Il miracolo di Piero
Arezzo
«Sei anni di indagini e di studi sono stati la premessa indispensabile per poter disporre di tutte quelle informazioni capaci di costituire il più ampio quadro conoscitivo della situazione pregressa e attuale degli affreschi. Ora, finalmente, ce l'abbiamo fatta e dal 7 aprile, Arezzo e il mondo potranno finalmente tornare ad ammirare una delle pitture più belle di tutti i tempi». Parla con orgoglio e con legittima soddisfazione Anna Maria Maetske, sovrintendente alle Belle Arti di Arezzo, annunciando la fine del grandioso restauro del capolavoro di Piero della Francesca, la Leggenda della vera Croce, posto nella centrale chiesa di San Francesco, ad Arezzo. Sei anni di indagini (iniziate nel 1985) per chiarire tutti i dubbi sull'ambiente, le strutture, le superfici pittoriche, la storia del monumento, e poi il restauro vero e proprio: lungo e complesso.
Il restauro della Leggenda della vera Croce - decorazione pittorica della cappella del coro di San Francesco, ad Arezzo, commissionata dai Bacci (una ricca famiglia di mercanti aretini) dapprima al pittore fiorentino Bicci di Lorenzo e poi alla sua morte, nel 1452, a Piero della Francesca, uno dei più raffinati ed innovativi pittori dell'epoca - trae ispirazione dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, e costituisce, secondo il ministro italiano dei Beni culturali, Giovanna Melandri, «l'evento culturalmente più significativo di questo anno Giubilare». La Legenda aurea risale al XIII secolo e mescola fonti letterarie di varia provenienza. Al centro della Legenda le vicende della Croce di Cristo.
Nel corso della sua storia, il ciclo pittorico ha rischiato di scomparire: per incuria, per negligenza, per i brutti restauri avvenuti nel passato; solo la critica del Novecento lo ha riscoperto, restituendogli il posto che merita nella civiltà artistica dell'occidente dopo secoli di dimenticanza.
Una lunga strada è stata quindi percorsa prima di arrivare ad ammirare, per dirla con la felice definizione dannunziana, il giardino di Piero. Un percorso che non sarebbe stato possibile senza lo sforzo economico miliardario, della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio che, in qualità di banca cittadina, si è voluta impegnare in uno sforzo senza precedenti per restituire ad Arezzo e all'arte un capolavoro senza pari.
Si tratta di un ciclo pittorico suddiviso in dieci quadri (cinque per parete) caratterizzati da un forte contrasto - sia nel soggetto che nel modo di rappresentarlo - che crea un forte effetto di grandiosità . Ad esempio, la nudità espressa nella Morte dell'ebreo Giuda (settimo quadro) contrasta con la sontuosità delle figure nell'incontro fra la regina di Saba e re Salomone (secondo quadro), così come la luce chiara e splendente della Vittoria di Costantino (sesto quadro) con le ombre del Sogno di Costantino (quinto). Ogni affresco - particolarità significativa - è organizzato in due sezioni, ognuna indipendente ma complementare e consequenziale all'altra.
Il ritorno alla luce del capolavoro di Piero della Francesca è particolarmente importante anche per la complessità del suo restauro. Unanimemente considerato dagli esperti la punta più avanzata dell'approccio tecnico-scientifico al problema della conservazione delle opere d'arte, la Leggenda di Piero ha comportato, anche per i restauratori, più di una preoccupazione.
Tutto cominciò nel 1985 quando i responsabili della Sovrintendenza addetti ai restauri si accorsero che qualcosa non andava: un agglomerato di punti bianchi che spunta sul mantello del cavallo nero, nella scena della battaglia tra Eraclio e Cosroe. Si tratta di sali di sodio, prodotti dalla deliquescenza, ovvero con il freddo i sali igroscopici presenti nell intonaco si sciolgono assorbendo umidità . Poi, con il caldo si seccano e diventano visibili.
Il fenomeno cominciava a diffondersi ovunque per cui la Sovrintendenza decise di montare i ponteggi per la campagna fotografica a luce radente a cui seguì la lunga e complessa ricognizione dell'insieme, dopodiché il restauro vero e proprio (consolidamento, pulitura, integrazioni) ebbe inizio.
«Il problema più grande di questo restauro - dice Silvano Lazzeri, uno dei restauratori - è stato rendersi conto di come intervenire a seguito dell'inquinamento atmosferico, dei cui danni non ci rendevamo conto. Ovunque c'erano intonaco instabile, distacchi di colore, nerofumo, grassi, sporco».
Così, nel 1991, dopo sei anni di studi, quando ufficialmente è iniziato il restauro del ciclo pittorico, è stato messo a punto anche un sistema con un triplice intento: attuare un osservatorio permanente sulle condizioni delle superfici pittoriche basato sulle conoscenze raggiunte nella fase delle indagini preliminari (1985-90), progressivamente da arricchire in fase di restauro e futuro monitoraggio; introdurre nella metodologia di restauro un adeguato strumento conoscitivo e orientativo che servisse da supporto per la conservazione e la valorizzazione futura degli affreschi di Piero della Francesca e, infine, costituire un centro di documentazione permanente per gli studi e la divulgazione delle problematiche conoscitive e conservative dei dipinti murali di Piero, nonché realizzare una banca-dati utile per tutti gli studiosi del settore.
Non è stato facile risolvere i numerosi e complessi problemi del recupero del ciclo pierfrancescano, si è trattato «di un recupero unico nel suo genere. Abbiamo osato molto. Con estremo rigore abbiamo restituito alla luce ciò che gli occhi di Piero videro e vollero» - conclude la sovrintendente Maetske. Per saperne e per vederne di più, consultate il sito Internet: www.bpel.it/piero.
ARETINO CON AMBIZIONI EUROPEE Piero della Francesca nacque quasi con certezza nel 1420 a Sansepolcro (Arezzo). Nel 1435 cominciò il suo tirocinio artistico a Firenze presso Domenico Veneziano. Nel 1445 ricevette la commissione del grande polittico per l'altare della chiesa della confraternita della Misericordia a Sansepolcro. Probabilmente in quel periodo iniziò a frequentare l'ambiente urbinate del duca Federico II da Montefeltro. Nel 1452 subentrò a Bicci di Lorenzo, nella decorazione del coro della chiesa di San Francesco ad Arezzo. Nel 1459 iniziò il Battesimo di Cristo , conservato alla National Gallery di Londra. Nel 1467 terminò uno dei due pannelli del dittico degli Uffizi, quello con Federico di Montefeltro. Per alcuni anni rimase ad Urbino dove, grazie ai Malatesta, raggiunse una grande notorietà e approfondì i suoi contatti con la pittura fiamminga. Proprio alla corte urbinate scrisse il trattato De prospectiva pingendi con uno scopo dichiaratamente didattico volto a comprendere la prospettiva applicata alla pittura. Piero della Francesca morì a Sansepolcro il 12 ottobre 1492. |