Il neoliberismo alla sbarra

La gravissima crisi che ha colpito il Paese latinoamericano può diventare l’occasione di un rinnovamento politico e morale: da qui passa la dolorosa via del risanamento economico e dello sviluppo sociale. Non esistono scorciatoie.
06 Aprile 2002 | di

Vista da sinistra, è il segno inequivocabile di dove il neoliberismo potrà  condurre non solo l`€™Argentina, ma gran parte dei Paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo: alla catastrofe economica e sociale. Vista da destra, la ricetta delle privatizzazioni era giusta, ma è stata applicata male: facendo delle false privatizzazioni, creando dei monopoli privati al posto di quelli pubblici e sperperando capitali con tangenti e speculazioni.
La crisi che ha colpito l`€™Argentina dal dicembre scorso è diventata un «cavallo di battaglia» per le opposte tesi da tavolino, le quali colgono rispettivamente una parte di verità , ma non la complessità  della situazione reale. Su un punto entrambe, però, concordano: è stata la parità  forzosa fra peso argentino e dollaro statunitense `€“ che non corrispondeva a una parità  di stabilità  economica `€“, a creare un sistema artificioso che prima ha soffocato l`€™economia reale, la produzione, le esportazioni, a favore di una economia monetarista, finanziaria, poi ha condotto a un enorme crack.
Spinte da un decennio di peso stabile e senza inflazione, tutte `€“ o quasi `€“ le famiglie argentine si sono indebitate per comprare a rate, ma la febbre consumistica ha divorato il Paese con un illusorio benessere. Ora più nessuno è in grado di restituire i debiti, non le famiglie, neppure le banche che a loro volta si erano indebitate all`€™estero. Oggi l`€™Argentina ha il più alto debito pro capite al mondo: complessivamente 130 miliardi di dollari. A fronte di questo, una fuga di capitali per una somma solo di poco più bassa, 120 miliardi di dollari.
Eppure, c`€™è chi si è arricchito. È chiaro che mentre le classi medie `€“ l`€™Argentina è da decenni un «Paese di classi medie» `€“ sono precipitate all`€™indietro, scendendo dal 65 per cento al 45 per cento della popolazione `€“ c`€™è chi si è arricchito. Non solo nell`€™alta finanza, ma nel ceto politico dominante. L`€™ex presidente Carlos Menem, eletto trionfalmente per due volte, famoso e maturo play boy, è agli arresti domiciliari mentre in due conti svizzeri gli sono stati bloccati 10 milioni di dollari, frutto anche di vendite occulte di armi. Contro Domingo Cavallo (la sua famiglia è originaria di Pinerolo, Piemonte), osannato come l`€™artefice del «miracolo economico» in quanto a lungo super ministro dell`€™economia, il giudice di «mani pulite» Jorge Ballestero ha spiccato un mandato con l`€™accusa di «sovversione economica» per aver consentito la fuga massiccia di capitali anche quando la situazione cominciava a precipitare.
Se il centro destra piange, il centro sinistra non ride. Il bubbone è scoppiato proprio con un presidente di centro sinistra del partito radicale, Fernando de la Rua, che si è rivelato incapace di prevedere e intervenire, tanto da essere spazzato via dalle manifestazioni di piazza (anche lui è imputato per aver fatto sparare sui dimostranti).

La sfiducia nei politici. La gente non ha più fiducia in nessuno dei politici, lo slogan più diffuso è: «Supremos y corruptos: que se vayan todos» («Alte cariche e corrotti: se ne vadano tutti»). La gente vorrebbe un`€™alternativa, ma questa non appare all`€™orizzonte, e così al governo è andato il peronista Eduardo Duhalde già  vice del peronista Menem. Tutti i partiti gli hanno delegato poteri eccezionali, per far fronte a una situazione più che eccezionale. Ha promesso di far pulizia, di tamponare l`€™economia, in attesa di ritornare a una «normalità  democratica» con le elezioni del prossimo anno. In altri tempi i militari sarebbero già  «usciti dalle caserme».
Per fortuna la situazione internazionale e tale che un golpe appare altamente improbabile. Ma «mani pulite» è appena agli inizi, anche perché la «Corte suprema» risulta pesantemente compromessa e i giudici coraggiosi sinora sono stati pochi.
Per l`€™economia, gli inviati del Fondo monetario internazionale, che è anch`€™esso sul banco formale degli imputati, hanno concesso la sospensione dal rimborso dei debiti per un anno, in modo che la crisi argentina non deflagri nel continente, come molti hanno temuto e continuano a temere, data la fragilità  di molte economie latinoamericane.
Dell`€™Argentina si è detto che è «un Paese italiano che parla spagnolo» (il 40 per cento della popolazione è di origine italiana). Altri, meno benevolmente, hanno aggiunto che «i nostri difetti e pregi sono stati esaltati dal gusto spagnolo per l`€™iperbole».
Oggi molti dei nostri discendenti guardano all`€™Italia, e al ritorno alla terra d`€™origine, come un tempo avevano guardato all`€™«America». Lo scrittore psicanalista Marcos Aguinis ha scritto a proposito dell`€™Argentina: «Possiamo contare su un hardware fantastico perché disponiamo di risorse naturali intatte e di risorse umane ottime, di un eccellente livello culturale`€¦ Eppure il software funziona male, perché siamo affetti da malagiustizia, impunità , corruzione, clientelismo politico».
La gravissima crisi che ha colpito il Paese può diventare l`€™occasione di un rinnovamento politico e morale. È questa la prospettiva che dobbiamo augurare ai nostri cugini argentini, anche perché da qui passa la dolorosa via del risanamento economico e dello sviluppo sociale.
Tornando all`€™interrogativo iniziale, possiamo dire che la crisi argentina è un campanello d`€™allarme non per il libero mercato `€“ che ha rivelato la sua superiorità  sul collettivismo nel corso del secolo appena trascorso `€“ ma per quanti hanno trasformato il liberismo economico, che dovrebbe essere uno strumento, e uno strumento controllato dalla politica, in ideologia. Anche per quanti credono nell`€™illusione dell`€™arricchimento facile con giochi di borsa e finanziari, quando invece lo sviluppo richiede impegno, fatica, e solidarietà  sociale, per essere reale e durevole. 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017