Il mistero della città scaligera
Verona e l’amore: un segreto che il mondo invidia alla città scaligera. Un amore grande quanto quello di Romeo e Giulietta, antico ma ancora vivo. Un amore «eterno», cui l’arte continua a tributare un incondizionato omaggio.
Già nel lontano 1792 al Teatro Filarmonico di Verona Giulietta e Romeo muoveva i primi passi con una trilogia di balletti, che ribaltò il titolo originale della tragedia di William Shakespeare, Romeo and Juliet, scritta un secolo prima. Peccato che il drammaturgo inglese a Verona non sia mai arrivato; anzi, si accontentò di farsi raccontare la storia originale degli innamorati veronesi, che era già viva nella memoria popolare.
Poi, nel 1835, sempre al Filarmonico scaligero andò in scena come parodia musicale Romeo e Giulietta tra i contadini e, dopo più di un secolo, nel 1955, la tragedia giunse in Arena. Nel 1968 toccò al regista Zeffirelli presentare a Verona la prima mondiale del suo film Romeo e Giulietta. Anche allora per i due innamorati fu un trionfo.
Una sfida musicale e mediatica
Ma la musica dell’amore si rinnova ancor oggi, facendo tremare le pietre di un’Arena già pregna di vibrazioni verdiane o pucciniane. Accade quando Mercurio apre la scena cantando «Verona/L’Amore/Giulietta/L’Amore/Romeo/Verona» nelle prime battute dell’ultima attesissima opera popolare Giulietta e Romeo, firmata da Riccardo Cocciante. Lui, il mattatore di celebri canzoni come Margherita o Cervo a primavera, conosciuto in tutto il mondo per la sua opera prima Notre Dame de Paris, si è nuovamente immerso nel mare della passione. «In quell’amore che muore lì… che fa morir d’amore questo amore», come recita il testo di Pasquale Panella, tornato nuovamente a fianco del maestro Cocciante nella stesura dei testi. Una coppia ormai consolidata, che non lascia dubbi sulla qualità della sua opera.
Giulietta e Romeo hanno dunque fatto ritorno là dove sono nati, con un grande successo di pubblico e di critica. Una sfida musicale e mediatica perfetta, con un anticipo pubblicitario di due anni e un’attesa da parte del pubblico che nelle prime quattro serate del suo debutto mondiale a Verona, nel giugno scorso, ha fatto registrare il tutto esaurito. Trionfale, dunque, l’accoglienza riservata all’opera che tra breve calcherà le scene mondiali: «Sarà sempre e solo in lingua italiana – assicura Cocciante –, per rispetto alle vere origini della storia, che come novella è passata di mano in mano da Luigi Da Porto a Masuccio Salernitano a Matteo Brandello, per essere poi lanciata a livello planetario da Shakespeare». In questa attenzione all’idioma originario, Cocciante dimostra ancora una volta la sua venerazione verso la nostra lingua nazionale: la «lingua dell’amore e del bel canto» come la descrive in una sua canzone.
Chi s’aspettava però che Giulietta e Romeo si instradasse sulla falsariga dell’ormai classica Notre Dame de Paris (pronta a compiere i suoi primi dieci anni, vantando 15 milioni di spettatori in tutto il mondo e centinaia di repliche anche in Asia e Medio Oriente), si è dovuto ricredere. Quella di Cocciante è un’opera nuova, divisa tra melodia popolare, gusto lirico e connotazioni rockeggianti. È la dimostrazione di un nuovo filone iniziato dall’artista italo-francese che proprio in questi giorni – dal 13 al 18 settembre –tornerà a Verona, città nella quale ha attinto le emozioni e l’ispirazione necessarie a creare il nuovo colossale musical (156 artisti in tutto, 26 giovani cantanti, 8 ballerini e decine di tecnici).
Un’opera innovativa
Innovativa anche la scenografia, nella cui realizzazione Cocciante e il regista Sergio Carruba si sono distinti per modernità: «Abbiamo voluto rompere con la tradizione scenografica – spiegano i due –, e per evitare di ripeterci ci siamo affidati alla sperimentazione pur restando nelle regole classiche dell’opera». Una scenografia digitale realizzata da 140 proiettori, su un palco di 39 metri con 14 altoparlanti. Numeri imponenti da grande evento a metà tra opera e concerto. Una simbiosi tra artigianato e tecnologia digitale che su un fondale neutro è in grado di mostrare scene tridimensionali in costante movimento. Novità assoluta anche per l’Arena di Verona.
Alla corte di Cocciante nomi di grido anche per i costumi, come Gabriella Pescucci, premio Oscar per il film L’età dell’innocenza. Ma a sbocciare sul palco è soprattutto la passionalità dei due giovani protagonisti, selezionati su milleduecento candidati. «Giulietta e Romeo – spiega Cocciante – sono due adolescenti, come vuole la storia …». In scena arriva dunque un Romeo quindicenne dalla strepitosa voce e una Giulietta dolce e risoluta, appena maggiorenne.
Ragazzi debuttanti che mostrano tutta la cura ricevuta dallo stesso Cocciante che con loro ha lavorato per oltre sei mesi, fianco a fianco: «Per tutto questo tempo siamo rimasti a Verona – spiega il maestro – perché volevo che i due protagonisti respirassero l’atmosfera dei luoghi della tragedia per trasmetterla poi nell’emozione del canto».
«Morire per amore…» cantava Esmeralda in Notre Dame. Qui invece è Giulietta a chiudere l’opera sussurrando: «Perché l’amore fa morire d’amore questa vita?». È lo sguardo femminile sull’esistenza che piace a Panella e Cocciante. È la passione che travolge il pubblico. Così, quando Giulietta muore di crepacuore (non con un pugnale come nella versione classica) gli spettatori trattengono il respiro.
Un’opera, dunque, ricca di sfumature moderne che mantengono però integri tutti i colori del dramma. E che lascia poi a frate Lorenzo l’ultimo straziante interrogativo: «Cos’è questo amore, che d’amore muore?». Mistero che viene riconsegnato a Verona, perché lo conservi nel tempo.
per saperne di più
www.giuliettaeromeo.net
www.friendsandpartners.it
notes
Uniti nella ricerca
Quando la bellezza aiuta a sostenere la ricerca scientifica.
L’aveva detto e promesso lo stesso Riccardo Cocciante tre anni fa all’esclusiva «anteprima mondiale» tenutasi a Roma, al Colosseo, nel settembre del 2005 in occasione dei quarant’ anni dalla nascita dell’Airc (Associazione italiana ricerca sul cancro).
Proprio qui il maestro aveva annunciato: «Per i prossimi dieci anni in qualsiasi città del mondo per ogni biglietto venduto di Giulietta e Romeo un euro andrà alla ricerca sul cancro». L’Airc fa sapere che destinerà i fondi raccolti alla creazione e al mantenimento di una speciale unità di studio formata da tre ricercatori italiani di età inferiore ai 35 anni, che lavoreranno presso le istituzioni nazionali in modo indipendente. Nel frattempo, l’ope-ra, dopo il debutto veronese del giugno scorso e le tappe a Napoli e Lecce, tornerà, dal 13 al 18 settembre, all’Arena. Poi sarà a Milano (dal 5 ottobre), Roma (dal 19 ottobre) e infine a Torino (dal 15 novembre prossimo).
Appunti
L’uomo timido l’artista romantico
Riccardo Cocciante è un «concentrato di musica». Basta questo a definire il piccolo e non più riccioluto artista che ancor oggi sembra perdersi nell’imponenza del palco sul quale, se potesse, non salirebbe neppure, a causa della sua innata timidezza. Eppure, questo grande interprete della musica moderna quando canta l’amore mostra la forza di un gigante.
«E dire che fin da piccolo ho avuto la “fortuna” di non avere la faccia e il look giusti per questo tipo di mestiere… – sottolinea ironicamente –. Non ho mai avuto l’ambizione o la necessità di apparire in pubblico, semmai l’intima esigenza di esprimermi. Sono introverso e questo, forse, aumenta la mia capacità espressiva in campo artistico».
Da quando è arrivato il successo internazionale (in Italia era il 1973, anno in cui si presentò come debuttante con De Gregori e Venditti), Cocciante ha sempre «fatto a pugni» col palco: «Quando intuii che questo stile di vita mi stava trasformando – spiega –, decisi di ritornare a un po’ di normalità. Abbandonai l’Italia per Parigi: fu lì che dopo un po’ di tempo scoprii la mia vocazione di autore di opere popolari. Ho sempre pensato che la musica fosse un linguaggio universale e dunque la sfida di trasformare classici come Notre Dame o Giulietta e Romeo in opere musicali alla portata di tutti è stata solo una logica conseguenza».
Dietro questa apparente semplicità c’è però tutta la mastodontica complessità di un compositore che passa dal rock all’opera, usando un’unica giustificazione: «Ho solo bisogno di esprimermi; questa è l’unica energia che mi resta. Il solo mestiere che so fare bene!».
Con il debutto da compositore «classico» è cresciuta anche la fama. «Ora vorrei sparire del tutto – confida il maestro – per essere presente solo nella mia musica. Spero che ciò accada presto…». Si riferisce alla sua nuova patria, l’Irlanda: «Vivo lì con la mia famiglia. In quella terra c’è il rispetto per la musica, folk o rock, senza snobismi». Intanto è nuovamente rinchiuso in uno studio londinese dove sta preparando il nuovo album. Un vulcano in continua produzione, ma soprattutto un linguaggio, il suo, che travalica ogni limite e che vuole restare sempre e comunque alla portata di tutti: «Per questo voglio che le mie opere, passate e future, siano rappresentate nei palazzetti e non nei teatri dell’Opera dove i biglietti costano troppo e si è limitati con le sonorità».