Il Natale di Greccio non era un presepio
Chissà se anche sant'Antonio faceva il presepe a Natale. Da buon seguace di Francesco d'Assisi, mi sa di sì. San Francesco avrebbe, infatti, inventato il presepio, per via di quella notte di Natale a Greccio. Vero. Almeno da un certo punto di vista.
Ma oggi, lasciatemi dire, provocatoriamente, che ciò non è assolutamente vero. Almeno nel senso dei presepi che in questi giorni stiamo riesumando dagli scatoloni e allestendo nelle nostre case e nelle nostre chiese. Nel senso, cioè, di quelle sacre finzioni con statuine di gesso, pecorelle di plastica, riproduzioni più o meno reali del paesaggio della Palestina, muschio e cartapesta, che fanno così tanto atmosfera natalizia e gioia dei bambini. Ci indaffariamo, costruiamo, accendiamo le lucine, ci commuoviamo pure ma il nostro elaborato presepe rimane pur sempre qualcosa di altro da noi.
A Greccio, quella volta, non c'erano invece simulacri o statuine di nessun tipo. In più, dico rispetto alla solita messa, c'era solo un asino e un bue, di quelli che davvero ragliano e muggiscono. E, ai piedi dell'altare, la ricostruzione, questa sì... ricostruita, di una mangiatoia, con tanto di fieno. Pure il freddo, lì tra i monti del Reatino, doveva essere per niente virtuale ma reale, eccome!
C'erano, oltre a Francesco, ai suoi frati e al sacerdote che avrebbe celebrato la messa, persone in carne e ossa, uomini e donne, bambini e ragazzi dei villaggi vicini e della campagna circostante.
Ma non erano in un presepio vivente né in una sacra rappresentazione. Lì nessuno faceva finta: nessuno aveva bisogno di travestirsi da arabo o da pastore o di andare in prestito di pecore o asini. Quella folla radunata da Francesco per la celebrazione del Natale, rappresentava niente altro che se stessa, le proprie gioie e i propri dolori.
A Greccio era in scena la vita. C'era Mario, Silvia, zio Gastone, nonna Lisa, Pietro che aveva appena perso il lavoro, Elena con il suo incantevole frugoletto stretto tra le braccia, Gloria che ogni sera le busca dal marito ubriaco, Marco che di solito a quell'ora se ne stava a letto già da un bel pezzo... Questo sì che Francesco l'aveva capito bene: non c'è Natale se non dove ci sono uomini e donne veri. Anche se, sia ben chiaro, non è una faccenda personale. Ciascuno di noi rappresenta tutti gli altri, dato che, in definitiva, siamo tutti sulla stessa barca (anche se, e sia detto pure con un filo di polemica, non tutti sullo stesso yacht): pensieri, aspirazioni, domande, dolori, volti, storie. Persone che non fingono ma che si sentono gli invitati principali a quella festa, tali e quali i pastori di 2 mila anni fa.
Manca Josè? Non si può fare Natale. Manca l'extracomunitario che si nasconde sotto i ponti? Non si può fare Natale. Manca il bambino che muore di fame in Africa? Non si può fare Natale. Manca il povero iracheno che si vede arrivare in testa bombe intelligenti? Non si può fare Natale. Manca l'amico o l'amica con cui ho in malo modo litigato? Non si può fare Natale. Manca il genitore anziano che ho abbandonato in ricovero? Non si può fare Natale. Manca il cliente che ho appena imbrogliato? Non si può fare Natale.
Francesco e Antonio ci chiedono di restituire il Natale ad ogni uomo e ad ogni donna, a cui appartiene per diritto divino. Soprattutto, naturalmente, agli ultimi della fila.