle sue diverse sfaccettature: il dottore della Chiesa, il taumaturgo, il Santo dei poveri, sempre vicino a quanti sono o si sentono abbandonati.
Che cosa sottintende, secondo lei, l’espressione «fenomeno antoniano»?
Per «fenomeno antoniano» penso che si voglia indicare la devozione al Santo di Padova, diffusa in tutto il mondo, che comprende essenzialmente la fiducia nella Provvidenza presso la quale sant’Antonio è un potente intercessore. Quante volte ho udito la frase: «Chiedilo a sant’Antonio», quando qualcuno aveva esposto un caso di ben difficile soluzione.
Il «New York Times», negli scorsi anni, ha pubblicato una notizia strabiliante: «Sulla terra, dove è passato l’uomo, ivi è rimasta un’immaginetta di sant’Antonio di Padova». Nella sua lunga esperienza di rappresentante della Santa sede all’Onu, a contatto con persone di religioni ed etnie diverse, ha riscontrato la presenza, diretta o indiretta, della figura di sant’Antonio di Padova?
Non posso che concordare con quanto ha scritto il «New York Times». Ricordo benissimo che durante la mia permanenza a New York, come rappresentante della Santa sede alle Nazioni Unite, una volta, avendo incontrato un delegato musulmano che voleva rimanere in contatto con me, gli chiesi il biglietto da visita. Questi prese il portafogli e, mentre cercava il biglietto, intravidi un’immagine religiosa. Gli chiesi di quale santo si trattasse e me la mostrò: era sant’Antonio di Padova. Di risposta alla mia sorpresa mi disse: «Non si meravigli, sant’Antonio non è solo di voi cattolici, è un santo universale, che appartiene all’umanità intera».
Antonio, nei suoiSermoni, è molto tagliente con i prelati e i religiosi corrotti o di costumi scandalosi, fino a rasentare la querelle, diremmo noi oggi. Come mai poteva esprimersi fino all’umiliazione?
Sant’Antonio ci ha dato e ci dà un esempio di coerenza tra fede e azione. «Ha parlato perché ha creduto» (Credidi propter quod locutus sum, II Cor 4,13) dice san Paolo, ha potuto cioè trovare il coraggio di scontrarsi con chi oltraggiava la propria fede, proprio perché aveva una grande fede. Il suo messaggio è attualissimo, perché ancor oggi sono molte le incoerenze tra coloro che si dicono cristiani.
Che dire di sant’Antonio e della politica? È noto il suo intervento presso il Comune di Padova a favore dei capi famiglia in prigione, strozzati dall’usura, e in difesa dei poveri. Un altro segno tangibile del suo impegno sociale è la cassetta del «pane dei poveri», presente in tutte le chiese del mondo. E anche questo aspetto a renderlo una figura universalmente amata?
La fede di sant’Antonio non era una luce riservata alla sua persona, ma si irradiava nel mondo che lo circondava, nella società del suo tempo con le sue ingiustizie e i suoi bisogni. Potrei dire che egli fu un precursore della Dottrina sociale della Chiesa, degli insegnamenti, cioè, che ci vengono dai Papi del passato e del presente in campo sociale. La cassetta del pane dei poveri ci dice che la soluzione dei problemi sociali deve cominciare da quelli più urgenti e di sopravvivenza, insomma dallo sfamare chi è affamato. Ricordo con tanta nostalgia la figura di fra’ Generoso, un francescano minore che, con in mano una cassetta con l’immagine di sant’Antonio, girava per le vie di tutta la mia città, Salerno, per chiedere aiuto per i poveri; anche i mezzi pubblici si fermavano per farlo salire e scendere dopo la questua. A lui bastava dire «sant’Antonio» e la gente donava.
Le sembra appropriato definire sant’Antonio «Il Santo che il mondo ama»?
Come si fa a non amare una persona che è sempre al servizio degli altri, specialmente dei più bisognosi? Sant’Antonio è quella persona e ce ne dà l’esempio.
Che cosa di specifico può insegnarci oggi sant’Antonio?
«I poveri li avete sempre con voi» ci ha detto Gesù (Mt. 26, 11). Sant’Antonio ci ripropone questa evidenza. I poveri li abbiamo sotto casa senza bisogno di andare nei Paesi più sottosviluppati. La povertà, infatti, non è solo materiale, ma è spesso solitudine e abbandono. A volte, un sorriso o una parola buona, possono più di un boccone di pane.
Sant’Antonio, inoltre, ci insegna a evangelizzare e ci mostra che, per fare questo, non c’è bisogno di partire per le missioni in cerca di pagani da convertire. Il nostro modo di evangelizzare è la testimonianza di vita. Paolo VI nella Lettera apostolica Octogesima adveniens, scritta in occasione degli 80 anni dalla pubblicazione dell’enciclica sociale Rerum Novarum di Leone XIII, ci ricorda che «Oggi più che mai la parola di Dio non potrà essere annunciata e ascoltata se a essa non si accompagna la testimonianza della potenza dello Spirito Santo che opera nell’azione dei cristiani posta al servizio dei fratelli, proprio su quei punti dove sono in gioco la loro esistenza e il loro avvenire» (N.51 AAS63(1971) 440). E, ancora Paolo VI, qualche anno dopo: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni» (Disc. Membri Consiglio Laici, 2 Ottobre 1974, N 41  AAS 66, 1974, p. 568). Per essere aiutati in questo impegno di testimonianza, tanto auspicato da sant’Antonio, vorrei invitare i lettori del «Messaggero di sant’Antonio» per gli italiani all’estero – che ho avuto tra le mani in tutte le parti del mondo dove sono stato – a procurarsi una copia del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (ottobre 2004), elaborato, per volere di Giovanni Paolo II, dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e ora tradotto in 44 lingue. In esso si può attingere a piene mani ogni ispirazione per diventare testimoni credibili del Vangelo nella società odierna.
Quindi per lei chi è sant’Antonio di Padova?
Come avrete potuto constatare, è parte della mia vita.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017